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Prima del suicidio di massa: foto da Jonestown, la setta più fatale della storia americana

Uno scorcio della vita dei 909 seguaci di Jim Jones prima del tragico suicidio di massa.

Queste immagini ci sono state gentilmente concesse da Laura Johnston Kohl e Fielding McGee del Jonestown Institute. Quasi tutte sono state scattate al Peoples Temple Agricultural Project in Guyana, meglio conosciuto come "Jonestown". Il 18 novembre del 1978, i residenti di Jonestown hanno commesso un suicidio di massa guidati dal leader Jim Jones. Gli autori delle foto rimangono in gran parte sconosciuti.

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La storia di Jonestown non è cominciata né finita il 18 novembre del 1978. Ma questa è la data che si ricorda—la data in cui più di 900 cittadini americani hanno commesso una dimostrazione di "suicidio rivoluzionario" di massa bevendo del cianuro. È rimasto il più grande massacro della storia americana per due decenni, fino all'11 settembre.

Ma per molti versi, quella dell'11 settembre è una storia più facile da raccontare. Nel caso della caduta delle Torri Gemelle, non c'è da chiedersi se le vittime fossero anche complici. Non c'è molto da discutere sul perché alcune persone abbiano scelto di buttarsi dalle finestre mentre le fiamme invadevano i due grattacieli. Sono vittime, addirittura eroi. Meritano tutto il nostro rispetto.

La storia di Jonestown, invece, viene scritta e riscritta anche oggi che sono passati quasi 40 anni.

Vista aerea di Jonestown. Foto scattata dall'FBI nel 1978.

Nella cultura popolare, la storia di Jonestown è definita da quelle ore finali—e i suoi protagonisti vengono etichettati come seguaci radicali di una setta pericolosissima o un gregge tragicamente innocente. E mentre è indubbio che il loro leader, Jim Jones, fosse un assassino, non si può eludere il fatto che, tecnicamente, la maggior parte dei componenti si sia suicidata.

Ma i resoconti sui fatti di Jonestwon negli anni precedenti al massacro sono caratterizzati da dubbi, polemiche e contraddizioni. Le testimonianze dei pochi sopravvissuti variano ampiamente tra loro. Alcuni dichiarano con risolutezza che la comune in Guyana non fosse nulla di più che un campo di tortura tossico e abusivo. Altri sostengono di sentire ancora oggi la mancanza di quel posto e dello straordinario senso di comunità che lo caratterizzava.

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Poncho Johnson fa la treccia a Tinetra Fain in un cottage di Jonestown. In foto anche Shandra James, Gerald Johnson, Al Smart, e Teri Smart. Foto di Juanell Smart.

Nel 2009 il Jonestown Institute, un'organizzazione formata da ex residenti ed ex membri del Peoples Temples, ha richiesto all'FBI di rendere pubblici i documenti e le fotografie di Jonestown. Speravano che queste aiutassero a fare un po' di chiarezza rispetto ai racconti emersi fino a quel momento, ma le immagini che hanno ricevuto non sono state comunque d'aiuto.

Mostravano ragazzi che giocavano a basket, bambini che ridevano sotto i tramonti tropicali, animali esotici, baracche. Ovviamente, molte foto non erano spontanee, ma parte della campagna di propaganda di Jones per attrarre alla comune più persone possibile e distrarre i media dalle accuse di frode fiscale.

Eppure queste foto servono anche a ricordare che prima di diventare vittime di una straziante tragedia i residenti di Jonestown avevano vite a 360 gradi. Amavano, avevano una famiglia, lavoravano, giocavano. Molti pensavano che il loro fosse un autentico progetto di ribaltamento della società, e non una setta.

Lew e Chaeoke Jones, Christa Amos e Joel Cobb, membri di Jonestown.

Fondato da Jim Jones negli anni Cinquanta, il Peoples Temple era nato come una setta cristiana basata sulla premessa dell'eguaglianza razziale. Jones era un importante attivista dei diritti civili di Indianapolis, dove lottava contro la segregazione all'interno della chiesa. Come molti hanno evidenziato, se Jones fosse morto prima di Jonestown, oggi verrebbe ricordato come un eroe del movimento per i diritti civili.

