Perché le donne rischiano di essere le più minacciate dalla Brexit

Il prossimo 23 giugno i cittadini del Regno Unito si recheranno al voto per decidere se rimanere dell’Unione Europea o abbandonarla, nel referendum noto anche come “Brexit” (un gioco di parole tra Britain ed exit).

Il periodo pre-elettorale è stato caratterizzato da vette inarrivabili di razzismo e presagi apocalittici, con i due fronti contrapposti rappresentati dai comitati Vote Leave e Leave.EU da un lato, e da Britain Stronger in Europe dall’altro.

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Tutte le parti in causa si sono accusate a vicenda su questioni quali l’economia, i diritti dei migranti e la sovranità. Solo la settimana scorsa il United Kingdom Independence Party (UKIP) e il leader della campagna per il Leave Nigel Farage sono stati accusati di “incitamento all’odio razziale” per un poster elettorale incentrato sui migranti che è stato paragonato alla propaganda nazista.

La Brexit si è impossessata della cultura e del dibattito pubblico in Gran Bretagna come un barbaro pronto a scavalcare il vallo di Adriano. Students for Britain, un’organizzazione affiliata alla campagna Vote Leave, ha addirittura prodotto dei preservativi a tema Brexit con lo slogan: “Rimanere dentro è più rischioso.”

La settimana scorsa lungo il Tamigi ha avuto luogo uno scontro piuttosto bizarro tra gli attivisti delle campagne Leave e Remain, che navigavano sul fiume con delle barche — e durante il quale, per la cronaca, il cantante e sostenitore del Remain Bob Geldof ha sparato “If You Leave Me Now” dei Chicago a tutto volume contro le barche dei Leave.

Ma sebbene preservativi e battaglie navali sul Tamigi possano sembrare divertenti, e le questioni politiche come normative economiche o immigrazione siano state protagoniste dei titoli dei giornali, i diritti delle donne – alla fine – in questo dibattito sono finiti nel dimenticatoio. Uno studio della Loughborough University ha rilevato che solo un commentatore su dieci ad aver parlato di Brexit sui media era una donna.

La mancanza di voci femminili nel dibattito sulla Brexit ha preso una piega sconvolgente il 16 giugno, quando Jo Cox, attivista per il Remain e deputata dei Labour, è stata uccisa da un uomo che durante l’attacco avrebbe gridato “Britain First” — il nome di un’organizzazione di estrema destra schierata contro l’Unione Europea e l’immigrazione.

Jean Lambert è una deputata londinese del Parlamento Europeo, l’organo legislativo dell’Unione Europea eletto direttamente dai cittadini. Dice di essere delusa dell’immagine del referendum che è stata data dalla stampa. “Le persone si chiedevano ‘Dove sono le donne, dove sono le persone di colore?’” spiega. “Sembrava davvero come fosse un club di vecchi uomini. Per molte persone è una cosa davvero alienante.”

È chiaro che i voti delle donne sono importanti, ma entrambe le campagne sono riuscite ad alienare un blocco demografico che costituisce il 50,9 per cento della popolazione britannica. La Fawcett Foundation, la più importante organizzazione per i diritti delle donne del Regno Unito, ha pubblicato di recente un rapporto indipendente in cui mostra che le donne hanno il doppio della probabilità di essere indecise rispetto agli uomini — a significare che le donne hanno un ruolo chiave nell’esito delle elezioni.

“[Tuttavia] è importante notare che, quando si fa riferimento alle statistiche che mostrano che le donne hanno più probabilità di essere indecise rispetto agli uomini, la ricerca mostra che non ci sono poi differenze di genere per quanto riguarda l’affluenza,” spiega Kymberly Loeb, senior research executive di Britain Thinks, una società indipendente di consulenza strategica.

Nessuno può prevedere con certezza come sarà in futuro la Gran Bretagna se dovesse uscire dall’Unione Europea, Ma si può già dire con certezza che le donne potrebbero subirne le conseguenze peggiori. “Credo sia molto probabile che se il Regno Unito uscisse dall’Unione Europea, il governo diventerebbe molto più conservatore, più ostile verso le leggi sull’uguaglianza,” afferma Christopher McCrudden, professore di diritti umani e diritto dell’uguaglianza alla Queen’s University di Belfast.

