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Tecnologia

No, la vittoria di Donald Trump non è colpa di Facebook

Secondo Mark Zuckerberg le bufale in circolazione su Facebook non hanno influenzato il risultato dell elezioni americane e, in un certo senso, ha ragione.

Nella serata del 10 novembre Mark Zuckerberg è apparso in un'intervista trasmessa in streaming sul palco di Techonomy: ha parlato delle sue prospettive per l'educazione, la scienza, l'intelligenza artificiale e ovviamente del risultato delle elezioni presidenziali americane.

Zuckerberg si è opposto in maniera forte e chiara alle accuse avanzate da moltissimi media liberal secondo cui parte della colpa per la vittoria di Donald Trump è da imputare all'assenza di contromisure alla diffusione di bufale su Facebook—In pratica, molti elettori potenzialmente democratici avrebbero infine deciso di virare su Trump a seguito dell'esposizione continua di bufale e articoli sensazionalistici.

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"Non credo che le bufale su Facebook, che comunque sono soltanto una piccola frazione dei contenuti in circolo sulla piattaforma, abbiano in qualche modo influenzato il risultato delle elezioni," ha spiegato Mark Zuckerberg. "Gli elettori prendono le loro decisioni sulla base delle loro esperienze di vita." Poco dopo ha aggiunto che, probabilmente, questo tipo di reazione ha origine nel tentativo da parte dell'impianto mediatico, traumatizzato dal cortocircuito Trump, di semplificare all'estremo il risultato dell'elezione pur di poter fornire una spiegazione plausibile.

Con un inaspettato colpo di scena, Mark Zuckerberg ha assolutamente ragione: imputare a Facebook la colpa (o parte di essa) del risultato di queste elezioni è un atteggiamento miope e, paradossalmente, perfettamente in linea con le politiche editoriali che gli stessi media liberal hanno sfruttato per tutta la durata della campagna elettorale. Il principio secondo cui una piattaforma social come Facebook dovrebbe fungere da guardiana della democrazia è fallace e pericolosamente compatibile con le divisioni in compartimenti stagni (ricchi vs poveri, vecchi vs giovani, intelligenti vs ignoranti) che tanto comodo fanno a chi queste debolezze mediatiche le sfrutta.

Il problema della filter bubble, ancora prima di influenzare gli stessi lettori, ha influenzato l'atteggiamento dei media nei confronti delle notizie.

La novità è che questa volta il cosiddetto establishment non è riuscito a fermare un candidato che ha deciso di catalizzare il risentimento di un'intera fetta di popolazione, che per svariati motivi diversi è da anni ignorata da un intero impianto mediatico.

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FACEBOOK È ROTTO
Ciononostante, ignorare i problemi di Facebook pur di avvalorare la tesi di un cortocircuito mediatico fatale sarebbe un atteggiamento ingenuo e altrettanto dannoso: Facebook non è ancora la fonte primaria di notizie della popolazione—in particolare per la demografica che pochi giorni fa ha eletto Donald Trump presidente degli Stati Uniti—, ma è senza dubbio il termometro principale delle tecniche sfruttate dalla stampa per massimizzare l'esposizione.

Il problema della filter bubble, ancora prima di influenzare gli stessi lettori, ha influenzato l'atteggiamento dei media nei confronti delle notizie: la penetrazione all'interno della bolla sociale è possibile solamente attraverso l'utilizzo di titoli, immagini e concetti forti—Questo stesso articolo, sebbene in un certo senso ponderato nelle sue tesi, è stato presentato (da me) con un titolo estremamente categorico. Così facendo contribuisco all'ingrandimento del divario tra i poli di opinione, ma al tempo stesso è l'unica tecnica che posso sfruttare per sperare di farmi leggere da un pubblico fortemente de-sensibilizzato.

Alcuni dati demografici dagli exit poll del

The New York Times.

via

Secondo molti Facebook ha ormai bisogno di un public editor, una figura di carattere prettamente giornalistico che possa mediare su determinate scelte di carattere etico e deontologico: dal problema delle bufale fino alla censura, passando per il tipo di notizie a cui la piattaforma decide di esporci, è innegabile che Facebook funga da ponte fondamentale tra il pubblico e una grossa fetta di notizie. L'inaspettata vittoria di Donald Trump, però, è sintomo di un problema sociale e politico molto più profondo e che difficilmente (vuoi per ragioni pratiche ed economiche) potrà essere risolto con uno schiocco di dita dall'alto, con una semplice modifica all'algoritmo di visualizzazione di un social network.

L'INFORMAZIONE STA PERDENDO CONTATTO CON IL REALE
Il costante incremento nella diffusione di un tipo di informazione di carattere fortemente globalizzato (qui su Motherboard Italia, per esempio, una buona parte della nostra offerta editoriale è composta di articoli tradotti dalle edizioni estere) sta azzerando la sensibilità mediatica alle differenze e alle sfumature locali.

Il dibattito politico, in questo senso, sta subendo una forte verticalizzazione: le fazioni di rappresentanza ritrovano in figure mediatiche più o meno istituzionalizzate dei punti di riferimento fortemente polarizzati e incapaci (per le stesse dinamiche che regolano l'evoluzione dei media nell'era Facebook) di garantire un'informazione realmente eterogenea. Così facendo, l'assenza di una rappresentanza sociale e politica di carattere reale e locale si trasforma nel desiderio di un'informazione semplificata e priva di quelle sfaccettature fondamentali, per esempio, all'individuazione di un trend politico così forte da portare alla vittoria di un candidato atipico come Donald Trump.

Nei fatti, figure (anti)politiche di questo tipo non sono altro che il prodotto di un forte bisogno di comunicazione tra la popolazione e le istituzioni: in assenza di figure che possano svolgere questo compito, le demografiche più sensibili—le stesse che hanno votato Donald Trump e in un certo senso, in Italia, votano Movimento 5 Stelle—cercano altri punti di riferimento. La diffusione di bufale o notizie sensazionalistiche non sono altro che il prodotto dello stesso bisogno: le stesse demografiche cercano un'informazione alternativa e fuori dai circuiti di quella tradizionale.

In questo senso, il passaggio per Facebook è solamente un catalizzatore che colpisce e infiamma l'impianto mediatico e le fasce di popolazione meno sensibili a questa mancanza di comunicazione: quella di Donald Trump è una vittoria le cui ragioni sono da ritrovare a un livello di disagio sociale e politico molto più profondo del dibattito sugli algoritmi utilizzati da una piattaforma social—Certi lussi li riserverei a un secondo momento di dibattito maggiormente consapevole che deve necessariamente passare, prima, per la costruzione di un ponte che riunisca le fasce più sensibili alle istituzioni.