La giungla nel dipartimento colombiano di Chocó è animata dal più grande gruppo ribelle del paese, noto come Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia — o più semplicemente FARC.
Una delle unità delle FARC include però un combattente piuttosto atipico: una donna francese di 42 anni conosciuta come Natalie Mistral – il suo nickname da ribelle – che fa parte del gruppo di guerriglieri da 15 anni.
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Mistral, che non ha mai parlato con i media prima d’ora, ha detto di conoscere soltanto un altro europeo all’interno delle FARC. Si tratterebbe del ben noto combattente olandese Tanja Nijmeijer, conosciuto anche come Alexandra Nariño, che faceva parte della squadra che ha negoziato la pace con il governo all’Havana.
L’intervista è avvenuta all’inizio del mese, prima dell’annuncio di un armistizio giunto dopo quattro anni di trattative. Il passo successivo sarà la firma di un accordo di pace definitivo, probabilmente prima della fine di luglio. Poi il disarmo.
Le FARC sono il più antico gruppo di guerriglia dell’America Latina: ha controllato intere regioni della Colombia per decenni e ha finanziato una guerra lunga mezzo secolo contro il governo con estorsioni, rapimenti, e narcotraffico.
Mistral – che ha risposto alle nostre domande seduta su un letto di legno con una pistola infilata nella cintura – non affronta direttamente questi temi, ma accetta di parlare di altre controversie riguardo il gruppo, come il reclutamento di bambini e l’aborto forzato.
L’intervista parte con la storia di come nel 2001, a 27 anni, sia diventata una combattente ribelle.
Mistral, nata a Montpellier, dice di aver tratto grande ispirazione dalle brigate internazionali che hanno combattuto con i repubblicani durante la guerra civile spagnola negli anni Trenta.
A VICE News confessa di essere stata spinta anche dal senso di colpa riguardo il ruolo dell’Europa nello sfruttamento dell’Africa prima, e poi dell’America Latina. Unirsi alle FARC “era il pagamento per i danni commessi dai miei antenati,” aggiunge, ammettendo di essere stata sempre molto attratta dall’avventura.
‘Sognavo di fare una rivoluzione, e ho cercato un posto in cui potesse succedere davvero’
“Sognavo di fare una rivoluzione, e ho cercato un posto in cui potesse succedere davvero. Ero interessata all’America Latina, e il mio primo pensiero è stato il Messico. Ho viaggiato fino a La Realidad, un accampamento zapatista nel Chiapas. Poi dopo un po’ sono andata in Colombia in cerca delle FARC: l’idea non era necessariamente quella di diventare parte della guerriglia —piuttosto volevo aiutare, contribuire. C’è voluto circa un anno per stabilire un contatto.”
Mistral spiega che un comandante delle FARC, alla fine, ha convocato lei e altri stranieri per un incontro straordinario.
“Il comandante ci ha chiesto quanto potessimo rimanere. La maggior parte delle persone ha risposto tre giorni, una settimana, o 15 giorni al massimo. Era sorpreso quando ho risposto un anno e mezzo, ma gli abbiamo spiegato che volevamo imparare e diventare parte della cosa, che non saremmo tornati nei nostri paesi perché volevamo rimanere in Colombia. Allora ci disse che potevamo rimanere.”
Una volta ottenuta l’approvazione del comandante, le nuove reclute cominciarono l’addestramento nel gruppo — quello che Mistral chiama “una scuola di base per i guerriglieri.”
“Studi le origini delle FARC come organizzazione marxista, leninista e bolivarianista. Impari cosa voglia dire essere comunista e cosa voglia dire lavorare clandestinamente. Dal punto di vista militare, impari la teoria del tiro a bersaglio, della marcia, del rispondere agli ordini, di come comportarsi durante un combattimento, come avanzare. Praticamente, impari a vivere da soldato.”
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Mistral spiega di aver deciso che questa fosse la vita fatta per lei, in parte perché era sempre stata “radicale e avventurosa,” ma anche perché voleva vivere in armonia con i suoi valori.
“Non sopporto di non vivere secondo i miei principi. Mi sono resa conto che la lotta armata non è necessariamente un’opzione. Non era un impulso. Non è che mi è venuto in mente all’improvviso, o perché amo la guerra: è solo che la repressione non lascia altri modi,” spiega.
“Mi aspettavo ci sarebbe stata un minimo di formalità sulla decisione di rimanere, ma quello che è successo è che dopo circa un anno il comandante mi ha chiamato per dirmi che se volevo rimanere, potevo. Io risposi che lo volevo.”
Come nuova recluta europea, Mistral ci racconta di aver cominciato a lavorare come organizzatrice per la solidarietà internazionale delle FARC. Al tempo, aveva ancora un passaporto francese e poteva viaggiare per il paese e anche all’estero. Dopo un po’, comunque, il suo passaporto cessò d’essere valido, e pensò che fosse troppo rischioso provare a rinnovarlo — negli ultimi sette anni, infatti, non ha mai lasciato la Colombia.
Durante tutta la sua formazione, Mistral dice di non aver ricevuto grande addestramento per le missioni di guerra, nonostante avesse fatto parte di operazioni impreviste — come la risposta agli attacchi dell’esercito e ai bombardamenti aerei. Non avevano causato morti, spiega, ma sono state “impressionanti, molto impressionanti.”
‘Quando sono rimasta incinta ho informato immediatamente i miei superiori e ho fatto di tutto per abortire’
La ribelle ormai veterana ha discusso com VICE News anche di alcune complicazioni personali sopraggiunte con l’adesione alle FARC.
