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Cosa succede adesso che non ci sono più i voucher?

Nonostante la testardaggine con cui sono stati difesi dai vari governi, i voucher sono stati definitivamente aboliti.

Circa un mese fa, con una legge che è stata approvata al senato mercoledì, veniva abolito uno degli strumenti che più ha caratterizzato il mondo del lavoro negli ultimi cinque anni: i voucher. Se una loro riforma veniva auspicata da tempo, il modo in cui si è arrivati alla loro abolizione è stato del tutto improvviso.

Si è trattato, come dichiarato dallo stesso Paolo Gentiloni, di una decisione completamente politica, dettata dalla volontà di evitare il referendum sul tema indetto dalla CGIL—referendum approvato dalla Corte Costituzionale a fine gennaio e il cui esito avrebbe rappresentato lo smantellamento del Jobs Act e una importantissima sconfitta per Renzi e per il partito al governo.

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Ma lasciando da parte il lato politico, cosa significa dal punto di vista economico e lavorativo l'abolizione dei voucher? Il vuoto normativo previsto dal governo alla vigilia dell'approvazione del referendum si è trasformato in realtà? Per cercare di rispondere a queste domande e per capire quali sono oggi le alternative ai voucher ho parlato con Antonella Stirati, docente di Economia Politica all'Università Roma Tre.

Innanzitutto, per parlare della loro abolizione è necessario ripercorrerne brevemente la storia. I voucher (buoni lavoro dal valore nominale di 10 euro con cui aziende o privati possono pagare prestazioni saltuarie) nascono nel 2003, quando il ministero del Lavoro è occupato da Roberto Maroni. Se l'intento è fin da subito quello di remunerare le prestazioni di lavoro accessorie e far emergere il nero, i settori in cui vengono usati sono inizialmente molto limitati (giardinaggio, piccoli lavori domestici, ripetizioni e altri), così come le persone che ne possono far uso. "Il voucher nasce come uno strumento volto a tutelare non tanto il lavoratore quanto lo stato, per far sì che questo ricevesse un contributo in aree—forme di lavoro del tutto saltuarie e occasionali—che fino ad allora erano scoperte," commenta Stirati. "Come tutti sappiamo, un po' per leggi che andavano in questa direzione e un po' magari anche perché la gente ha cominciato a conoscerli, le cose sono andate diversamente e il loro utilizzo si è espanso a tutti i settori in modo incontrollato," continua.

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Dal primo anno in cui vengono applicati, nel 2008, crescono le spinte che ne vogliono fare uno strumento di liberalizzazione del lavoro, così come ne vengono ampliati i settori di applicabilità.

Tuttavia, a compiere il passo verso questa direzione e stravolgerne l'intento iniziale è il ministro del Lavoro Elsa Fornero. Con la riforma del lavoro del 2012, seppur con qualche restrizione, se ne estende infatti l'uso a tutti i settori, e in due anni il loro utilizzo risulta più che raddoppiato. Infine, l'ultima modifica risale al Jobs Act, con cui nel 2015 il governo Renzi ne alza il tetto massimo annuo. Come risultato, i voucher negli ultimi cinque anni sono cresciuti in modo esponenziale, per una cifra nominale che nel 2016 ammontava a 136 milioni di euro.

Di fronte a questa espansione si è provato a intervenire verso la fine del 2016, quando i voucher erano ormai diventati simbolo per eccellenza di sfruttamento e precarietà e il Ministro Poletti aveva provato a limitarne l'uso rendendoli parzialmente tracciabili. Il risultato di questa mossa, quasi a conferma dell'ambiguità del sistema, è stato un freno del loro utilizzo negli ultimi mesi dello scorso anno.

Del resto, a dichiararne ufficialmente la sconfitta era già stato lo stesso Tito Boeri, presidente dell'INPS, che a maggio del 2016 in un'intervista aveva dichiarato che i voucher avevano fallito nell'obiettivo di far emergere il lavoro nero, e che "in alcuni casi" avevano l'effetto di creare precarietà.

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Stirati sembra confermare entrambi i punti: "dal punto di vista delle tutele, il voucher non ne offre alcuna per il lavoratore, oltre a stabilire una retribuzione oraria fissa piuttosto bassa," mi dice. Un discorso simile si può fare per il lavoro nero: "nonostante non ci siano dati, per aneddotica sappiamo che i voucher servivano spesso a coprire il lavoro nero piuttosto che a farlo emergere: magari il datore si tutelava legalmente comprando un voucher per un'ora, anche se poi il lavoratore lavorava per un tempo maggiore," mi dice.

Ad oggi, Stirati mi dice che l'abolizione dei voucher difficilmente recherà alcun tipo di problema. "Per le prestazioni occasionali, per esempio nel turismo o nella ristorazione, sono da sempre previsti dei contratti di tipo stagionale. Per altri rapporti di breve durata sono invece ampiamente disponibili contratti a termine, forme di collaborazione. Tutte forme contrattuali che sono rimaste spiazzate dall'utilizzo dei voucher. Di sicuro ciò che non manca nel mondo del lavoro è la flessibilità," mi dice Stirati.

A rimanere fuori, infatti, sarebbero esclusivamente quelle attività estremamente sporadiche e occasionali. "La babysitter che viene una volta al mese, il giardiniere che sistema il giardino, la ragazza che fa ripetizioni," mi dice Stirati, "su queste prestazioni—volendo assumere, cosa non certa, che prima venivano pagate con i voucher—al momento si è scoperti e probabilmente il governo interverrà, ma le conseguenze economiche su larga scala sono irrisorie," continua.

In merito, il governo starebbe studiando un decreto volto a introdurre due tipi di contratto a sostituzione dei voucher. Da quanto emerge finora, si tratterebbe di una revisione del contratto a chiamata, che varierebbe in caso sia per aziende medio grande o per piccole imprese, commercianti e artigiani. Se nel primo caso la situazione resta quella che vige per il lavoro a chiamata attuale (non si possono superare le 400 giornate in tre anni) ad essere eliminato sarebbe il limite di età (sotto i 25 anni e sopra i 40). Nel secondo caso invece, si cercherebbe di semplificare le procedure di assunzione per il lavoro a chiamata tramite un portale. Si tratterebbe quindi di un lavoro a chiamata semplificato, con cui le piccole aziende non potranno assumere con questo metodo più di un lavoratore alla volta, che saranno obbligate ad assumere regolarmente al superamento dei 400 giorni in tre anni.

Si tratta, in ogni caso, di forme di contratto vere e proprie, che offrirebbero per i lavoratori più tutele, ed è proprio questo il punto su cui insiste Stirati: "la flessibilità è già estrema, i voucher avevano senso solo se ci si assicurava che venissero usati per prestazioni molto specifiche e limitate. In loro assenza, il lavoratore non può che avere opzioni migliori, con maggiori tutele. Le alternative ai voucher esistono, così come esistono contratti di lavoro flessibili," conclude Stirati.

Per concludere, rimpiazzati o non rimpiazzati, nonostante la testardaggine con cui sono stati difesi da tutti i governi che si sono succeduti mentre questi dilagavano, i voucher non mancheranno ai lavoratori, né la loro assenza avrà effetti sull'economia. Così come c'è da scommettere che continuerà a non mancare il lavoro in nero.

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