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Dopo che il Temple si trasferì a San Francisco nel 1971, cominciarono però a diffondersi voci di abusi fisici dei membri e maltrattamenti di minori. Jones, intanto, lottava contro le accuse di frode fiscale, e la sua crescente paranoia e disdegno per il capitalismo e il classismo degli Stati Uniti lo portarono a trasferire il tempio nel piccolo paese sudamericano della Guyana. Jonestown è stata fondata nella foresta come la realizzazione di un mondo utopistico in cui "tutte le razze, le dottrine e i colori erano calorosamente accolti."

Jim Jones.

Maria Katsaris con un tucano a Jonestown, in Guyana, 1978.

Verso la fine degli anni Settanta, i membri cominciarono a trasferirsi a Jonestown convinti di trovare quel paradiso progressista che veniva loro venduto in foto e filmati. Tutto il materiale che Jones diffondeva era accuratamente assemblato, le interviste con i residenti sorridenti che lavoravano alla terra preparate a tavolino, le oppressioni celate. Se osavano lamentarsi, i residenti venivano puniti.

Secondo Julia Scheerend, autrice di A Thousand Lives: The Untold Story of Jonestown, Jonas utilizzava qualsiasi metodo di mind control a disposizione per mantenere il potere sui suoi seguaci. I membri venivano isolati: qualsiasi comunicazione con il mondo esterno era censurata, e questo faceva sì che gli abusi fisici proseguissero incontrollati. La città più vicina distava due giorni di viaggio nella natura. Jones parlava ai residenti di tigri, serpenti e mercenari armati nascosti nella giungla in attesa di poter attaccare chi tentava di andarsene.

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Si dice che Jones inventasse storie sugli Stati Uniti, raccontando per esempio che stavano togliendo alle persone di colore il diritto di fare l'università, o che stavano mettendo gli afroamericani in campi di concentramento. Jones proiettava film di esperimenti nazisti come prova della corruzione e della malignità del resto del mondo, costringendo anche i bambini a guardarli.

Jones passava ore a istruire ogni membro sulla facciata di felicità che avrebbe dovuto mantenere in caso di contatti con persone esterne, dicendo che i visitatori erano agenti della CIA dalla madrepatria corrotta. Il mondo fuori si stava sbriciolando, e non c'era luogo in cui fuggire.

Leslie Wagner-Wilson, autrice di Slavery of Faith, era entrata nel Peoples Temple all'età di 12 anni. È fuggita da Jonestown la mattina del massacro, camminando per 48 chilometri nella giungla col figlio di due anni avvolto attorno alla schiena con un lenzuolo.

"Quelli che dipingono Jonestown come idilliaca hanno trascorso la maggior parte del loro tempo lì con acqua corrente e un frigorifero… uno scarico funzionante, e liberi di muoversi per la città," ha detto Wagner-Wilson a VICE. "Si tratta di un'esperienza diversa: coloro che continuano a propagare il mito di Jonestown come un bel posto sono complici."

La sua esperienza è fatta di lavoro debilitante—dieci ore al giorno, sette giorni a settimana, con 30 gradi. Di costante privazione di sonno e denutrizione, con tutti i pasti che consistevano in riso in bianco o in acqua in cui quel riso veniva bollito.

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In queste condizioni, dice Scheerend, il senso di impotenza è travolgente. "Diventi insensibile a tutto, smetti di scandalzzarti di fronte ai bambini che subiscono abusi e umiliazioni. Dopo esser esposto a questa degradazione costante, il tuo istinto soccombe e rimani senza alcuna speranza."

"Eravamo affamatissimi," ha detto a VICE Wagner-Wilson. "Ma [Jones] ritirava gli assegni di mantenimento degli afroamericani.. aveva milioni di dollari nascosti, e i nostri figli erano malnutriti. Le persone venivano manipolate e convinte a lasciare case e attività—dopotutto, se avevi dato via tutto, per cosa ritornavi negli Stati Uniti?"