“Per ‘sposare’ qualcuno, tutto quello che devi fare è stare insieme alla persona e dire al comandante che vuoi vivere nello stesso posto con lei. Allora, si fa un letto più grande e si dorme insieme.” Ma lo stress della guerra, aggiunge, fa sì che avere figli non sia una cosa particolarmente semplice.
“Le FARC sono in guerra, e in un accampamento mobile come quello non puoi avere bambini. Però i colombiani hanno famiglie numerose e si sentono appagate quando hanno molti figli, per loro non averne è un grosso sacrificio.”
Mistral sembrerebbe confermare anche le note accuse riguardo gli aborti forzati all’interno del gruppo.
“Sul blocco orientale la guerra è stata particolarmente dura per molti anni: la verità è che l’aborto era un obbligo. Non perché l’avesse deciso il comandante, ma per la realtà quotidiana dei combattimenti e il continuo spostarsi.”
Nei momenti più tranquilli o sui fronti più pacifici, i ribelli decidevano di proseguire la gravidanza, ed erano inviati nel mondo civile per il parto. Poi erano obbligati a tornare entro due o tre mesi, cosa che causava “molta sofferenza.”
Mistral mette in chiaro che lei stessa era sempre stata cosciente del fatto che scegliere di diventare una guerrigliera voleva dire escludere la possibilità di avere dei bambini, nonostante a volte provasse un desiderio di matenità. “Quando sono rimasta incinta ho informato immediatamente i miei superiori e ho organizzato tutto per avere un aborto,” spiega.
‘Per i più giovani non è l’opzione peggiore: potrebbero tranquillamente finire nel giro della prostituzione o del narcotraffico’
Allo stesso modo, Mistral mostra un atteggiamento pragmatico nel discutere le difficoltà della sua famiglia nell’accettare le sue scelte di vita.
“Vengo da una normale famiglia operaia francese. Ho sempre condiviso con loro tutto ciò che pensavo e sognavo, ma non l’hanno capito realmente. Pensavano fosse una cosa troppo estrema, adesso però hanno in qualche modo accettato l’idea. Ho provato a spiegare, e a mantenere una relazione sporadica,” dice.
“Mio padre era una pacifista, quindi ha avuto difficoltà a capire. Ha capito l’istinto di solidarietà c’è dietro, e il fatto che sia il mio modo per cambiare il mondo, ma continuava a chiedere ‘perché le armi?’ Ho provato a spiegare la situazione colombiana, facendo capire che non si tratta di un problema di armi, ma che come sia l’unico modo di combattere e sopravvivere.”
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La ribelle francese giustifica anche il reclutamento di bambini da parte delle FARC.
“La cosa dei bambini è stata molto discussa ultimamente perché, in maniera piuttosto ipocrita, la società colombiana si è lamentata del fatto che abbiamo minori tra i nostri ranghi. Allo stesso tempo, però, non si preoccupano affatto del loro benessere,” spiega. “Questa è un’altra ragione per cui i bambini si uniscono a noi, perché la Colombia non offre le condizioni necessarie alla loro crescita.”
“Un contadino – come sono la maggior parte dei membri delle FARC – diventa genitore a 15 anni, se è uomo. Le donne possono avere già due figli alla stessa età. I bambini non vedono un futuro per loro stessi, e le FARC diventa una via d’uscita. Per i più giovani non è l’opzione peggiore: potrebbero tranquillamente finire nel giro della prostituzione o del narcotraffico.”
Ma tutto questo sta per volgere al termine, a quanto pare.
Con l’imminente accordo di pace, le FARC ha annunciato lo scorso maggio che avrebbero rinviato tutti i combattenti al di sotto dei 15 anni alla vita civile, appena verrà sviluppato un piano d’azione.
‘Ogni volta che viene firmato qualcosa, mia madre mi scrive chiedendo se tornerò a casa’
Con l’avvicinarsi della fine della guerra, la vita di Mistral e della sua unità a Chocó non sarà più la stessa. La popolazione della regione, in maggioranza di colore, sopravvive di agricoltura su piccola scala, di pesca, di lavoro di miniera e di coltivazione di piante di coca. I bastioni del FARC si concentrano vicino al fiume Atrato. Ma esiste anche un secondo più grande gruppo ribelle della Colombia, l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), così come alcuni gruppi dediti al crimine organizzato.
La veterana ribelle chiarisce di voler rimanere nella regione, nonostante gli appelli della sua famiglia.
“Ogni volta che viene firmato qualcosa, mia madre mi scrive chiedendo se tornerò a casa. Le dico che la mia vita adesso è in Colombia, non in Francia. Penso che rimarrò a Chocó per due o tre anni, ci sono molte cose da fare qui,” racconta.
“Ora possiamo usare il tempo che dedicavamo a combattere per altre cose, come l’educazione politica. Possiamo imparare che cosa avviene ai tavoli di negoziazione, lo stato della vita politica in Colombia e cosa pensano le persone là fuori.”
Mentre Mistral sottolinea che sa che sarà difficile occuparsi delle vittime del conflitto, per cui tutte le parti coinvolte sono accusate di atrocità terribili, sottolinea di credere che i ribelli abbiano la loro parte da fare.
“Siamo vittime del governo e dei loro paramilitari. Dobbiamo perdonare tante cose qui in Colombia, e non succederà in breve tempo. La nostra lotta non è personale, è una lotta per il cambiamento sociale. Non proviamo odio, perché sappiamo che la guerra ha delle conseguenze. Ma dobbiamo fare tutto quello che possiamo per riconoscere i nostri errori, e chiedere perdono se ce n’è bisogno.”
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