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L'Italia è rimasto l'unico paese in Europa occidentale a non riconoscere le unioni omosessuali

Mentre il disegno di legge sulle unioni civili è bloccato in Parlamento, proprio oggi la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha ribadito per l'ennesima volta che su questi temi l'Italia è uno dei paesi più arretrati del continente.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Festeggiamenti a Dublino per il risultato del referendum sui matrimoni gay. Foto di Sarah Meyler

Finita l'euforia che ha seguito il referendum in Irlanda e la sentenza della Corte Suprema americana sui matrimoni gay, e cambiate le foto profilo arcobaleno su Facebook, in Italia la discussione sui diritti civili alle coppie dello stesso sesso è mestamente ritornata nel solito binario morto.

Proprio oggi, la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha ribadito per l'ennesima volta l'ovvio—ossia che su questi temi siamo uno dei paesi più arretrati dell'intero continente. Accogliendo il ricorso di tre coppie di omosessuali, rappresentate da Gaylib (associazione dei gay liberali e di centrodestra), la Corte ha ritenuto che l'Italia abbia violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

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"La tutela legale attualmente disponibile [nel paese] per le coppie omosessuali," si legge in una nota, "non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di due persone impegnate in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile." In più, sempre secondo la Corte, "l'Italia e gli Stati firmatari della Cedu devono rispettare il loro diritto fondamentale ad ottenere forme di riconoscimento che sono sostanzialmente allineate con il matrimonio. L'Italia è l'unica democrazia occidentale a mancare a questo impegno."

La sentenza, dunque, pur non parlando esplicitamente di matrimonio, chiede di individuare "una forma istituzionalmente definita" per riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso.

Negli ultimi mesi qualcosa su questo versante si sta comunque muovendo, seppur con indicibile fatica. Da gennaio, infatti, il Parlamento sta esaminando il ddl Cirinnà, una proposta di legge che—oltre a non essere esattamente rivoluzionaria—sta incontrando una feroce opposizione sia all'interno dell'Aula che fuori.

Lo scorso maggio, sebbene Matteo Renzi avesse promesso che sarebbe stato approvato "entro la primavera," il ddl è stato letteralmente sommerso di emendamenti—4000 in tutto, quasi settecento provenienti dal solo Carlo Giovanardi.

Questa sorta di guerra di trincea in aula si è svolta in parallelo agli strepiti del mondo cattolico e reazionario, che si sono condensati nella piazza del Family Day del 20 giugno 2015, in cui l'isteria sulle unioni civili—che secondo certi maître à penser ultracattolici prevedono addirittura "l'utero in affitto"—sono state frullate insieme a quelle sulla teoria del gender.

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Il Family Day a Roma del 20 giugno 2015. Foto di Federico Tribbioli

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Il risultato molto concreto è che, allo stato attuale delle cose, il ddl Cirinnà langue in Parlamento. Come riporta L'Espresso, l'iter della legge in Senato "è bloccato dal mancato arrivo di una relazione tecnica del ministero dell'Economia sulla copertura finanziaria della legge." Senza questa relazione, la commissione bilancio non può dare il via libera al provvedimento—e senza il via libera, continua l'articolo, "non può lavorare né la commissione, né l'aula." Il rischio, insomma, è che il tutto slitti ulteriormente dopo l'estate, allungando ancora di più i tempi.

Questi impedimenti politico-burocratici, tra l'altro, arrivano a pochi giorni di distanza da un'altra promessa del premier, che aveva parlato di approvazione "entro la fine dell'anno" e di risoluzione della questione "una volta per tutte." Questa rassicurazione di Renzi ha avuto l'effetto di convincere il sottosegretario alle riforme Ivan Scalfarotto a interrompere lo sciopero della fame, intrapreso in segno di protesta con i ritardi del ddl.

Le fragole di Ivan Scalfarotto — nomfup (@nomfup)July 18, 2015

La Conferenza Episcopale Italiana, invece, si è mostrata decisamente meno convinta. Il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, ha rilasciato una dichiarazione piuttosto stizzita: "Rispetto alle urgenze che si impongono, è paradossale questa attenzione [ alle unioni civili ]. Peccato non poterne riscontrare altrettanta in effettive misure di sostegno alla famiglia, nonostante questa sia la cellula fondamentale del nostro tessuto sociale, l'unica che assicura una serie di funzioni preziose e insostituibili."

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Abbastanza curiosamente, la posizione di Galantino assomiglia a quella dello stesso Renzi nel 2007, quando era presidente della provincia di Firenze. "Non ritengo quella della coppie di fatto la questione prioritaria su cui stare mesi a discutere per poi trovare una faticosa mediazione," aveva detto. "Mi sembra un controsenso rispetto alle vere urgenze del paese. Questi provvedimenti sono carichi di forza ideologica, sono un compromesso politico, ma toccano la minoranza delle persone."

Naturalmente, con il tempo la posizione pubblica di Renzi è cambiata. E, anche se ora non lo ricorda praticamente nessuno, sono esattamente questo tipo di prese di posizioni di esponenti di centrosinistra ad aver puntualmente affossato ogni tentativo di legiferare seriamente sul tema.

Dal 1996 a oggi abbiamo visto ogni tipo di sigla—Pacs, Dico, eccettera—e assistito a ogni tipo di proposta, ma l'unica cosa a non essere mai cambiata è la condizione di buco nero nella mappa dei diritti dell'Europa occidentale.

Mappa dei diritti civili in Europa, oggi sul Corriere della Sera (notare il colore dell'Italia) (via — Dino Amenduni (@doonie)March 9, 2015

La fallimentare storia dei tentativi di introdurre un riconoscimento minimo dei diritti delle coppie dello stesso sesso è per certi versi abbastanza simile a quella sul reato di tortura.

Anche in quest'ultimo caso, dopo la condanna della Cedu sui fatti della scuola Diaz, tutti avevano ribadito la necessità di dotarsi di una legge. Peccato che, a causa della fortissima pressione esercitata dalle lobby poliziesche, qualche settimana fa il disegno di legge—che anche in questo caso è ben lontano dall'essere soddisfacente—sia stata ricacciato nel solito pantano parlamentare, allontanandone ancora una volta l'approvazione.

Per restare sul paragone, il timore è che quanto visto con il reato di tortura possa replicarsi anche con il ddl Cirinnà. Non ci resta che vedere, dunque, se vincerà il "benaltrismo" dei vari Salvini e delle varie Manif PourTous, oppure se l'indignazione odierna sarà in grado di riallineare l'Italia al mondo civilizzato.

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