Le bugie peggiori che si inventa la gente pur di rimediare del sesso

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Le bugie peggiori che si inventa la gente pur di rimediare del sesso

Rispettando le bugie in quanto punto di incontro tra l'inventiva, l'autocontrollo e la propensione al rischio, abbiamo chiesto a un po' di persone di raccontarci le storie che hanno messo in piedi nel tentativo di portarsi a letto qualcuno.

Illustrazioni di Luis Armand Villalba.

Ci sono decine di studi che dicono che, per renderci appetibili, modifichiamo continuamente la nostra "persona pubblica" al fine di assicurarci un posto di lavoro, una consumazione gratis o la prosecuzione della specie. Spesso questo avviene mettendo in risalto alcuni nostri lati rispetto altri, ma altrettanto di frequente si mettono in campo vere e proprie distorsioni della realtà.

Nel caso delle relazioni, in cui il bisogno di farsi accettare dal prossimo porta a fare cose estremamente scomode o ridicole (come depilarsi la zona perianale o dichiararsi "profondamente spirituali"), le bugie fanno parte del pacchetto. Rispettandole in quanto punto di incontro tra l'inventiva, l'autocontrollo e la propensione al rischio, abbiamo chiesto a un po' di persone di raccontarci quelle che si sono inventati nel tentativo di portarsi a letto qualcuno.

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RAVE IN LANCIA Y

Quasi tutte le mie interazioni sessuali sono avvenute con ragazze che avevano un debole per ragazzi goffi e simpatici, visto che i miei lineamenti bonari, la mia voce acuta e la mia tendenza all'ansia non hanno mai reso particolarmente evidente la mia street cred. Ragazze tatuate, drogherecce e scapestrate hanno sempre subodorato che non avevo i requisiti—soprattutto di esperienze—per poter ambire al loro talamo. Qualche anno fa a una festa incontrai una ragazza che mi piacque da subito, e scandagliando il suo profilo Facebook notai a malincuore che aveva un debole per droghe leggere e pesanti, musica techno, serate discole e ragazzi dai lineamenti aguzzi e aggressivi. Visto che non avevamo mai avuto scambi in un ambiente in cui avrebbe potuto notare la mia stoltaggine, e che mi piaceva molto, decisi di inventarmi una realtà parallela solo per lei: una realtà in cui ero l'equivalente di Jeremy Meeks, il criminale più bello del mondo. D'altra parte aveva cinque anni meno di me, quindi confidavo nell'inesperienza. Cominciai a mettere mi piace a qualche suo status, con commenti mirati, e quando arrivò il pretesto per parlarle via messaggio privato cominciai la mia recita: parlammo di tutte le droghe che ci eravamo fatti, delle feste estreme a cui eravamo stati, della gente assurda che avevamo conosciuto. Inventai tutto di sana pianta, attingendo a ogni stereotipo possibile e immaginabile. Accettò di uscire a bere insieme una sera, e durante l'ora successiva la bombardai di dettagli talmente arzigogolati che alla fine credevo realmente di essere un ragazzaccio. Funzionò: dopo infinite cazzate e un numero sufficiente di birre per non farmi venire un attacco di panico, scopammo nella mia Y—una macchina piuttosto inconsueta per il raver per cui mi ero spacciato—Alessio, 28 anni.*

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I "MIEI" COINQUILINI

A 27 anni, dopo l'università a Milano, diversi stage sottopagati all'estero e una relazione finita male ho deciso di tornarmene a Roma per un po', per rimettere insieme i pezzi e decidere cosa fare della mia vita. Non potendomi permettere un posto tutto mio, riprendere possesso della mia camera, nella casa dei miei genitori, era sembrata l'unica via percorribile. Una via temporanea, mi dicevo, anche se ho finito per passarci un anno e sei mesi.

Avevo un bagno tutto per me, e un secondo ingresso sul pianerottolo che portava direttamente al corridoio della mia stanza, ma era mia madre a lavarmi maglie e mutande come quando avevo 16 anni. Questo, unito al fatto che la relazione di cui sopra era finita con la frase "mi sono accorta che in questi anni non ero davvero innamorata di te," mi aveva fatto pensare di stare per qualche tempo alla larga da ragazze, sesso e amore, e di conseguenza dall'eventualità di dover portare qualcuno in casa.

Una sera però, in discoteca, ho conosciuto un'americana in vacanza in città. Tutto è andato benissimo finché, rimasti soli, lei mi ha chiesto di andare da me. Ovviamente ho detto di sì (cosa potevo fare, dopo mesi di astinenza?!), e appena saliti in motorino ho avviato una serie di calcoli rapidissimi di studio delle possibilità. Chiamare un amico per implorarlo di prestarmi casa, alle quattro di notte? Difficile. Farle credere di non trovare le chiavi, e convincerla a farlo nella macchina di mio padre parcheggiata sotto? Patetico. Dirle la verità, passando per l'italiano mammone che ero? Rischioso. Dare finalmente un'utilità alla chat Whatsapp di famiglia, implorando i miei e mio fratello di non lasciare le loro stanze per nessuna ragione perché ero con una ragazza? Non potevo essere così disperato.

