L’attività online di Denis Dosio non è particolarmente complicata: è un 18enne di Forlì che fa stories su Instagram mostrandosi spesso a petto nudo, sistemandosi il ciuffo, facendo facce conturbanti, e chiamando “viziatine” le sue seguaci (ad oggi, l’account ha oltre 440mila follower).
Fino a poco tempo, il nome di Dosio era conosciuto solo lì o al massimo su YouTube, dov’è diventato il bersaglio di diversi canali. Tutto è però cambiato quando Barbara D’Urso l’ha invitato a fine maggio a Pomeriggio Cinque, trasformandolo in un meme istantaneo e moltiplicando follemente la sua esposizione —non senza spiacevoli conseguenze. Per provare a capire questa “star del web che si shpoglia tutto quanto,” come l’ha definito D’Urso, proponiamo un commento di Costantino Della Gherardesca.
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Il 23 aprile del 1991, nella stanza numero 37 della St. Peter House a New Orleans, in Louisiana, morì Johnny Thunders. La causa, secondo Willy DeVille, altro leggendario musicista eroinomane, fu un’overdose di metadone. Qualcuno aveva venduto a Johnny dell’Lsd e lui, per calare da un trip eccessivamente forte, si era scolato due bocce di metadone che gli furono fatali.
Negli anni successivi, la vita e le circostanze equivoche del decesso sono state oggetto di voyeurismo da parte dei media “in vogue”. Sono usciti libri che hanno romanzato ogni presunto problema di salute di Thunders: dalla leucemia a una “romantica” ipotesi di Hiv, ogni sua situazione di disagio è stata amplificata al punto di ritrarlo come una novella Madame Bovary. Le riviste di moda londinesi hanno regolarmente pubblicato servizi fotografici ispirati a lui, e tanti stilisti parigini hanno realizzato intere sfilate nelle quali copiavano i suoi look dei primi anni Ottanta.
Ma questa morbosa curiosità non era che l’inizio. L’apice della popolarizzazione del voyeurismo, infatti, fu raggiunto nel 1995, con l’uscita del film Kids. Eccovi, in breve, la ricetta dietro questa “trappola”: Larry Clark, un fotografo che—come al solito—giustifica il suo voyeurismo rivendicando origini sottoproletarie, decide di fare il regista entrando in contatto con un milieu borghese di New York. Lo sceneggiatore è Harmony Korine, che in quegli anni girava con Leonardo DiCaprio e con David Blaine, un prestigiatore (all’epoca lo chiamavano magician) che lavorava alle feste dei miliardari ed era noto per le sue liaison con famose fotomodelle.
In Kids vari giovanissimi mondani si travestirono (o, se preferite, “recitarono all’italiana”) da disagiati, sieropositivi e tossicodipendenti. Larry Clark li riprese in modo “documentaristico” (cioè traballante: la cinepresa era sempre una, come fosse una macchina fotografica). Il film costò appena 1,4 milioni di dollari e ne incassò oltre 20. Ma, al di là del successo di pubblico, a sorprendere fu il riscontro mediatico: per mesi non si parlò d’altro.
Pochissimi critici smascherarono l’operazione: qualche bacchettone si soffermò sugli aspetti pedopornografici del film, qualche femminista lo considerò misogino (solo i personaggi maschili avevano una voce) e giusto qualche esperto di cinema oltranzista dichiarò che, comprensibilmente, non si trattava certo di Sokurov. Il pubblico di allora, va detto, non era ancora sceso ai livelli di quello odierno (che ha le croci celtiche tatuate in faccia ed è disposto a vedere soltanto Superhero Movies), ma non era neanche quello che nel 1911 andò a vedere Der Rosenkavalier a Dresda. La maggior parte dei giovani spettatori e dei giornalisti di costume furono entusiasti di Kids. Eppure, per quanto fosse un inganno, a questo film va riconosciuto il merito di aver colto lo spirito del tempo: col senno di poi, infatti, possiamo dichiarare quell’epoca l’era del voyeurismo mediatico.
