I nostri insani food tour in tutta Italia, alla ricerca del cibo di strada migliore o ricette iconiche senza tempo.
La pizza smuove un certo patriottismo in ogni napoletano; anche se si è scettici e anche se fa male ammetterlo, il fatto che la pizza trovi sempre ampi consensi nel panorama gastro mediatico ci inorgoglisce.La Parigina è la pizzetta a tre strati e tre consistenze – soffice sul fondo, succulenta e filante al centro, fragrante e friabile sopra – che fa gola a chiunque.
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Tranquilli, però, non starò qui a decantarvi la supremazia della pizza napoletana su tutte le altre. Uso solo questo pretesto per parlarvi di un'altra pizza, anzi di una pizzetta per farla breve, forse meno conosciuta, e che con la pizza napoletana Stg (Specialità tradizionale garantita) non ha quasi nulla a che fare, se non la provenienza. Una è tonda, l’altra quadrata. Una cuoce nel forno a legna, l’altra in quello elettrico. Una è prerogativa delle pizzerie, l’altra delle rosticcerie. Una è mainstream, l’altra è underground. A dirla così sembrerebbe più vicina alle pizze in teglia capitoline o alle focacce liguri o baresi, ma la parigina non scrocchia e spesso supera i due centimetri di spessore.
Base pasta della pizza, farcitura pomodoro, prosciutto cotto e mozzarella (o provola), copertura pasta sfoglia. La Parigina è la pizzetta a tre strati e tre consistenze – soffice sul fondo, succulenta e filante al centro, fragrante e friabile sopra – che fa gola a chiunque.
Ora, che è superlativa lo abbiamo detto, che ha un mega ripieno pure, ma provate a immaginare di mangiarne una decina. In un solo giorno. Quando ho accettato di addentrarmi in questo ennesimo tour dell’ingordigia speravo nella solidarietà della mia fotografa. E invece no, il contributo di Alessandra è stato quasi nullo.Il nome “Parigina” deriverebbe quindi da un’idea di un suo collega napoletano che voleva evidenziare il fatto che fosse stata fatta proprio per lei, “p’ ‘a riggina”, “per la regina”.
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Prima di cominciare però, facciamo un paio di premesse:
- Questo non è un concorso a premi né una classifica. Quindi, tirando in ballo De Gregori, “nessuno si senta offeso”.
- Non mi sono ancora evoluta in Eric Cartman. Il mio stomaco è capiente, ma pur sempre limitato. Provate a perdonarmi se ho saltato la vostra parigina del cuore.
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Per farla breve, un allievo di Marie Antoine Carême Arfäně - cuoco francese di Versailles al servizio di Luigi XVIII di Borbone – si servì della pasta sfoglia inventata dal suo maestro per aggiornare la vecchia ricetta della merenda della regina. Il nome “Parigina” deriverebbe quindi da un’idea di un suo collega napoletano che voleva evidenziare il fatto che fosse stata fatta proprio per lei, “p’ ‘a riggina”, “per la regina”.Ok, ora mi sento meglio. Partiamo. Rendez-vous con Alessandra al Vomero, e via con la prima tappa in Via Kerbaker 54.
La parigina di Ambrosino
Ambrosino di fatto è il paradiso del pane. Da anni provoca stati di intenso godimento, fisico e spirituale, sfornando pani di ogni sorta: dalle pezzature classiche di pane cafone ai filoni, dalle baguette al pane all’olio, dai panini al latte a quelli alle olive, alle noci, ai pani aromatizzati e con farine alternative, come al kamut o al carbone vegetale. Ma il loro “must have” è il pane “con le corna”. Una specie di filone allungato che termina appunto con due corna da ambo i lati. È un classico della domenica. Così se stacchi un “cuzzetiello” sulla strada di casa, te ne restano sempre altri tre da pucciare nel ragù.
Scusate, sono di nuovo off topic. Torniamo a noi. Pane a parte, Ambrosino è anche una rosticceria, una gastronomia e un ristorante ante-Covid19. “Mi dà un pezzo di parigina per favore?” ripeto due volte per farmi sentire da dietro la mia FFP2. Alla cassa pago 1,50 €.
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Sono le 11:30 e sto per addentare il primo pezzo di parigina della giornata.Si comincia niente male: la base è morbida, ben inumidita dalla farcia, la sfoglia è fragrante, nonostante le due ore che la separano dal forno. Pomodoro, prosciutto e mozzarella sono nella giusta quantità. Una pizzetta discreta ed equilibrata che finisco in qualche morso. Un’ottima partenza direi.
Mentre scattiamo qualche foto mi accorgo di uno sguardo indiscreto. La signora Graziella, a cui racconto la mia auspicata impresa titanica, mi spedisce dritta alla Focacciera. Dove, secondo lei, fanno la migliore parigina del quartiere. Apro Google Maps: perfetto, è a 5 minuti da dove mi trovo.
