Cultura

David LaChapelle trasforma ogni persona che fotografa in una divinità

fotografii cu vedete david lachapelle

Warhol mi disse: “Fa’ quello che ti pare, l’importante è che tu faccia sembrare tutti belli”

David LaChapelle è convinto di essere un vettore del potere celeste. “Ho alcune foto con cui io ho avuto davvero poco a che fare. Mi sono svegliato nel mezzo della notte con un’immagine nella mente dopo aver pregato per avere un’ispirazione,” ha detto il fotografo a VICE per telefono. All’inizio ero sorpreso di sentire una persona con una carriera così lunga e importante, legata ad alcuni dei personaggi più famosi del mondo—allievo di Andy Warhol, scopritore di Paris Hilton e Amanda Lepore, fotografo di Whitney Houston, Elizabeth Taylor e Tupac Shakur—, descrivere il suo lavoro con tanta umiltà. Ma poi ho capito che è il suo credo artistico e personale.

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“Sono felicissimo di fare una mostra a New York, è il posto in cui mi sono formato,” ha esordito il fotografo parlando di make Believe, la sua prima mostra esclusiva negli Stati Uniti. “Il pubblico di New York non è facile, sai… Se ce la faccio lì…” Ha lasciato in sospeso il famoso motto per lanciarsi a piena voce in “New York New York” di Frank Sinatra. La retrospettiva è al museo Fotografiska di New York dal 9 settembre 2022 all’8 gennaio 2023 e comprende 150 opere realizzate in oltre quattro decenni.

Naomi Campbell nuda fotografata da David LaChapelle
‘Naomi Campbell: Have You Seen Me?’ (1999, New York) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York

All’età di 15 anni, LaChapelle lasciò la casa in cui era cresciuto in Connecticut e si trasferì a Manhattan. Erano gli anni Ottanta. Iniziò la carriera di artista nell’East Village, dove si immerse nella brulicante vita notturna e si fece le ossa nella famosa rivista Interview diretta da Andy Warhol. I suoi primi lavori, influenzati dall’incertezza esistenziale della dilagante epidemia di HIV/AIDS, ritraevano i suoi amici malati con addosso ali da angelo e irradiati di luce sacra.

Più avanti, LaChapelle si è cimentato in lavori più spettacolari, fantastici e ad alto budget, come la moda e la fotografia pubblicitaria, esplorando i temi dell’artificialità e una sorta di provincialismo onirico. Una foto del 2002, “I Buy A Big Car For Shopping” (“Compro un’auto grande per fare la spesa”) vede una donna bionda con uno sfondo di villette a schiera. Dietro di lei, un SUV è coinvolto in un incidente frontale con una gigantesca lattina di Coca-Cola. Trattandosi pur sempre di una produzione LaChapelle, la modella sanguinante e arruffata ha comunque l’aria di essere pronta per la passerella.

Foto di David LaChapelle: una modella in piedi davanti a un SUV che si è scontrato con una gigantesca lattina di Coca-Cola.
‘I Buy a Big Car for Shopping’ (2002, Los Angeles) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York

Nei sontuosi ritratti che LaChapelle pubblica sulle riviste, il concetto di celebrità è intriso di iconografia religiosa: Kim Kardashian è Maria Maddalena che piange un ruscello scintillante di lacrime; Kanye West è Cristo torturato dalla corona di spine.

Lo stile unico di LaChapelle nel creare ritratti può essere visto come una celebrazione surrealista della cultura contemporanea e allo stesso tempo una satira pungente che ricorda agli Americani i loro peccati più gravi. Per la cartolina natalizia della famiglia Kardashian-Jenner che ha scattato nel 2013, ha radunato 500 tabloid dalle copertine ornate con i volti onnipresenti della famiglia e ha disposto sorelle e compagnia su uno scenario post-apocalittico fatto di loro stesse.

Oltre al suo lavoro da fotografo, LaChapelle ha diretto video musicali per così tante dive da Top 40 che non stiamo nemmeno ad elencarle e, nel 2005, un documentario sul ballo di strada nel quartiere South Central di Los Angeles, e pubblicato svariati libri d’arte. Attorno a metà anni Duemila, ha preso una pausa dal lavoro pubblicitario e ha lasciato New York per una fattoria isolata a Maui. Alcune delle sue creazioni più recenti arricchiscono il suo immaginario religioso esplorando la serenità divina delle vedute Hawaiiane.

Foto di David LaChapelle: un uomo nudo illuminato di rosso si apre uno squarcio nel petto con le mani da cui esce una luce gialla.
“Light Within’ (1986, New York) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York

La mostra make Believe è il culmine della sua carriera dinamica e interdisciplinare. Chapelle ha parlato con VICE della retrospettiva, di come si è evoluta la sua ispirazione e di quello che ha lasciato al mondo in più di quarant’anni di carriera.

