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A8N5: È tutto molto strano

Prenditi una coltellata

I dervisci iracheni si infilzano in nome di Dio.

I mistici, volteggianti dervisci sufi del sud dell’Iraq sono una pacifica e generalmente ben istruita minoranza musulmana che vive in povertà nella speranza di imparare l’umiltà. Come la maggior parte delle sette islamiche, non sono benvoluti dai loro compagni religiosi (specialmente dai gruppi estremisti come Al-Qaeda) e vengono regolarmente evitati, tormentati, o addirittura uccisi. E il continuo bombardamento di pregiudizi estremi ha funzionato: negli ultimi anni tantissimi confratelli sono fuggiti dalla madrepatria.

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I pochi rimasti continuano a praticare un Islam piuttosto intenso, che include anche, occasionalmente, una speciale forma di Dhikr (una pratica religiosa che include il “ricordo di Allah nel petto” e la ripetizione di una stessa formula) durante la quale gli uomini si feriscono ripetutamente alla testa e all’addome con coltelli e lance. Il rituale risale ai primi tempi del Sufismo e viene praticato sia come esibizione della superiorità spirituale dei fedeli, sia per reclutare nuovi membri della setta provando l’esistenza di Dio attraverso la dimostrazione dei suoi miracolosi poteri curativi. Non molto tempo fa, durante una visita a Bassora, il fulcro del commercio di petrolio del sud dell’Iraq, ho avuto la fortuna di essere invitato a una di queste pungenti cerimonie.

Il rito si è svolto in una takiyya (un tempio derviscio) di Al-Zubeir, una delle aree più povere di Bassora, un quartiere malridotto con strade sporche e case spartane dal tetto piatto. Appena arrivato, sono stato accolto con un caldo benvenuto e un pasto frugale ma delizioso, a base di zuppa di lenticchie, pane e arance. Poi, cinque ragazzini hanno cominciato a suonare il timpano, cantando “Non c’è dio all’infuori di Dio,” mentre gli uomini raccolti in cerchio facevano oscillare ritmicamente la testa su e giù, a occhi chiusi. Avrei presto saputo che quello era il loro modo di prepararsi a qualche seria perforazione corporale.

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Si era riunita una trentina di uomini di varie età, e, tra questi, sei si sono offerti volontari per essere accoltellati. Il più giovane non sembrava avere più di 16 anni, ma dalla sua calma e dalla sua sicurezza si capiva che non era la prima volta che finiva sotto i coltelli. Il khalifa (l’officiante della cerimonia) ha scartato l’involto di pelle marrone che conteneva coltelli e lance di varie dimensioni, e Alì, un giovane ingegnere petrolifero, ha afferrato un martello e si è colpito forte in testa prima di affondarsi un coltello in fronte. È venuto da me e mi ha chiesto di fargli una fotografia. (Avevo il permesso scattare fotografie, ma filmare la cerimonia è vietato da quando un ospite ha caricato su YouTube un video con una descrizione che, mi ha detto Alì, suonava come “Ecco come i fanatici di Al-Qaeda si preparano per il jihad.”) Poi il ragazzo mi ha chiesto di estrargli il coltello dal cranio. Per educazione, ho tirato con tutte le mie forze, ma il coltello sembrava incastrato. Il khalifa è arrivato in mio soccorso, e ha rimosso la lama senza alcuna fatica. Poco dopo, un uomo chiamato Aqil, che si era appena infilato due coltelli nella testa, mi ha detto, “Il miracolo è nel processo di guarigione. Le mie non sono ferite gravi; ma vedrai altre persone perforarsi organi vitali senza averne alcun danno.”

Infatti, dopo pochi minuti, un uomo di nome Hassan si è conficcato una lancia nel bassoventre, a sinistra. Con una smorfia di dolore, Hassan mi ha detto, “Oggi fa un po’ male perché la punta della lancia mi ha colpito l’anca prima di uscire dalla schiena.” Gli ho chiesto se pensava che la lancia fosse passata attraverso un rene. “È possibile” ha replicato, aggiungendo che non sarebbe stata la prima volta che si bucava un rene. “Una volta, dopo una perforazione come questa, un amico ebbe qualche problema e fu portato al pronto soccorso. Dopo l’operazione il dottore gli disse che non aveva mai visto niente di simile—aveva 15 fori in un rene.”

La cerimonia è durata tre ore, delle quali solo una mezz’ora è stata dedicata a tagli, affettamenti e accoltellamenti vari dei membri della congregazione. C’è stata anche una pausa, durante la quale tutti si sono inginocchiati e hanno pregato. L’unico che sanguinava sembrava Aqil, che portava uno straccio intorno alla testa per fermare il sangue. Non c’erano dottori né personale medico di alcun genere, e anzi nessuno sembrava preoccuparsi di lui. Quando la cerimonia si è conclusa, tutti mi hanno stretto la mano, mi hanno ringraziato e (inevitabilmente) mi hanno invitato a unirmi alla confraternita. Facendo attenzione a non sembrare scortese, ho assicurato loro che ero davvero riconoscente per la generosa offerta, ma che avevo bisogno di pensarci prima di accettare.

I dervisci hanno aggiunto che l’anno scorso una giornalista giapponese aveva accettato il loro invito. Ho sorriso al pensiero della povera ragazza, la cui buona educazione, un autentico retaggio culturale, non le aveva permesso di declinare un’offerta simile. Chissà, magari adesso pratica le cerimonie accoltellandosi da sola, in qualche buio appartamento di Tokyo. Presto, comunque, ho cominciato a sentirmi colpevole per questi uomini, che forse si erano feriti gravemente in parte anche per saziare il mio interesse. Hassan, che si era appena infilato una lancia nel fianco, mi ha assicurato che non avevo motivo di preoccuparmi e ha suggerito di incontrarci il giorno seguente, in modo che potessi vedere la miracolosa guarigione con i miei stessi occhi.

Il giorno dopo, un arzillo e cordiale Hassan mi ha raggiunto in perfetto orario, in sella alla sua bicicletta. Si è fermato di fronte a me, si è sbottonato la camicia, e mi ha mostrato con orgoglio una piccola, miserabile cicatrice sul ventre.