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Música

'Chi' viene a Milano

Dove "Chi" sta per Chicago, nella persona del suo DJ più rappresentativo, DJ Rashad. Abbiamo fatto due chiacchiere con lui per conoscere meglio passato, presente e futuro della footwork.

Negli ultimi due anni abbiamo visto sbocciare a ripetizione un sacco di micro-scene underground in realtà attive da anni e anni. Mentre altrove stanno parlando della musica elettronica come business milionario, c’è chi si è appena guadagnato gli onori della critica con anni di sudore e ora si gode un po’ di meritato riconoscimento. In particolare stiamo parlando di quel giro chicagoano che da una decina d’anni si è inventato un sotto-sotto-genere chiamato footwork, dagli sgambettamenti frenetici che i tempi spezzati e dispari hanno ispirato nei giovani breaker della città ventosa. Nasce come variante retro-futurista della juke, a sua volta variante veloce e sincopata della classica ghetto house di pionieri come DJ Funk e Deeon. Ai tempi in cui label come Dance Mania dettavano legge, i veri creatori di quello che oggi chiamiamo footwork erano poco più che ragazzini, clubber incalliti che si arrangiavano a produrre tracce con due lire. Tra loro c’era il duo DJ Rashad - DJ Spinn, che in qualche anno avrebbe preso le redini della scena fondando il collettivo Teklife, e applicando al suono juke una mentalità completamente aperta e visionaria. Ho fatto due chiacchiere via Skype con Rashad in previsione della sua calata in Italia (mercoledì 27 al Dude di Milano, ospitato dai boyz di Chrome), per chiarire un po’ le origini del suo stile e quali siano le prospettive future del genere. VICE: Prima di tutto mi piacerebbe sapere come hai cominciato a interessarti alla musica, a fare il DJ ecc.
DJ Rashad: Il mio primo approccio alla musica è stato come ballerino, quando avevo circa 13 anni. Suonavo anche la batteria in un gruppo fin da piccolissimo, più o meno dal terzo anno di scuola. Più da grande ho iniziato a uscire, a interessarmi alla house e andare a ballare. Frequentando i club e ascoltando i vari DJ, per forza di cose mi è venuto da pensare che se potevano farlo loro, probabilmente ci sarei riuscito anche io. Allo stesso modo ho pensato che avrei potuto iniziare a produrre qualche traccia e così via. Tu e Spinn siete considerati gli inventori del footwork. I primi passi li avete fatti nella scena ghetto house di Chicago, cosa ha segnato il cambiamento da un genere all’altro?
Be’ non siamo stati solo io e Spinn. Direi che tutta la gente del nostro giro, DJ Clent soprattutto, ha contribuito a dare forma a quello che oggi è il footwork. Io credo davvero che ci siano poche differenze… la classica ghetto house normalmente stava tra i 140-160 bpm, basata quasi solo su beat e vocal. Invece noi usiamo più suoni diversi, dei riff più ricchi e bassi distorti. Quindi, davvero… è la stessa roba, però con il nostro tocco personale, anche nel ritmo, usando tempi spezzati e groove terzinati invece del 4/4 dritto più classico.
Ai tempi in cui abbiamo iniziato, a Chicago c’era questa label chiamata Dance Mania, per cui uscivano praticamente tutti i DJ ghetto più importanti: Deeon, DJ Funk, DJ Milton, Jammin Gerald… Io e Spinn abbiamo fatto giusto in tempo a pubblicare qualcosa per loro prima che chiudessero. In quel momento la scena è praticamente morta, non succedeva più niente. Al che abbiamo deciso di prenderla in mano, però mettendoci del nostro, ovviamente, visto che a quel punto potevamo fare davvero come ci pareva. Per cui tutto è ricominciato da me, Spinn, R.P. Boo, Clent e Traxman. Una delle particolarità di questo sound, secondo me, è il fatto che suoni allo stesso tempo così retro (nei suoni) e futuristico (nelle strutture). Alcuni suoni sono davvero tipici e legati a strumenti specifici. Tu usi ancora la stessa strumentazione di un tempo?
Quando ho cominciato avevo soltanto una drum machine Dr.Rythm e un campionatore Roland JS-30, un set molto basico. Invece Clent a casa aveva un MPC2000 della AKAI, tutt’altra roba, per cui di solito funzionava così: abbozzavo le tracce sulle mie robe e poi le portavo da lui e ci lavoravamo con l’MPC. Il risultato era decisamente migliore. Purtroppo eravamo quasi tutti teenager all’epoca, e non avevamo soldi da investire in strumentazione. Clent era l’unico ad avere un AKAI. Quando me lo sono potuto finalmente permettere, mi sono comprato anche io un MPC2000 ed è stato amore. Sono andato in fissa totale con la AKAI e ancora adesso sono un cliente affezionato. Oggi ovviamente uso anche programmi come Logic o Ableton per produrre, ma la maggior parte del lavoro lo faccio ancora sull’MPC. Al momento col 2500. Nelle vostre ultime uscite mi sembra che tu e Spinn stiate prendendo delle strade leggermente diverse. Lui sembra più interessato alla melodia, mentre dal tuo nuovo EP su Hyperdub mi sembra che tu stia cercando di sperimentare nuovi ritmi. C’è anche una traccia che sembra avere influenze jungle.
Sì, siamo sempre aperti a nuove strade e nuove soluzioni. Riguardo a quella traccia: quando abbiamo iniziato c’erano sicuramente molta jungle e drum’n’bass in giro a Chicago. Però non avevamo mai provato a mischiarle col nostro sound, anche se c’erano delle somiglianze evidenti: il modo di spezzare il ritmo è lo stesso e c’è lo stesso basso pesante. Ho semplicemente pensato fosse ora di provare qualcosa di nuovo. Stessa cosa per Spinn, con le sue robe soliste sta cercando di rinnovarsi e provare soluzioni. Per quanto mi riguarda credo che mi abbia influenzato molto l’andare in tour, e venire a contatto con situazioni diverse, generi diversi che mi sono piaciuti e ho avuto voglia di fare miei.