“Diverse parti dell’attuale legge sull’uguaglianza affrontano, ad esempio, il tema delle pensioni, o quello dell’uguaglianza salariale. Tutte misure che provengono proprio dal fatto che il Regno Unito è membro dell’Unione Europea — e dunque è molto probabile che verranno prese di mira subito, appena fuori dall’UE.”

I fiori posti fuori dal Parlamento britannico per ricordare la deputata pro-UE Jo Cox uccisa il 16 giugno. (Foto di garryknight via Flickr)

Le leggi sull’uguaglianza non sarebbero minacciate solo nel Regno Unito. “È abbastanza chiaro che una delle preoccupazioni nelle capitali europee, da Berlino a Parigi, è che se la Gran Bretagna uscisse dall’UE darebbe adito a diverse altre entità anti-UE,” spiega McCrudden. “Ad esempio in Francia, Marine Le Pen [leader del partito di estrema destra Front National] vorrebbe tanto avere presto un referendum per far uscire anche il suo paese.”

“L’Unione Europea sarebbe indebolita se la Gran Bretagna dovesse uscire. Quella debolezza si manifesterà in termini di un’implementazione più morbida delle leggi sull’uguaglianza,” aggiunge. “In molti paesi, le leggi sull’uguaglianza sono sotto pressione.”

“Uno dei motivi per cui non sono ancora più minacciate è che l’UE stessa fa in modo che queste leggi siano applicate. Se si rimuove o si indebolisce questa funzione di controllo – ad esempio indebolendo a grandi linee le abilità dell’UE – allora sarà indebolita anche l’applicazione delle leggi sull’uguaglianza.” Per le 260 milioni di donne che vivono e lavorano nell’Unione Europea, dovrebbe risuonare come un fortissimo grido d’allarme.

L’ex portavoce dello UKIP e attivista per il Leave Suzanne Evans non crede che succederà. “La prima legge per la paga equa in Gran Bretagna è stata approvata tre anni prima dell’ingresso nell’Unione Europea,” ha scritto sulla quotidiano Daily Express. “Avevano già approvato la legge sull’aborto e la legge sul divorzio, e hanno reso la pillola anticoncezionale gratuita tramite l’NHS.”

La direttrice di Get Britain Out Jayne Adye concorda. “Dopo la Brexit, oItre agli uomini anche le donne avranno più voce in capitolo sulle leggi che hanno un effetto sulle loro vite. Le leggi saranno scritte da 650 deputati a Westminster, non da 28 commissari UE non eletti,” conclude.

Tecnicamente Evans ha ragione quando parla delle leggi che sono state approvate, ma ci è voluta una sentenza vincolante del 1982 da parte della Corte Europea di Giustizia perché la Gran Bretagna garantisse che il “lavoro delle donne” fosse considerato uguale a “quello degli uomini” per livello di abilità, sforzo e responsabilità simile — e che fosse anche pagato allo stesso modo.

Se la Gran Bretagna decidesse di uscire dall’UE, “l’interpretazione delle leggi non dovrebbe più necessariamente seguire l’interpretazione della Corte Europea di Giustizia,” spiega Kenneth Armstrong, professore di diritto europeo all’Università di Cambridge.

Gli attivisti del Leave sostengono che le leggi sui diritti delle donne sarebbero più rigide se create all’interno della ‘bolla’ di Westminster, ma “i tribunali del Regno Unito non avevano incluso la questione della gravidanza nella discriminazione di genere fino a quando la questione non è stata chiarita dalla Corte Europea di Giustizia,” aggiunge.

È grazie alle leggi dell’UE che i lavoratori part-time hanno diritto alla stessa paga dei lavoratori a tempo pieno — una condizione che impatta le donne in maniera preponderante, dato che il 42 per cento delle donne lavora part-time rispetto al 12 per cento degli uomini.

Ma a due giorni dal referendum, sembra che la buona vecchia apatia potrebbe aver trionfato. “È interessante,” afferma Loeb, “che quando abbiamo chiesto alle persone quale pensano che sarà l’impatto sulle loro vite, prevedono che saranno esattamente come era prima, e sembrano sollevate del fatto che ‘ora possono preoccuparsi delle cose davvero importanti.’”


Questo articolo è stato pubblicato su Broadly

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