In Halt! and Catch Fire, la strepitosa serie di AMC sulla genesi dell’informatica di consumo, c’è una scena in cui alcuni dei protagonisti sono impegnati a maneggiare un server mainframe quando di punto in bianco si rendono che, se loro a fine giornata vanno a dormire, il server non ha bisogno di farlo: così iniziano a vendere la potenza di calcolo prodotta durante la notte dal loro mainframe ad altre aziende e improvvisamente diventano incredibilmente ricchi (non proprio ma vabé).
Il concetto alla base di questa scena, però, è lo stesso che ha permesso all’automazione delle operazioni informatiche di diventare in poco meno di 20 anni una delle industrie più proficue e in rapida espansione della storia. Automatizzare un lavoro non significa soltanto sostituire un operatore umano, significa anche aumentare i ritmi e i tempi di lavoro. Ci sono mille problemi di efficienza, di precisione e di affidabilità, ma la premessa mi sembra quantomeno promettente.
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L’artista italiano Guido Segni è della stessa idea, per questo ha appena lanciato su Patreon ‘Demand Full Laziness‘, un programma della durata di 5 anni in cui un algoritmo si occuperà di produrre opere d’arte al posto suo. L’obiettivo, oltre che diventare incredibilmente ricchi, è riappropriarsi del diritto di essere pigri e di negare la corsa alla produttività. Per qualche motivo una causa che sento incredibilmente vicina.
“Avete mai dato una mano ad un algoritmo così da dare ad un artista la possibilità di essere pigro, e nel mentre ricevere delle vere opere d’arte come ricompensa? Se non l’avete mai fatto, questo è il momento giusto per cominciare,” si legge nel lancio del Patreon. Il piano quinquennale di Guido Segni è “una performance artistica duratura sull’arte, il lavoro, il sostentamento personale e la pigrizia” che sfrutterà una serie di algoritmi di deep learning per produrre automaticamente delle opere d’arte e che verrà finanziato da una rete di supporter di Patreon che, ricevendo in cambio le opere prodotte dall’algoritmo, si trasformeranno automaticamente in committenti del piano.
“Ho molti motivi per cui sento ‘il diritto alla pigrizia’ come una questione fondamentale,” mi ha spiegato Guido Segni in uno scambio email. “Sono stanco perché nella mia esperienza personale, così come in quella di molti miei coetanei, il lavoro ha pervaso ogni dimensione dell’esistente imponendo con forza i suoi diktat: i tempi fuori controllo, la reperibilità 24/7, la competizione selvaggia, la disgregazione di ogni forma di cooperazione tra pari, e chi più ne ha più ne metta.”
Analizzare il rapporto tra società odierna e lavoro non è una questione scontata, anche e sopratutto perché, per esempio, il primo articolo della nostra Costituzione specifica come la Repubblica italiana sia “fondata sul lavoro.” “Nell’attuale contesto di trasformazione tecnologica, il diritto alla pigrizia rappresenta non tanto il fine ultimo ma un orizzonte immaginifico verso cui guardare per realizzare un piano di emancipazione progressiva dal lavoro,” continua Guido Segni.
Resta da capire come poter portare avanti un percorso di esplorazione, anche artistica, attraverso metodi e pratiche compatibili con la società — Cosa significa far lavorare un algoritmo al posto proprio? “Per questo primo anno del piano — con l’aiuto e il supporto di Michele Toni, esperto di intelligenza artificiale — abbiamo messo in piedi un sistema basato su reti neurali addestrate per realizzare dei ritratti di me durante il momento del riposo: mentre leggo, dormo o semplicemente mi godo il dolce far niente,” spiega Guido Segni. “È stato come insegnare a disegnare a un bambino: ho (ri)posato di fronte a una telecamera che mi osserva e mi registra al fine di creare un dataset di immagini che permetta all’algoritmo di ‘immaginare’ e produrre ritratti sempre differenti.”
Il passo successivo è distribuirle, “Gli algoritmi generano le opere in formato digitale e le archiviano in lotti di produzione che saranno poi realizzati fisicamente e distribuiti periodicamente come ricompensa a chi sottoscrive il Patreon del progetto.”
Ma al netto di questo processo emerge una domanda (e dal mio punto di vista, una necessità) interessante: il fatto che un algoritmo lavori incessantemente in piena autonomia mi autorizza, di fatto, a spremerlo come un limone? Supportare il progetto di Guido Segni significa, in qualche modo, pagare l’algoritmo? “Dopodiché è vero che l’aspetto economico e l’atto di “pagare” sono funzionali al progetto ma personalmente credo che Demand Full Laziness sia prima di tutto una storia. Ed è questa che supporta chi intende sottoscrivere il patreon del progetto,” mi spiega Guido Segni, “La storia vuole implicitamente immaginare nuove forme di emancipazione dal lavoro mentre le opere prodotte sono invece le prove tangibili di questa storia e, allo stesso tempo, una ricompensa per chi a questa narrazione vuole provare a credere.”