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Le abitudini sessuali delle giovani italiane sono disastrose

"L'Italia, quando si tratta di sesso, è il regno della disinformazione, delle bufale": ho cercato di capire perché le giovani donne italiane sono tra le più ignoranti d'Europa in materia sessuale.

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Kata Soskic

Per un periodo della mia vita ho creduto che i peli crescessero solo durante la notte e che il petting fosse un'invenzione delle lettere a Top Girl. Ma non ho mai pensato di risolvere il rischio di gravidanza proveniente da un rapporto non protetto facendomi un bagno caldo—senza per questo considerarmi particolarmente sveglia.

A quanto emerge da una recente indagine della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) invece, se mi fossi affidata a questo metodo non rappresenterei un'eccezione, ma solo una delle tante giovani donne italiane che basano la loro educazione sessuale su informazioni ottenute in maniera piuttosto casuale, principalmente da internet o dagli amici.

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"Si tratta di un problema trasversale, che colpisce il Nord come il Sud: l'Italia, quando si tratta di sesso, è il regno della disinformazione, delle bufale," mi spiega il dottor Marco Rossi, Presidente dell'Associazione Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale. "I ragazzi hanno informazioni sulla sessualità che derivano prevalentemente dei propri coetanei, e che i loro coetanei prendono da internet, senza gli strumenti per discernere il falso dal vero. Le bufale, sul campo sessuale, si sviluppano per questo."

Ciò che mi ha portato a contattare un sessuologo è la sopracitata ricerca della SIGO presentata a Milano, quella che, a partire da uno studio internazionale condotto in 12 Paesi su oltre 5.900 donne d'età compresa tra i 20 e i 30 anni (di cui 500 italiane), indaga sulla disinformazione delle giovani in materia di sesso.

Secondo l'indagine più del 20 percento del campione italiano ha appreso su internet "informazioni false o non esatte sulla sessualità," e il 56 percento non conoscerebbe la posizione esatta della vagina. Se uniti ai dati di una precedente indagine SIGO—che nel 2013 aveva rilevato come, nelle italiane tra i 14 e i 25 anni, il 42 percento delle donne non utilizzi nessun metodo durante il primo rapporto, e più del 60 percento di chi assume la pillola non usi il preservativo nei rapporti occasionali—la situazione non è esattamente confortante.

Secondo il dottor Rossi—ma anche secondo gli altri esperti che commentano questo tipo di dati da anni, e in buona parte secondo il senso comune—a portare l'Italia in fondo alla classifica è principalmente una cosa: "Non si fa educazione sessuale. L'educazione sessuale, che principalmente dovrebbe essere svolta nelle scuole, non si fa perché in Italia si vuole ancora evitare di affrontare questo tema. Oltre a essere all'ultimo posto nella prevenzione sessuale sia di gravidanze che di malattie sessualmente trasmesse, siamo all'ultimo posto nell'educazione sessuale."

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Sebbene con pochissime eccezioni quali Italia, Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Romania e Regno Unito—dove però la situazione sembra destinata a cambiare a breve—l'educazione sessuale è obbligatoria in tutta Europa, e parte integrante del curriculum scolastico ai vari livelli dell'istruzione.

In Italia, nonostante il discorso torni a ogni riforma della scuola, non esiste ancora una chiara normativa a riguardo. Le poche eccezioni per cui qualche studente si è trovato ad affrontare qualche ora di educazione sessuale alle scuole medie o alle scuole superiori, mi spiega Rossi, "si devono all'iniziativa locale di qualche dirigente scolastico o qualche consultorio, ma non a ordini ministeriali."

Anche oggi, solo di fronte alla parola educazione sessuale c'è il rischio di scatenare l'isteria di massa—come nel caso del "dibattito sul gender", i cui principali animatori fanno risalire la questione a un opuscolo OMS del 2010 in cui la Comunità Europea si proponeva di porre degli standard sull'educazione sessuale scolastica degli stati membri.

