Franchino in consolle all’Obihall di Firenze per il ventennale di Metempsicosi. Tutte le foto di Guido Borso.
Quand’ero piccola mi piaceva la favola di Pollicino. Diceva più o meno, “Pollicino era l’ultimo e il più piccolo dei bambini, perciò quando nacque, il papà e la mamma dissero, ma cosa dobbiamo farcene di questo bambino così piccino? Portiamolo nella foresta. Quando si accorse che la mamma e il papà lo volevano abbandonare, Pollicino si mise in tasca dei sassolini bianchi. Quando arrivarono nella foresta papà gli disse, Pollicino aspettami qua, e il vigliacco scappò. Pollicino piccolino piccoletto, ricordandosi dell’afterhour precedente cominciò a raccogliere i sassolini uno dopo l’altro, e li mangiava. E quando arrivò all’ultimo si ritrovò in afterhour. Afterhour. Afterhour.” La voce narrante di questo audiolibro IRL era quella di Franchino, e in consolle—era una favola musicale—c’erano Paolo Kighine e Mario Più.
Si chiama Disco Storia o scena progressive, è nata con gli anni Novanta ed è stata la gallina dalle uova d’oro della musica da club italiana—la voluta imprecisione è dovuta al fatto che la musica era un insieme di house, techno, trance, dance. Più che uniti da un genere, i suoi protagonisti erano infatti uniti dalla volontà di rispondere al bisogno del pubblico di portare al limite il concetto di divertimento.
Se vogliamo trovare un patronimico musicale, la scena nasce quando la house music arriva in Italia: siamo a fine anni Ottanta. Ma “il termine progressive è un po’ restrittivo,” mi corregge Mario Più, dj e membro di Metempsicosi— l’etichetta/agenzia/gruppo di amici fondato da lui insieme a Franchino, Ricky Le Roy, Joy Kitikonti, Luca Pechino e 00Zicky che ho raggiunto in occasione della celebrazione del loro ventesimo compleanno. “La musica progressive in sé e per sé è arrivata dall’Inghilterra intorno al ’95, ma in Italia si è subito modificata in Mediterranean progressive. In realtà, in quello che suoniamo ci sono moltissime sfaccettature, il pubblico la chiama progressive perché ci è comodo usare le etichette. Ma se dovessi proprio dirti che cos’era, era tutta house fatta in casa.”
Ricky Le Roy.
“Negli anni Novanta è scoppiato il filone di musica viaggiosa, che partiva piano e saliva in maniera molto progressiva,” aggiunge Joy Kitikonti, dj da più di 30 anni e produttore. “Oggi la Progressive house è musica commerciale, mentre noi negli anni Novanta facevamo una roba molto ricercata e pura, tutto un viaggio mentale con sonorità meditative—tipo la goa trance ma molto più morbida e piacevole.”
“Un viaggio mentale” è esattamente quello che mi viene in mente quando penso che la scena progressive è tutt’uno con la formula mezzanottemezzogiorno, feste da 12 ore continuative che allo scoccare degli anni Novanta si sono affermate come marchio di fabbrica di club come l’Imperiale di Tirrenia e l’Insomnia di Ponsacco.
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Luca Pechino
Il luogo di nascita di questa scena è infatti un’area geografica che poco ha a che fare con le tendenze attuali e l’internazionalità delle città italiane più grandi. Chi ha vissuto un po’ le grandi discoteche sa che per trovare un certo tipo di situazione non si può fare rotta nei club cittadini, piuttosto si deve mirare al nulla autostradale dove qualche imprenditore costruisce palazzi del divertimento che finiscono per chiudere e riaprire ad anni alterni e si portano sempre dietro tra parentesi il nome della provincia: oltre ai già citati Imperiale e Insomnia, ci sono il Jaiss di Empoli (FI), il Matrix e il Dylan di Coccaglio (BS), il Kama Kama di Camaiore (LU).