Oggi l’era del voyeurismo è finalmente giunta al suo termine, anche se i figli degli anni Novanta rimarranno sempre dei voyeur. Ma cosa comporta il post-voyeurismo? E qual è un esempio di post-voyeurismo?
Tutti ricordano l’evento epocale che nel 2001 segnò la città di New York. In pochi, invece, hanno memoria di quello che, lo stesso anno, accadde a Forlì: la nascita di Denis Dosio.
Chi è Denis Dosio? Non si può rispondere a questa domanda senza prima capire la complessità del post-voyeurismo, perché il post-voyeurismo è per natura complesso come la globalizzazione che lo accompagna. L’aspetto fondamentale del post-voyeurismo è che non cavalca una necessità di appartenenza: Johnny Thunders voleva appartenere al mondo del blues e poi del dixieland, i fan del punk rock volevano appartenere al mondo di Johnny Thunders, Harmony Korine voleva appartenere al mondo di Larry Clark prima che divenisse un regista, i ragazzi europei che impazzivano per Kids avrebbero voluto appartenere alla scena hip di New York, quella in cui Chloë Sevigny poteva finire in un video dei Sonic Youth. Nessuno, invece, vuole appartenere al mondo di Denis Dosio, nemmeno le “viziatine” (così lui chiama le sue fan). Possiamo ridurre il tutto a: “Sì, ma Chloë Sevigny era una figa e Denis Dosio è uno sfigato”? Assolutamente no!
I video di ragazzi “espliciti” funzionano meglio di quelli di ragazzi semplicemente “belli”, anche nella fascia di pubblico più giovane. Denis Dosio soddisfa questo criterio. Lui si propone continuamente levandosi la camicia e facendo vedere gli addominali. Oltretutto, Denis Dosio non formula frasi compiute, ma questo non vuol dire che sia come Julien Donkey-Boy. Tuttalpiù vuol die che è (mal) sincronizzato con la dinamica “era dell’attention deficit”.
Diversamente dai contorti poseur che si proponevano come oggetti del desiderio negli anni del voyeurismo (ma fingevano disinteresse e priorità etiche e intellettuali che non fossero la propria celebrità), Denis Dosio vive in un’epoca in cui non si può più perdere tempo con l’ipocrisia. Durante una puntata di Pomeriggio 5, Barbara D’Urso e Lory Del Santo hanno chiesto a Denis di guardare dritto in camera e dire “Ehi, boccongino [sì, proprio con la G], sono disposto a tutto, dimmi cosa devo fare per arrivare.” Lui ha obbedito e subito dopo, come richiesto, si è tolto la camicia.
Per capire Denis Dosio bisogna capire il post-voyeurismo, e per capire il post-voyeurismo bisogna capire l’arte e quindi andare oltre il cinismo del capitalismo. Recentemente al Tropenmuseum di Amsterdam c’è stata una mostra sull’Hajj, il pellegrinaggio musulmano alla Mecca. In un’installazione video particolarmente efficace, una ragazza dice che l’Hajj comincia nel momento in cui decidi di farlo, non quando parti o quando arrivi in Arabia Saudita. Dal momento in cui inizia l’Hajj, sostiene la ragazza, entri in uno stato di estasi. Non riesco a immaginare la sensazione che prova la ragazza musulmana, ma posso azzardare il mio equivalente spirituale: andare in guerra, volontariamente. Preso da una missione che ti riempie lo spirito, ti ritrovi nella mensa di una portaerei e sullo schermo di una tv passa Canale 5. Vedi Denis Dosio, vedi “il vuoto,” ma tu sei “pieno” e a quel punto lo capisci. Il tuo giudizio, certamente, non è positivo, ma nell’era del post-voyeurismo, della post-appartenenza, i giudizi morali sono obsoleti.
Col voyeurismo eri vuoto e cercavi il pieno spirituale altrui. Adesso, si spera, hai imparato qualcosa e hai capito che dall’altra parte dello schermo, che ci sia Chloë Sevigny o Denis Dosio, è tutta una televendita. Quel che conta è non giudicare, non indignarsi: è questo che distingue gli esseri umani dalle mezze calze.
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