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Infatti negli ultimi tempi sei stato molto in Europa, e hai suonato parecchio con gente come Addison Groove, che in qualche modo ha creato una versione europea del footwork.
Esatto, è qui con me ora [ride]. Adoro la sua musica, e anche quella di Machinedrum, Scratcha, Kode 9, Om Unit… Chiunque stia cercando di dare un input a questo stile da fuori degli States. Credo che come mentalità siano davvero vicini a noi e facciano le cose come le facciamo noi. È fantastico, stanno facendo molto per far conoscere questa musica, e sono tutti ragazzi fantastici. Anche Mark Pritchard è molto bravo, mi piace tutta la sua roba. Ma questa fissa collettiva improvvisa per il genere ti fa piacere o ti dà fastidio? Credi ci sia il rischio che si sputtani?
Mi fa molto piacere! Onestamente, non avrei mai creduto che il footwork sarebbe arrivato a questo livello, per cui per me è davvero bello, cazzo. Non so se farà la fine della dubstep, potrebbe trasformarsi in una roba commerciale. Onestamente non credo, ma in quel caso non mi importerebbe più di tanto, credo che avrò semplicemente voglia di fare altro. Ripeto: per me è già tantissimo che siamo arrivati così lontano, è una figata. Lo immagino. Parlando ancora di hardware e strumenti: è abbastanza sorprendente come tu e Spinn riusciate a mixare live senza cuffie. Di questi tempi sono tanti i DJ, specie tra i più famosi, che si presentano live con dei mix preregistrati.
Io ho imparato a fare il DJ prima di iniziare a produrre, per cui mi sono fatto le ossa soprattutto su quello. In realtà uso le cuffie, ma solo quando ho voglia di infilare nel mix un po’ di rap, o comunque qualcosa con un tempo diverso. Quasi tutto il footwork che mixo va dai 150 ai 160 bpm, di tanto in tanto mi capita di suonare anche della jungle un po’ più veloce, ma non credo sia comunque un problema mixare senza cuffie se conosci bene il genere e la musica che hai a disposizione. Però, appunto, se ho voglia di sconfinare in altri generi, magari mettendo un po’ di rap o raggae, ho bisogno di usarle. Ed è importante avere un rapporto diretto e fisico con la consolle? Scratchare, i cut…?
Lo era. Quando ero più giovane lo scratch e le varie tecniche di turntablism erano una parte molto importante del mio modo di suonare, ma ora non credo più sia importante perché semplicemente alla gente non frega un cazzo di sentire quella roba, vogliono ballare! Se non stai attento puoi finire per incasinare il groove. Ogni tanto faccio qualche scratch per passare da una traccia all’altra visto che non uso cuffie, però non è certo roba alla Jam Master Jay.

via Ashes57

Senti ancora una forte connessione con Chicago e con la scena?
Assolutamente. Rappresento Chicago quando sono fuori, e quando sono a casa mi do da fare per mantenere la città viva, suonando e andando alle feste, mettendo su serate footwork gratuite per i più giovani. Ci tengo molto. Però penso che potrei vivere anche altrove, anzi mi sa che tra un paio d’anni potrei davvero trasferirmi da queste parti [in Inghilterra, ndr].
 
Che mi dici della vostra etichetta, Lit City Trax? L’avete creata per documentare la scena di Chicago in particolare o è aperta anche ad altro?
No, a dire il vero ci sono un paio di cose grime in arrivo, e altri artisti di cui faremo uscire qualcosa, ma non posso ancora parlartene perché non c’è niente di confermato. All’inizio doveva essere solo footwork, ma poi abbiamo deciso che c’è tanta buona musica in giro, e non c’è motivo di limitarsi. E come ti fa sentire portare la tua musica in Europa ora che stai raggiungendo un pubblico piuttosto diversificato? Il “rituale” del ballo footwork mi sembra molto importante, ma è limitato solo a Chicago, no?
A dire la verità, anche nel resto degli Stati Uniti il pubblico è molto diversificato, e ovviamente non tutti riescono a ballare quel tipo di passi, ma cerco sempre di far capire alla gente che non ce n’è veramente bisogno, ci sono anche altri modi di ballare e di godersi la musica, anche solo ascoltando. Mi basta che la gente si prenda bene. Credo che la gente stia iniziando a capirlo. Ma c’è qualcuno in Europa capace di ballarlo? Ti piacerebbe che lo facessero?
Be', a dire il vero ne ho visti un po’ al Sonar e anche… aspetta quando era.. credo fosse in Francia, c’erano dei ragazzi capaci di ballarlo, si impegnavano molto. Dalla consolle non è che si veda granché, per cui non so dirti bene.. ma mi pare che fossero bravi. Credo sia figo che ci provino!

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