Salute

C’è chi pensa ancora che i disturbi alimentari siano un capriccio

disturbi alimentari

I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) sono una realtà che in Italia coinvolge circa 3 milioni di persone—e secondo osservazioni recenti, l’emergenza Coronavirus avrebbe peggiorato la situazione.

Si tratta di disturbi con importanti conseguenze a livello fisico, che possono provocare danni a tutti gli organi e apparati, portando addirittura alla morte. L’anoressia nervosa (insieme a bulimia nervosa e binge eating disorder, disturbo da alimentazione incontrollata) è il DCA maggiormente diffuso, e quello associato a una mortalità “tra le cinque e le dieci volte maggiore di quella di persone sane della stessa età e sesso,” riporta il Ministero della Salute.

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Sul tema ci sono però ancora disinformazione e stigma. Ad esempio si pensa che “anoressico” sia un aggettivo squalificante a livello estetico e/o morale, utilizzabile per insultare qualcuno. O, ancora, ci si sente liberi di commentare cosa e come mangia una persona, o i suoi cambiamenti di peso corporeo, con leggerezza e noncuranza, senza riflettere su come il peso e il cibo siano due campi su cui ogni giorno migliaia di persone combattono una battaglia.

Eppure, quando una persona sviluppa un disturbo alimentare, chi le sta intorno si ritrova spessissimo a corto di strumenti e parole (quelle giuste, almeno).

Come riconoscere un disturbo del comportamento alimentare?

I DCA, spiega Rossella Oliva, psicoterapeuta e dottore di ricerca in scienze psicologiche, che si occupa di prevenzione e terapia dei Disturbi del Comportamento Alimentare attraverso l’associazione di promozione sociale per i disturbi alimentari ADAM, “sono una malattia complessa in cui il corpo e il cibo vengono usati per gestire una sofferenza. Non sono una scelta né il mero desiderio di diventare più magri. E non esiste una causa precisa, bensì diversi fattori che concorrono: i DCA sono disturbi multidimensionali e multifattoriali in cui entrano in gioco fattori biologici, genetici di predisposizione individuale e familiare, psicologici, ambientali, socio-culturali, familiari, sociali…”.

Oggi viviamo immersi in una cultura (la cosiddetta “diet culture”) che promuove enormemente l’attenzione a peso corporeo e alimentazione e l’adesione a comportamenti ormai completamente normalizzati dalla società come usare le app conta-calorie, fare attività fisica in modo smodato, praticare il digiuno intermittente. Sui social, fitness influencer raggiungono centinaia di migliaia di follower promuovendo stili di vita ortoressici in cui tutto ruota attorno all’attività sportiva e all’alimentazione “sana”.

Come facciamo allora a individuare i segnali di una problematica seria? “Mai come adesso, in questo momento di estrema attenzione generale a tutto quello che ruota intorno alla forma fisica,” spiega Oliva, “il confine tra normalità e patologia, o normalità e comportamento da sanzionare, è molto labile. Togliere i condimenti o eliminare complete categorie di cibo dalla propria alimentazione può essere un segnale… ma non sempre.”

Per riconoscere un disturbo dovremmo concentrarci meno su cose come quanto pesa una persona, o su quanto mangia, spiega la dottoressa, interpretando ogni cambiamento come un possibile segnale. Spostando, di conseguenza, l’attenzione su altro: “Piuttosto che guardare gli alimenti, spostiamo il focus sulla persona e capiamo come sta. Soffre? La sua vita quotidiana è impattata in modo particolare? La vediamo di cattivo umore? A volte la famiglia o gli amici si fissano sul campanello d’allarme ma non su cosa lo fa suonare. E magari dicono di mettere più olio nel piatto ma non chiedono mai ‘Come stai?’.”

Come spiega bene Ilaria, che ha sofferto di anoressia per quattro anni, affrontando un lungo percorso terapeutico: “Credo che uno dei primi segnali non sia il cibo, ma proprio l’umore. Chi soffre di anoressia ad esempio manifesta irritabilità, apatia (spesso si perdono i contatti con gli amici), problemi di attenzione o mancanza di concentrazione. Nella mia esperienza ho notato che alcune persone sviluppano improvvisamente rituali e abitudini alimentari particolari, come masticare molto lentamente, o manifestano un’ossessione improvvisa per il cibo. Io ho fatto così. Avevo così tanta fame che riempivo la mia pagina Facebook di siti di cucina, permettendomi almeno di fantasticarci sopra.”