L’intervista è stata editata e tagliata per chiarezza.


VICE: Hai lavorato a Interview di Andy Warhol negli anni Ottanta. C’è una lezione che hai imparato grazie a quella esperienza che ti porti dietro ancora oggi?

David LaChappelle: Warhol mi ha dato conferma di un’idea che avevo già. Una volta ero nel suo ufficio e mi ha detto: “Fa’ quello che ti pare, l’importante è che tu faccia sembrare tutti belli.”

Andy Warhol fotografato da David LaChapelle.
‘Andy Warhol: Last Sitting’ (1986, New York) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York

E poi ho imparato una lezione ancora più importante. I miei amici che andavano alla Parsons e al FIT a quei tempi erano cattivissimi con Andy. Mi dicevano: “Perché lavori per lui? È finito ormai.” Erano davvero cinici.

Quando è morto non era apprezzato dal mondo dell’arte. L’Europa lo apprezzava, e anche l’Asia. Ma New York no. Lui voleva soltanto una mostra al MoMA, il Museo di Arte Moderna. L’ha desiderata per tutta la vita, ma non l’ha ottenuta finché non è morto. È stata la più grande mostra della storia del museo, ma hanno voluto aspettare che fosse morto. Tutti dicevano: “Oddio, ma quest’uomo è un genio!” E io pensavo a quelli che lo prendevano in giro. Era sempre fuori, così i critici d’arte sibilavano: “Come può essere un artista serio?”

Ho visto il cambiamento avvenire. Con il passare degli anni è diventato chiaro che la prima metà del XX secolo è appartenuta a Picasso, mentre la seconda a Andy Warhol.

**I tuoi primi lavori ritraevano uomini con l’AIDS nel ruolo di angeli del cielo. Come ti è venuta questa idea?
**Beh, le persone nelle foto erano mie amiche. Improvvisamente, nei primi anni Ottanta, vidi diffondersi attorno a me questa pestilenza. [Il CDC irresponsabilmente] chiamò [le persone a rischio di contrarre l’AIDS] il “club delle quattro H”: eroinomani, omosessuali, emofiliaci e Haitiani. Ebbi una specie di premonizione fin dall’inizio che si sarebbe trattata di una epidemia e che sarebbe stata enorme. A oggi, sono morte oltre 33 milioni di persone.

La premonizione fu molto reale. Ero stato alla mostra di Robert Mapplethorpe quella sera e mi trovavo seduto in un angolo a farmi trasportare dall’immaginario e dai ritratti. Provai una strana sensazione. Tornando a casa, sotto la pioggia, scoppiai a piangere a dirotto ed ebbi la visione di questa piccola cosa che sarebbe diventata una gigantesca piaga biblica globale. E poi, infatti, la gente cominciò a stare male. Il mio fidanzato morì di AIDS nel 1984. Io avevo 21 anni, lui 24. Ero sicuro di avercelo anch’io.

Foto di David LaChapelle. Un uomo con le ali da angelo in piedi sul bordo di una scogliera.
‘Fly On My Sweet Angel Fly on to the Sky’ (1988, Farmington, Connecticut) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York

Non credevo che sarei stato sulla Terra ancora a lungo, quindi cercavo uno scopo per la mia vita. Non mi importavano i soldi né l’eredità artistica. Mi importava solo creare belle immagini da donare al mondo, e quelle foto di angeli lo erano. Usai tutti i soldi che avevo in banca per far disegnare quelle ali. Volevo fotografare lo spirito degli angeli. Mi avvicinai davvero a Dio. Sono vicino a Dio fin da quando ero bambino. Ma quello fu il momento in cui mi trovai faccia a faccia con la morte. Pensavo che sarei morto. Perché non sarei dovuto morire? Non facevamo sesso sicuro. Nessuno lo faceva.

Foto di David LaChapelle. Una persona nuda seduta su una palla azzurra viene accarezzata da un'altra persona nascosta in mezzo alle nuvole.
‘1 Samuel 18:1: … the soul of Jonathan was knit with the soul of David and Jonathan loved him as his own soul’ (2021, Los Angeles) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York

Hai anche incorporato un immaginario religioso nella fotografia delle icone pop. Per esempio, la tua copertina di Rolling Stone con Kanye West nel ruolo di Cristo sanguinante. Puoi spiegarci meglio perché hai deciso di ritrarre le celebrità come divinità?Intorno a quel periodo avevo fatto un Gesù Mediterraneo e un Gesù Anglosassone. Dovevo scattare Kanye per Rolling Stone e decisi di approfittarne per un’altra foto della mia serie. Era l’anno di uscita di La Passione di Mel Gibson e io la riprodussi alla perfezione. Cioè, lo sfondo, ogni spina che potevamo mettergli in testa—era proprio come il poster. Non credevo che la rivista l’avrebbe messa in copertina.