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L'unica era lasciare tutte le luci spente, inventare una storia sul silenzio assoluto dovuto a coinquilini lavoratori che devono svegliarsi presto, pregare che mio padre non avesse bisogno di qualcuno dei miei libri alle quattro e mezza di notte (opzione che in quel momento mi appariva ragionevolissima) e sperare che l'arredamento passasse inosservato. E, ovviamente, riportarla in ostello con qualche scusa prima che la mia famiglia si svegliasse.

Sembra impossibile, viste tutte le variabili in gioco, ma la cosa è riuscita. Per due notti di seguito, dopo le quali lei è ripartita ignara di tutto. Due settimane dopo mi sono sbarazzato dei poster sopra al letto, ho convinto mia madre a spostare le foto della Prima Comunione dal mobile d'ingresso e ho iniziato a mettere le mie mutande in lavatrice—Matteo, 30 anni.

SUPERFIGHETTO E MEGATIPINA

Erano i primi anni Duemila, l'anonimato su internet era ancora garantito causa inesistenza di Facebook e la noia dei miei pomeriggi adolescenziali era tale da spingermi a passare il tempo su Supefighetto e Megatipina a chattare con persone convinte, come me, che i capelli tinti di viola, le cinture borchiate e le stelline disegnate sui polsi col pennarello fossero una forma accettabile di mostrarsi pubblicamente. In questa comunità virtuale in cui il tuo giovane avatar partiva nudo e doveva guadagnarsi fama e vestiti attraverso interazioni, lavoretti e il giudizio del prossimo, era possibile recarsi in una determinata stanza e conversare privatamente con le persone presenti.

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Come prevedibile, queste conversazioni private potevano sfociare in un goffo copione fatto di "ti bacio il collo"/"inizio a sbottonarmi la camicia"/"faccio scendere la mano verso i tuoi pantaloni," e il fatto che in qualche modo ignorassi che tutta la comunità era un progetto sponsorizzato dai prodotti per l'acne della Nivea mi aveva spinto a usare le chat per esercitare le mie pulsioni in quella direzione.

Per farlo senza sentirmi troppo in colpa mi spacciavo per diverse cose che non ero (tra cui: una diciottenne), e per un po' ho chattato con un tizio in particolare, presentatosi come il figlio del gestore di un locale del bergamasco con disponibilità di biglietti gratuiti per l'imminente concerto dei Verdena (ok). Arrivati a scambiarci i numeri e successivi sms con la promessa di incontrarci al concerto ho però capito una cosa: teletrasportarmi da sola, a 14 anni, a un concerto a 100 km di distanza sarebbe stato impossibile. Così ho troncato la nostra relazione con una scusa a caso, senza la possibilità di scoprire se lui era davvero quel tipo di Zingonia con una Les-Paul-qualcosa e la palestra in casa—Eugenia, 27 anni.

BUGIE CON LE ALI

Ho studiato per diventare pilota d'aereo, ma poi sono finito a fare un altro lavoro. E come molti, ho passato una fase in cui mi andava di divertirmi senza impegno, così ogni volta che conoscevo un ragazzo dicevo di lavorare per una compagnia aerea e di essere a casa per pochi giorni a settimana. In quel modo ero io a controllare la situazione, con la possibilità di cacciare la gente dal mio letto con la scusa di un volo intercontinentale il giorno dopo.

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Poi però ho conosciuto un ragazzo con cui mi trovavo particolarmente bene, e da una volta sola abbiamo iniziato a vederci più spesso, fino a decidere di metterci insieme.

Il mio lavoro mi permette comunque di viaggiare molto, perciò non è stato difficile tenere in piedi la storia del pilota e vederlo tranquillo ogni volta che annunciavo una partenza—almeno all'inizio. Perché col passare del tempo la mia routine appariva palesemente troppo regolare, e per mantenere la facciata mi ero ritrovato a trascorrere serate coi miei amici, rincasare all'alba con il borsone e prepararmi per andare al mio vero lavoro il giorno dopo. A un certo punto sono rimasto a casa di un amico per una settimana, mentre il mio ragazzo era convinto fossi a Sydney.

Come prevedibile una sera mi ha beccato in giro, anche se il mio piano di volo mi dava a migliaia di chilometri da casa. Era troppo tardi per dire la verità, ma me lo sono meritato—Jorge, 29 anni (testimonianza raccolta da Alba Carreres).

IL PARADOSSO

Fingere di "saper" fare sesso per poter fare sesso: è questo il paradosso ultimo delle palle raccontate a scopo sessuale? Non lo so, ma per il mio io 15enne non doveva sembrare una questione su cui interrogarsi troppo se, vergine e nella speranza di conquistare punti con la mia fidanzata dell'epoca, avevo millantato esperienze e capacità degne di un attore porno.

Gli aneddoti c'erano tutti, ed erano inattaccabili: la ragazza della località di mare strategicamente posta in un'altra regione (un grande classico), un'amica di una cugina di Rimini (che non mi aveva nemmeno lasciato infilarle la mano sotto la maglietta) e studentesse della scuola che avevo frequentato prima di trasferirmi con mia madre (grazie divorzio dei miei, fonte di storie perfette anche per le mie relazioni successive).

Peccato che quest'ansia di costruirmi una reputazione perfetta mi avesse assorbito a tal punto da impedirmi di notare che la mia ragazza, fuori da scuola, limonava con un altro—Vittorio, 25 anni.

*Alcuni nomi sono stati cambiati, perché abbiamo a cuore anche la privacy di chi racconta bugie.

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