Locali talmente importanti per la scena ‘di tendenza’ anni Novanta e per l’economia locale da finire sulle pagine Wikipedia delle città che le ospitano—ecco la pagina di Tirrenia, sezione “Club Imperiale”: “All’inizio del 1990 il locale dette vita a quello che migliaia di giovani di all’epoca ricordano come il ‘Mezzanottemezzogiorno’ e diventò situazione di tendenza ‘progressive’ principale in Toscana coinvolgendo ragazzi da tutta Italia. Negli anni del decollo del Club Imperiale vi nacquero Dj oggi di fama internazionale del calibro di Mario Più, Ricky Le Roy, Francesco Farfa, Gabry Fasano, Miki e il Vocalist Franchino.”
Ma il motivo per cui ancora oggi tutti noi, compresa io che nascevo insieme al mezzanottemezzogiorno, ci ricordiamo di quando Franchino diceva “Ricky, fagliela sentire la grande botta”, o di “Se fosse nato macchina sarebbe un aeroplano, un cacciabombardiere, Gabry Fasano,” è che la Disco Storia è andata al di là della riconoscibilità musicale, semplicemente basata su due elementi vaghi come la cassa e la melodia, per rappresentare qualcosa. E quel qualcosa è una realtà tutta italiana, il nostro forse meglio riuscito mix tra Ibiza e Londra. Quello che la scena non ha mai avuto in purismo musicale—”Io ho sempre cercato di far divertire i ragazzi, non pensando a essere il più avanti musicalmente o cercare di fare l’alternativo per forza,” mi ha detto Ricky Le Roy—l’ha generato come immaginario. Contro tutta l’etica dell’hi-fi e della definizione che vanno per la maggiore nelle ‘scene di tendenza’ di oggi, quella progressive è una scena improntata, per dirla male, all’ignoranza del pubblico ma al suo coinvolgimento sapiente da parte degli artisti.
“Noi DJ facevamo anche un sacco di ricerca: conta che, con tutte le difficoltà logistiche che c’erano al tempo, c’era comunque una distribuzione inglese che stampava dischi e li mandavano direttamente in Toscana. E il bello era proprio avvicinare il pubblico a musica che da un certo punto di vista era ‘di nicchia’,” mi dice Joy. E in effetti a Firenze ci hanno tutti parlato dello storico negozio Disco Mastelloni, i cui gestori preparavano per i dj pile di dischi appena sfornati e prontamente inviati nel cuore d’Italia. “Ma quando è partito il boom, il ‘fenomeno’, magari il pubblico nemmeno ascoltava quello che facevamo ma ci seguiva perché eravamo X dell’Insomnia o dell’Imperiale o del Kama o del Jaiss, e tanto bastava.”
Mario Più nei camerini dell’Obihall di Firenze.
Ovviamente, per chi in consolle ci stava, non è stato facile fare i conti con una tale risposta del pubblico, che innescato quel circolo di fama-sputtanamento che gli stessi artisti riconoscono. “All’inizio era underground,” mi ha detto Mario Più, “poi come tutte le cose underground è diventata pop, e bisognava ogni volta ricominciare da capo. Col tempo questa musica è diventata alla portata di tutti: è stato un grosso successo, che poi si è rivelato però essere anche un danno—anche se sarei bugiardo a dirti che lo è stato a livello di business.” “È lo stesso che succede coi cantanti hip-hop, finché cantano per strada o nei garage hanno una verità diversa” aggiunge Luca Pechino, “ma quando vengono scritturati dalla major discografica devono ampliare il loro spettro di fan con una produzione in qualche modo meno ‘vera’.”