Volevo ritrarre un Gesù nero. Volevo ritrarre Cristo in modi diversi e con diversi colori di pelle perché la Bibbia ci dice che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. E tra noi siamo anche diversi. È un fatto che ho sempre trovato molto interessante. Il modo in cui lavoro è molto intuitivo e faccio soltanto quello che mi piace. Sono stato fortunato a potermi permettere di seguire il mio cuore.

Foto di David LaChapelle. (Sx) Kim Kardashian nuda con stelle filanti come lacrime e una galassia proiettata su di sè. (Dx) Kanye West con una corona di spine
‘Mary Magdalene: Abiding Lamentation’ (2018, Los Angeles) e ‘Kanye West: Passion of the Christ’ (2006, Los Angeles) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York

**Hai iniziato lavorando con la fotografia analogica e la stampa cartacea. Oggi gran parte della fotografia è consumata e mediata tramite Instagram. La tecnologia degli smartphone ha cambiato in qualche modo il tuo approccio nel creare questi scenari straordinari?
**No. Non volevo usare Instagram e ho resistito per anni. Non volevo che le mie foto venissero viste così in piccolo. Volevo che le persone facessero lo sforzo di guardare un libro o andare a una mostra. Ma abbiamo fatto un tour di promozione del libro e Johnny Byrne, il mio assistente di studio, ha detto: “È ora che tu lo faccia.”

Dopo un po’ ho iniziato a divertirmi. Per la promozione del libro è stato molto utile stabilire un rapporto con il pubblico. Non passo molto tempo su Instagram a guardare le cose perché non mi fa stare bene. Sto molto attento a quello che digerisco con gli occhi e non voglio guardare cose a caso.

Quando ero un ragazzino, avevo il libro di Richard Avedon che raccoglieva i suoi migliori lavori. Lo aveva editato e assemblato pagina per pagina. Ogni foto aveva capelli e trucco perfetti, e i migliori vestiti. Pregai mio padre di comprarmelo quando avevo 14 anni. Giuro che conoscevo ogni foto a memoria. Lo assorbii per osmosi. La differenza tra guardare un libro di Avedon e Instagram è che oggi devi rovistare in mezzo a un sacco di immagini del tutto mediocri, strambe e brutte. Nel libro non c’era immondizia.

Amanda Lepore fotografata da David LaChapelle con trucco pesante che emula Marilyn Monroe
‘My Own Marilyn’ (2002, New York) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York

I miei primi lavori sono ancora validi e possono ancora finire in un museo perché non correvo dietro alle mode. Facevo quello che mi veniva. Tutti [negli anni Ottanta] avevano i capelli corti e a spazzola e io volevo fare cose in stile rinascimentale, botticelliano. Ci sono tanti giovani oggi che usano riferimenti a cose fatte la settimana scorsa o l’anno scorso. Andate a guardare i libri di storia e lasciatevi ispirare dalla storia dell’arte e dai dipinti. Non c’è storia dell’arte su Instagram.

**A metà anni Zero hai preso una pausa dalla fotografia pubblicitaria. Cosa ti ispira e ti stimola a lavorare oggi?
**Sinceramente, la preghiera. Prego per avere ispirazione e arriva. È per questo che non sono stato in grado di fare una MasterClass. Me ne volevano far fare una qualche tempo fa, mi hanno detto: “Farai un sacco di soldi.” Ma non posso essere sincero e parlare di preghiera come parte del mio processo creativo. Ma se non ne parlassi, mentirei. Se lo insegno in una MasterClass, la gente rivorrà indietro i soldi.

**Stai dicendo che viene da dentro di te?
**Viene da Dio. Ecco perché quando sento tutto questo parlare di orgoglio—sono orgoglioso del mio lavoro, orgoglio, orgoglio, orgoglio—mi viene da dire ma l’umiltà è importante. Umiltà. Non intendo falsa modestia. Sono molto fortunato e privilegiato ad avere l’opportunità di fare arte. Ci sono così tante persone su questo mondo che devono affrontare guerra, povertà, fame e sofferenza e vogliono trasformare queste cose in arte. Io non sono orgoglioso. Io sono benedetto. È un dono. È una cosa di cui essere grati e per cui bisogna avere fede in Dio. Nessuno potrebbe convincermi del contrario. Parlo solo per me stesso. So da dove viene la mia ispirazione, e non viene da me.

Tupac Shakur nudo sotto la doccia fotografato da David LaChapelle.
‘Tupac Shakur: To Begin Again 1’ (1996, Los Angeles) – ©David LaChapelle, per concessione di Fotografiska New York