La parigina della Focacciera
“La Focacciera”, questo nome l’ho già sentito. Paolo Gambardella, proprietario e gestore del piccolo food point di Via Merliani, mi racconta infatti che La Focacciera è innanzitutto il locale di Daniele Matera, l’imprenditore che vent’anni fa ha scommesso per primo sulla pizza in teglia a Napoli, aprendo al centro direzionale.La nuova edizione in collina, invece, ha poco più di un anno e punta tutto sulla qualità del prodotto, sul rapporto con il cliente e sulla posizione. “Aprire al Vomero è stata la scelta giusta” commenta Paolo con lo sguardo fiero “dopo di noi hanno aperto altre 4 o 5 focaccerie”.
Nonostante l’infelicità del periodo, mi dice che quando si è lavorato, lo si è fatto alla grande e con molte soddisfazioni.
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Prendo due versioni della parigina: classica e salsiccia e friarielli. Il peso specifico del cartone mi fa spostare improvvisamente il baricentro in avanti, ma non mi scoraggio. Lo trasporto su una panchina poco più in là e qualche “scavicchi ma non apra” più tardi, scoperchio.
Mi aspettavo una parigina traslucida e grondante e invece ha più l’aspetto di una focaccia che di una pizzetta. Niente pasta sfoglia, il ripieno è racchiuso tra due strati di pasta della pizza ed è più alta di qualche centimetro.
All’assaggio l’impasto è arioso e nonostante il cartone ha mantenuto il giusto compromesso tra croccantezza e morbidezza, ma il prosciutto è un po’ spesso e la mozzarella non si è sciolta completamente, dando quella sensazione di elasticità non propriamente lodevole. Spero sia un episodio isolato.
Rosticceria Imperatore e la parigina rossa
Mi muovo verso la zona ospedaliera e poi mi spingo fino a Viale Colli Aminei. Terzo pit stop, terza spanzata: rosticceria Imperatore. L’avevo saltata a malincuore nel tour delle frittatine di pasta, stavolta non me la potevo perdere. Dietro quest’insegna storica in stile rustico fiorentino, c’è Enzo Imperatore, terza generazione di una nutrita famiglia di rosticcieri napoletani. Nel 1906 alzano la prima saracinesca a Forcella e negli anni ’60 contano già più di dieci punti vendita in città.
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“Io sono l’unico della famiglia che ha continuato il mestiere” sottolinea Enzo.
Nel frattempo, Antonio, sorriso smagliante e savoir-faire napulegno, sta incartando le mie parigine d’asporto dietro il lungo bancone in legno. Una classica – perché è da quella che posso valutare meglio – e una con le melanzane a funghetto. Le mangio a cavallo del motorino di Alessandra parcheggiato sul ciglio della strada, tra qualche clacson e qualche commento sconveniente.
Le mani mi si colorano totalmente di rosso. Mi lecco le dita ma non serve a niente. La salsa di pomodoro mi travolge. Forse è un po' troppa in proporzione, ma è divina. Né troppo acida né troppo dolce. Gli altri ingredienti sono leggermente dominati dal pomodoro, ma non hanno perso la loro identità. L’impasto è da marziani. Una nuvola palpabile e scioglievole sotto, friabile e sapidina sopra.Livello di serietà 2.0.
“Lo sai perché? Perché io pretendo che la produzione venga fatta la mattina per la giornata. Non voglio che il prodotto si trasformi in qualcosa di industriale e quindi evito di congelare o abbattere. Preferisco lavorare di più, ma restare artigianale” mi dice Enzo quando accenno qualche complimento.
Bene, abbiamo cominciato a viaggiare su rotte goduriose. I colli aminei ci hanno regalato emozioni, ma ci dobbiamo salutare.
Pago i 4 € dovuti e salto in groppa allo scooter.
Vestuto e la parigina da sturbo
Bye bye quartiere Stella, hello San Carlo all’Arena.
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Prima di arrivare alla mia quarta tappa, pensavo che sarebbe stato difficile trovare una parigina all’altezza della precedente. E invece SPOILER: quella di cui sto per parlarvi si è poi rivelata una delle più buone. E non solo per la pizzetta in sé per sé, ma pure perché l’ho mangiata al sole di una panchina del parchetto lì fuori. Nessuno intorno, solo io, il cinguettio degli uccellini e la mia fame madornale. Dite voi, come è umanamente possibile che io avessi fame dopo cinque parigine nelle ultime due ore? Non ne ho idea.Vincenzo Vestuto ha fatto la storia del quartiere, qui. Nel 1967 ha aperto le porte della sua rosticceria. E nel ’91 ha passato il testimone ai suoi quattro figli. Da allora la lunga lista di clienti fissi che frequenta il locale cresce senza soluzione di continuità.