"Il fatto che l'Italia sia così arretrata su temi come diritti gay, o anche che si parli della teoria gender, che è partita dai genitori, non da ragazzi […] è parte dell'assoluta mancanza di educazione degli italiani, che non riescono a parlare della sessualità in modo maturo," mi dice Rossi.

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Questo vuoto istituzionale ha quindi la duplice conseguenza di creare giovani disinformati sul sesso, che non possono imparare nelle scuole, e genitori disinformati sul sesso, che non possono sopperire alla mancanza scolastica, formando un ciclo dal quale nessuno ne esce informato a dovere: "Quella che dovrebbe essere un'alternativa ai coetanei, il rapporto con i genitori, in Italia è sempre stato molto difficile e continua a esserlo anche oggi. I genitori stessi spesso non hanno informazioni riguardo la sessualità, e si fanno portatori di false credenze in materia," aggiunge Rossi.

Ma il fatto che non si parli di sesso non vuol dire che non sia cambiato il modo di viverlo. "Il sesso non è più un tabù," mi dice Rossi. "I giovani lo fanno e ne fanno tanto. I rapporti sono più promiscui, si fa sesso slegato dalla sfera affettiva, lo si fa semplicemente per conoscere il proprio corpo ed esplorare i propri orizzonti. Nella sua attuazione il sesso non è più un tabù, ma parlarne in alcuni luoghi e in alcune maniere rimane vietato."

Le origini di questa disinformazione, però, non sono imputabili soltanto all'educazione; spesso infatti anche i medici non sono sufficientemente aggiornati. "Questo è un altro problema molto grosso," spiega Rossi. "I ragazzi hanno bisogno che si rivolga loro del tempo, e devono trovare nei medici degli interlocutori preparati. Io la sfido a chiedere ai medici di base se sanno quali sono i nuovi metodi contraccettivi."

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Dal punto di vista del paziente, poi, "l'idea è ancora preservativo, astinenza, pillola o coito interrotto," aggiunge Rossi, anche in questi casi con percentuali d'uso diverse rispetto agli altri Paesi. In Italia per esempio la pillola anticoncezionale, stando all'indagine SIGO del 2013, viene usata dal 16 percento delle donne—contro, per esempio, al 41 percento della Francia. "La parola ormone, in Italia," commenta Rossi, "spaventa le ragazze. Appena la si sente nominare si pensa che questa faccia ingrassare, o all'infertilità. Ci sono ancora delle credenze del tutto sbalgliate a riguardo."

A questa scarsa informazione trasversale sui contraccettivi, si aggiunge quella sulle malattie sessuali, che in Italia, negli ultimi anni, sono aumentate costantemente. "Il luogo comune più sbagliato che c'è in Italia, oltra a quello che una gravidanza indesiderata non sia così facile, è che le malattie sessualmente trasmissibili siano solo quelle moto gravi, come l'AIDS. Già a dire l'epatite virale, le ragazze non lo sanno che viene trasmessa sessualmente."

Come indica la tendenza sulle MST, la disinformazione ovviamente riguarda entrambi i sessi: dal 2010 la vendita dei preservativi è in costante calo e, secondo un'indagine della Federazione italiana di Fisiologia Scientifica, anche quando la metà degli uomini intervistati si dichiara consapevole di un alto rischio di contrarre MST, chi non usa il profilattico lo fa tendenzialmente perché "ridurrebbe il piacere sessuale."

Se da una parte la tecnologia si sta muovendo per far fronte a questo tema e convincere uomini e donne a una maggiore protezione, sembra difficile che questo avvenga senza un cambiamento alla base, che parta dall'educazione. Passata un'altra riforma della scuola e persa un'altra occasione di affrontare il problema dell'analfabetismo sessuale, i giovani disinformati di oggi saranno gli adulti disinformati di domani. E siamo già nel 2015.

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