Se esistono segnali che sembrano accomunare molte storie di DCA—cambiare modo di vestire, mostrando o nascondendo di più il proprio corpo; aumentare l’attività fisica in modo esponenziale; smettere di mangiare in pubblico—è però impossibile stilare un formulario che li racchiuda tutti. Anche perché si diventa bravi a nasconderli. Parlando con Ilaria scopro che entrambe, nel pieno della nostra anoressia, siamo riuscite a fare la stessa cosa per anni senza che nessuno, né amici né familiari, se ne accorgesse: nascondere del cibo nella borsa e buttarlo una volta fuori dal ristorante.

Come parlare di un disturbo del comportamento alimentare?

“Purtroppo non possiamo mai essere certi di un DCA finché una persona ha deciso di chiedere aiuto o ha parlato apertamente di un problema,” aggiunge Shana Minei Spence, dietista nutrizionista a New York. “Ma ci sono alcuni modi per iniziare una conversazione. Per prima cosa bisogna lasciare peso e cibo fuori dal tavolo della discussione. Se quella persona ha davvero sviluppato un disturbo alimentare, argomenti come la taglia o l’alimentazione peggioreranno solo i suoi sentimenti. Invece si può chiedere cosa sente ultimamente. Confusione? Ansia? Questo è un punto di partenza per stimolare una conversazione che può portare a esplorare altri sentimenti.”

Senza sottovalutare comunque l’adesione alle diete di moda in un determinato momento e che dopo qualche tempo si rivelano in tutta la loro problematicità (e inutilità), o a stili di vita che in nome della ‘salute’ spingono a comportamenti alimentari potenzialmente problematici. Aggiunge Spence: “Dover seguire una serie molto stretta di regole potrebbe dare il via a un comportamento ossessivo. Per non parlare del fatto che l’ortoressia, l’ossessione per il mangiare sano, sta diventando sempre più diffusa [anche se non è ancora un DCA ufficialmente riconosciuto].”

In certe situazioni, per chi osserva da fuori sarebbe quindi meglio fare un passo indietro e ammettere che non riusciamo a ‘guarire’ una persona solo con le nostre buone intenzioni, anzi, che rischiamo di banalizzare e sovra-semplificare situazioni estremamente complesse e di sofferenza.

“Mi sembra che nessuno si chieda perché si smetta da un giorno all’altro di mangiare e ci si concentri sull’apparenza. Così partono frasi del tipo ‘Dai prendi cinque chili, non fare storie, chi ti credi di essere?’”, dice Ilaria. “Altre cose che mi sono state dette: che c’è chi sta molto peggio e devi smetterla di fare i capricci; lo fai solo per attirare l’attenzione; o addirittura ‘So come ti senti, anche io sono insoddisfatta del mio aspetto fisico, ma devi smetterla di piangerti addosso’. E ovviamente mi facevano sentire ancora più sbagliata.”

I messaggi che ci arrivano dai media o dall’arte, del resto, arrivano spesso a stereotipizzare e in alcuni casi addirittura romanticizzare i DCA. Così finiamo per pensare a un malato tipo: donna, magrissima, emaciata e con il desiderio di diventare ballerina di danza classica. E in casi limite una persona malata arriva a sentirsi dire cose come  ‘Non sembri anoressica, non sei abbastanza magra’, perché se non si vedono le ossa dalla maglietta non c’è bisogno di preoccuparsi.

Lo dico per esperienza: pur arrivando ad essere molto sottopeso, i dottori continuavano a dire che non ero abbastanza magra da farli preoccupare e che era mia madre che stava esagerando. E il fatto che non vomitassi, ma mi limitassi a mangiare pochissimo, rendeva la situazione, ai loro occhi, poco allarmante.