In attesa di essere servita mi accorgo subito che, anche qui, la sfoglia gioca a nascondino. Ma dopo l’iniziale delusione, ordino un paio di classiche. Tutto è dove deve essere. Il prosciutto è tondo nel sapore, il pomodoro ponderato (giusto un’ombra) e la mozzarella è davvero tanta roba – facile da queste parti, ma non scontato.
Alla fine, l’impasto è talmente buono che gli perdono pure l’assenza della sfoglia. Qui anche le salde certezze di Alessandra crollano e ci dirigiamo verso la prossima tappa ormai entrambe satolle e abbafate (in stato catatonico da abuso di carboidrati).
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Le parigine di Mandara
Mandara a Via Ponte di Tappia è il tipico ritrovo da pausa pranzo. È situato in un crocevia di uffici, banche ed esercizi commerciali, per cui è facile che a ora di pranzo troviate un po’ di fila.
Noi siamo arrivate alle tre e mezzo di pomeriggio e in vetrina è rimasta l’ultima parigina. Sembra un po' triste, messa lì a seccare all’aria tra una brioche e una sfogliata, in attesa di qualche affamato dell’ultim’ora. “Me la può scaldare un pochetto?”
Antonio accenna un timido “subito” – si, pare che chiamarsi Antonio sia una peculiarità di chi prepara parigine – e mi concede un piattino di ceramica per le foto.
La superficie della sfoglia è abbronzata e leggermente untuosa. Non so se è per la quantità di grassi nell’impasto o se ci abbiano spennellato su una mistura di latte e tuorlo d’uovo. Fatto sta che la pizzetta risulta un po' seduta e appiattita sulla base. Non male, per carità, ma non è il mio stile.Conto: 2,50 €.È il momento di andare verso il mare. Next stop: Via Posillipo.
Elettroforno Giulia
Quando arriviamo da Giulia, si sono fatte quasi le cinque e il sole sta cominciando a calare, a dispetto del mio livello di insulina nel sangue. Da Giulia, per noi napoletani, è da sempre L’elettroforno. Con l’articolo determinativo, come se non ce ne fossero altri. E per essere totalmente onesti, prima di scrivere questo pezzo, neanche sapevo si chiamasse in realtà Elettroforno Giulia. Ma dopo capiremo perché.
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Qui si comincia alle 8 con la colazione. E a metà mattinata si parte con le pizze, le frittatine, i crocchè, gli arancini e quant’altro. Alle 5 le parigine sono finite. Ca va sans dire.
“Se aspettate una ventina di minuti ve la inforno” mi dice gentilmente la ragazza dietro il banco. E così, col fegato a pezzi e una Coca-Cola in una mano, usciamo a goderci la vista del VesuvioMentre aspettiamo che sia pronta la pizzetta approfitto per raccontarvi la storia di Giulia. In soldoni, l’Elettroforno fino alla fine del ‘49 era gestito dalla famiglia Moccia (noto cognome di panettieri a Napoli), che poi decide di darla al panettiere del penitenziario di Procida, il mitico Don Mario Manzo. Don Mario raggiunse la fama con la famosa pizza al pomodoro, miraggio di generazioni di ragazzini. E con un balzo di circa 30 anni in avanti arriviamo a Pasquale e Giulia De Biase, gli attuali titolari a cui Don Mario cedette il forno nel ’78.
Altre due chiacchiere più avanti la mia parigina arriva lucida e fumante nella sua teglia di ghisa, pronta per essere divisa. Me la porto via nel pack monoporzione e la tengo mezza aperta per non rischiare l’ustione. È bella alta, la mollica è soffice ma compatta, e rilascia una buona dose di unto nel cartone che diventa tipo carta mozzarella.La mozzarella nella farcia però fila e la salsa di pomodoro si armonizza perfettamente.
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Un quadrato golosissimo al modico prezzo di 2 €.
Panetteria Sbarra
Siamo agli sgoccioli, questo food tour de force della parigina sta per finire. L’ultima DOVEVA essere quella di Sbarra. Un po’ perché negli anni ne ho mangiate a centinaia nei dopo serata estivi, ed è una sicurezza. E un po' perché ci mancavo da un pezzo, ci ero venuta nel mio tour del cibo notturno, ma l’avevo trovata chiusa. Dovevo rifarmi. Alle 18 è ancora una volta chiusa, ma non dispero. Il macellaio accanto mi dice che dovrebbe aprire a momenti. Con il Covid la signora Daniela apre soltanto una parte del panificio. E fanno un’unica infornata di parigine in giornata. Prendo l’ultima del forno della mattina.
La parigina di Sbarra è quella che ti fa sentire a casa, al caldo e al sicuro, imbacuccato come un bambino appena uscito dal bagnetto e avvolto negli asciugamani morbidissimi.Segui Paola su Instagram
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