Jones aveva cominciato a star sveglio tutta la notte, diffondendo dagli altoparlanti della comune le sue paranoie sempre più deliranti e ordinando ai suoi seguaci di unirsi contro gli orrori del mondo esterno. Questa situazione spesso portava all'attivazione delle sirene e successivamente allo "stato di emergenza", con Jones che ordinava ai residenti di armarsi contro i raid delle forze di difesa del Guyana, la CIA e altri nemici.

Il suicidio veniva descritto come un modo di fuggire dalla malvagità del mondo esterno, e Jones costringeva i residenti a prove per un suicidio di massa rivoluzionario, volto a provare il loro coraggio e la loro fede. Deborah Layton, una residente di Jonestown che è riuscita a scappare qualche mese prima del massacro, ha detto che il concetto del suicidio di massa non veniva mai messo in discussione.

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"A tutti, bambini compresi, venne detto di mettersi in fila… poi ci diedero dei piccoli bicchieri pieni di un liquido rosso, velenoso. Quando poi arrivò momento in cui saremmo dovuti morire, il Reverendo Jones ci spiegò che il veleno non era vero e che era solo un test di lealtà. Ci disse che il momento in cui il nostro suicidio si sarebbe reso necessario non era lontano."

Il caos finale è stato scatenato da una visita inattesa di Leo Ryan, un membro del congresso statunitense accompagnato da alcuni familiari dei membri del Peoples Temple e da un contingente di giornalisti. Gli Stati Uniti sapevano che c'era qualcosa di molto sbagliato in quel posto. Il giorno successivo, il 18 novembre, Ryan, i giornalisti e alcuni disertori avevano provato a lasciare Jonestown. Ma arrivati alla pista di atterraggio le cose erano degenerate. Sul primo aereo della delegazione, Larry, il fratello di Deborah Layton, aveva tirato fuori una pistola e cominciato a sparare ai passeggeri. Altri, non identificati, avevano fatto lo stesso sull'altro aereo, uccidendo in totale cinque persone, tra cui Ryan.

Nella comune, Jones si era intanto convinto che non c'era alcuna speranza e che presto le forze statunitensi avrebbero fatto irruzione a Jonestown. Aveva convocato una riunione con tutti i residenti, esortandoli a commettere il "suicidio rivoluzionario" con Kool-Aid e cianuro, prometazina, valium e idrato di crolario.

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A più di 40 anni da quel giorno, c'è ancora una domanda che echeggia: si trattò di suicidio o omicidio?

Alcuni membri di Jonestown nella comune

È una domanda complicata per molte ragioni. Prima di tutto dal punto di vista legale, perché circa un terzo delle vittime erano bambini che non avrebbero potuto commettere il suicidio volontariamente. Poi c'è la condizione psicologica in cui si trovavano i residenti di Jonestown: erano intrappolati—fisicamente, emotivamente, psicologicamente. A questi livelli di manipolazione, non si può essere complici. Ma questo non vuol dire necessariamente che fossero tutti ingenui.

In alcune lettere scritte prima di suicidarsi, i residenti di Jonestown dicono di aver deciso loro stessi di uccidersi per mandare un messaggio al resto del mondo. Parlano del loro come di un gesto politico. Ma non è così che vengono ricordati.

Anche le immagini iconiche che nel tempo hanno definito Jonestown non mostrano volti—centinaia di corpi, a testa bassa, nel fango, avvelenati dalla loro stessa mano. Dopo il massacro, il governo della Guyana ha ordinato all'aviazione americana di rimuovere i cadaveri dal paese. I tentativi di identificare le vittime si sono dimostrati completamente futili. Moltissimi cimiteri si sono rifiutati di accoglierle. Alla fine, 412 corpi non identificati da Jonestown sono stati sepolti a Oakland, in una fossa comune della California. Non troverete alcun nome in nessuno memoriale.