Gli stereotipi sui disturbi del comportamento alimentare

“Quando si parla di disturbo alimentare si parla di una serie un po’ ampia di comportamenti e di disturbi che non necessariamente si manifestano in un corpo eccessivamente sottopeso o sovrappeso,” spiega Rossella Oliva.

Proprio per questo, “è fondamentale iniziare a educare le persone al concetto di body diversity nella sua interezza,” aggiunge Shauna Spence. “I disordini alimentari hanno sempre l’immagine di una donna bianca cis magra. Ma ovviamente sappiamo che colpiscono persone di ogni genere, di diverse taglie, orientamenti, colore, eccetera. Molte persone di colore, per esempio, non cercano aiuto perché non pensano nemmeno di poterlo avere, un disturbo del comportamento alimentare. Idem per gli uomini. Quando a qualcuno in un corpo grasso viene diagnosticata l’anoressia viene considerato un caso ‘atipico’, il che è di per sé problematico. Non è un caso atipico: è poco conosciuto.”

Indubbiamente la società e soprattutto il suo riflesso social, che ci fanno vivere immersi in una realtà virtuale di corpi perfetti e diete perfette, forniscono un contesto ben preciso per lo sviluppo di DCA, specialmente in adolescenti e pre-adolescenti.

Ma i DCA non sono un mero desiderio di bellezza né, come spesso si sente dire, di perfezionismo. Dire a una persona che dovrebbe smettere di vomitare, di abbuffarsi o di contare le calorie, è l’equivalente di dire a un fumatore che non dovrebbe fumare: nella maggior parte dei casi lo sa già benissimo. Il problema è che non riesce a metterlo in atto. “La gente pensa che l’anoressia sia un capriccio,” aggiunge Ilaria. “Si pensa che si smetta di mangiare perché si vuole inseguire l’idea della modella/o, per poter indossare una 40 o ancor più stupidamente per piacere al ragazzo/a per cui si ha una cotta. Scusate il lessico, ma sono tutte cazzate. Non siamo noi a cercare l’anoressia o la bulimia, così come accade con qualsiasi altra forma di malattia mentale.”

Come affrontare i disturbi del comportamento alimentare

Afferma Rossella Oliva: “Quando qualcuno vicino a noi soffre di DCA, la prima reazione è sempre spingerlo a mangiare di più, o meglio, o in modo diverso. Ma la forza di volontà non basta. I DCA non possono essere risolti da soli o con soluzioni semplicistiche come aumentare le calorie. Anzi, non solo dire ad esempio di mangiare di più non è sufficiente, a volte si rischia di scatenare l’effetto opposto. L’intervento d’elezione per i disturbi alimentari è quello multidisciplinare (in cui intervengono diversi specialisti) e le associazioni sul territorio servono a consigliarci a chi rivolgerci sul territorio, se a una struttura con un’equipe o a un professionista singolo. Insomma, il mio consiglio è sempre di rivolgersi alle associazioni territoriali [qui la mappa completa].”

Negli ultimi anni si è parlato molto, e per fortuna, dei movimenti di Intuitive Eating e Health At Every Size come alternativa al modello della diet culture e soprattutto come possibile modello di recovery nell’approccio all’alimentazione, all’immagine corporea, allo stile di vita in generale.

Ma attenzione, perché gli “Ascolta il tuo corpo” possono nascondere qualcosa. Conclude Spence: “Le persone stanno iniziando a capire che la parola ‘dieta’ non sia una buona cosa. Peccato che lo stiano facendo anche le aziende. Molte aziende di prodotti dietetici si stanno rinominando di lifestyle o wellness. Ma solo perché non si limitano a proporre categorie di cibo da evitare, non vuol dire che non promuovano comunque controllo, restrizione e altri comportamenti dannosi.”

Conclude Ilaria: “Secondo me è fondamentale, soprattutto con gli adolescenti, far conoscere più testimonianze possibili. Sarebbe importante portare avanti anche nelle scuole un’opera di sensibilizzazione sulle conseguenze dei disturbi del comportamento alimentare sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico.”

Hai un disturbo alimentare o bisogno di un consulto? Puoi contattare SOS disturbi alimentari al numero gratuito 800 180969, attivo 24 ore su 24, dal lunedì al venerdì.