Non solo però i DJ e gli organizzatori traslocavano in Italia le novità che scovavano con attenti ascolti all’estero, ma gli artisti di questa scena hanno anche avuto un ruolo attivo nel creare qualcosa di totalmente originale. Il vocalist come lo intendiamo, quelli di cui ci rimbalziamo le frasi nelle vita e nei forum, nasce proprio in Italia in quel momento. A dire il vero nasce proprio con Franchino, che ormai da vent’anni fa coppia fissa con il dj e sosia di Gianluca Grignani Ricky Le Roy. “L’ho conosciuto, purtroppo, nel lontano 1992 all’Imperiale, al mezzanottemezzogiorno,” mi racconta Ricky Le Roy. “Franchino era un cliente che si era ambientato bene: non so come ma entrava in consolle e si metteva a blaterare nel microfono—e conta che era un posto dove era difficile fare qualunque cosa, per dire nessuno entrava gratis, figurati salire in consolle e parlare. Poi sono andato all’Insomnia, lui è arrivato dopo due anni e non ci siamo mai lasciati.”
Joy Kitikonti fa evoluzioni con la sigaretta elettronica.
Ma perché proprio allora nasce questa figura, che è rimasta poi sempre indissolubilmente legata alla scena e che sarebbe impossibile immaginare trasposta in altre situazioni elettroniche? “I vocalist vennero fuori in un momento in cui si faceva musica melodica con pause ed erano molto utili quando scendevano i BPM,” mi spiega Mario Più, che da tempo fa coppia con Luca Pechino, “perché servivano a far viaggiare la gente e ricaricarla nel momento della pausa.”
Vent’anni fa, insomma, per quanto possa sembrare folle a dirlo oggi, era questo il suono che emergeva dall’underground, e i dj italiani rubavano le sonorità direttamente dal clubbing d’Oltremanica trasportandole nell’Italia delle discoteche per folle oceaniche e droghe sintetiche. È il concetto stesso di “andare a ballare” che questi artisti rappresentano—una frase che non sento dire da anni ormai, perché oggi, e la cosa ha incredibili pro ma anche qualche contro, l’esperienza dell’ascolto ha la meglio su quella della godibilità. O forse oggi le cose non si escludono l’una con l’altra. Ma “andare a ballare”, per l’uso comune che si fa della locuzione, vuol dire una cosa specifica, questa.
00Zicky
Poiché questa musica, che ha fatto tutto il percorso dall’underground al mainstream più sgravato, è oggi tornata una nicchia che si può spolverare solo in modalità ‘revival’, viene da chiedersi cosa cerchino tutti quelli che si presentano—e sono migliaia—appena maggiorenni alle serate. Come questa all’Obihall di Firenze a cui sono andata anch’io, nell’autunno del 2015, 25 anni dopo che Franchino ha cominciato a rubare il microfono all’Imperiale. Senza sapere degli anni in cui Franchino continuava a collassare in consolle e bisognava portarlo via, o che a inizio anni Duemila, quando è arrivata la musica minimal, che Mario Più ha rovinato tutto il concetto di musica, o che “I Will Find You”, la canzone che non può mancare nei set di Ricky Le Roy, è in realtà un remix di un remix di un remix di Enya e le paternità si sono perse nel tempo. D’altronde questa scena si basa prima sull’entusiasmo e sulla sinergia tra pubblico e artisti, e poi sulla musica. E per una volta potrebbe anche andare bene così.
Forse il motivo è che internet e l’Italia sono pieni di nostalgici che ricordano gli anni della propria gioventù accompagnata da questi artisti—non solo i “ragazzi” di Metempsicosi, ma anche Farfa, Fasano, Coccoluto, Mauro Picotto e Miki il Delfino. Nostalgici dei tempi in cui Franchino festeggiava il proprio compleanno pregando che qualcuno gli facesse una foto col flash (perché senza il flash non mi si immortalizza la noche. Forse quello che ad oggi questi artisti ancora portano è un’esperienza di comunione con chi sta in consolle in cui, vuoi per riconoscibilità vuoi per drop musicali, ti diverti insieme a lui e partecipi attivamente di quel carrozzone).
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