Salute

Ho provato il prison gym, gli esercizi nati per chi è in cella

Come funzionano gli allenamenti quando hai pochissimo spazio a disposizione, vivi in un carcere sovraffollato e la tua salute mentale è precaria?
Alessandro Pilo
Budapest, HU
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Foto di Drew Shearwood, dal libro Cell Workout. Per gentile concessione di LJ Flanders.

Un po’ come tutti, durante la quarantena ho dovuto ripensare l’esercizio fisico. Pur non essendo un amante della palestra tenevo molto ai miei 10mila passi al giorno, alle mie lezioni di yoga o ai miei chilometri in bicicletta. Mentre ero alla ricerca di alternative domestiche che non richiedessero nessuna attrezzatura, ecco apparire su YouTube dei brevi video con una serie di esercizi—così recitavano le descrizioni—popolari tra chi si trova confinato in una cella.

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Questo genere di contenuti, che potremmo definire prison gym o prison workout, è portato avanti da qualche decina di profili e spesso è connesso a una riflessione sul mondo delle carceri e l’approccio punitivo della nostra società. Incuriosito da una tipologia di video sul fitness—un settore che negli ultimi anni ha letteralmente invaso i social—di cui ignoravo l'esistenza, ho deciso di parlare con due ex-detenuti che, oltre a rimetterti in forma, vorrebbero farti conoscere i drammi di chi sta dentro una prigione e le difficoltà di chi prova a rifarsi una vita dopo la scarcerazione.

Nel 2011, a causa di una rissa fuori controllo, LJ Flanders viene condannato per aggressione aggravata a trascorrere diciotto mesi nel penitenziario londinese di Pentonville, dove passava 23 ore al giorno dentro celle minuscole, tra disperazione e sovraffollamento.

Per conservare la propria salute fisica e mentale Flanders mette a punto una routine di esercizi da realizzare in spazi limitati e senza attrezzi. Il giovane dell’Essex si appassiona così tanto da prendere un patentino come istruttore di ginnastica e inizia a creare percorsi personalizzati per i suoi compagni. Flanders mi spiega via messaggio vocale che un carcere è un luogo totalmente analogico, senza internet o video, in cui è difficile trovare informazioni che non siano contenute nella biblioteca.

Ecco perché una volta libero decide di mettere a frutto la sua esperienza in Cell Workout, un libro che spiega come tenersi attivi anche in reclusione. Pubblicato nel 2015, il manuale è diventato—nelle parole di ex detenuti intervistati per il suo programma—una sorta di bibbia. Nei vari capitoli Flanders non parla solo di esercizio fisico, ma anche di benessere psicologico: “La popolazione carceraria è afflitta da apatia, tendenze suicide, problemi mentali. Fare esercizio stimola la produzione di endorfine e aiuta a sviluppare un pensiero resiliente e, nei limiti delle circostanze, più positivo.”

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Ovviamente la pandemia di Covid-19 ha reso questo libro popolare anche tra chi si trova (o trovava)obbligato a restare a casa dalla quarantena. L’autore tiene a precisare che le due forme di reclusione non sono ovviamente paragonabili, perché “nel tuo appartamento hai a disposizione tutti i comfort e i supporti digitali per passare il tempo, mentre il carcere è un luogo dove sei solo coi tuoi pensieri.”

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LJ Flanders, foto per sua gentile concessione.

Grazie al supporto del Prince’s Trust e il Prisoners’ Education Trust, Flanders ha messo a punto dei laboratori che porta nei penitenziari britannici, e “oltre agli esercizi giornalieri parliamo di resistenza mentale e come trasformare l’esperienza in carcere in un modo per cambiare vita.” Malgrado la sua sia una storia con un lieto fine, sottolinea che per la maggior parte degli altri detenuti non andrà così: “Quando lasci la prigione nessuno ti dà un lavoro o affitta una casa, non hai soldi per vivere o pagare le bollette, non c’è da sorprendersi se in alcune strutture del Regno Unito intorno al 70 percento delle persone scarcerate commetterà un altro crimine.” Se non altro, Flanders nota che la mentalità sul tema sta cambiando e oggi c’è un maggiore favore verso il concetto di riabilitazione e funzione rieducativa della pena.

Se Flanders ha preso la strada del no-profit, oltreoceano qualcuno è riuscito a trasformare il suo allenamento tra le sbarre in un business di successo. Coss Marte è nato e cresciuto nel Lower East Side di New York degli anni Ottanta, una realtà caratterizzata da discriminazione razziale, degrado e consumo di crack. A tredici anni aveva iniziato a vendere erba, e a 19 era già diventato uno dei principali boss della città, in grado di guadagnare due milioni di dollari all’anno. Tutto finisce quando a ventitré anni viene arrestato e condannato per traffico di stupefacenti.

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Marte mi racconta telefonicamente che “quando sono entrato in prigione il mio stato di salute era un disastro, il medico mi aveva detto che coi miei livelli di colesterolo me ne sarei andato in massimo cinque anni. Mi ero ripromesso che non sarei morto dietro le sbarre, e così ho iniziato a fare ginnastica pesantemente, creando una routine che mi ha fatto perdere più di trenta chili in sei mesi. Col tempo altri detenuti si sono uniti ai miei allenamenti.”


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Dopo sette anni Marte viene scarcerato e si rende conto di quanto è difficile rifarsi una vita o trovare lavoro. Nel frattempo ha continuato ad allenarsi in un parchetto rionale, accumulando un discreto seguito. Decide così di provare a creare un piccolo studio di fitness, ma per via del suo passato è difficile trovare un’agenzia disposta ad affittargli uno spazio.

Con un mix di tenacia, incontri giusti e fortuna Marte riesce infine a lanciare ConBody, una palestra che offre allenamenti basati su calistenia e cardio fitness, simili a quelli ideati durante la sua permanenza in un penitenziario. Uno degli obiettivi del trentenne statunitense è aiutare altre persone appena uscite di prigione a rientrare nel mondo del lavoro: la maggior parte del suo staff è composto da ex-carcerati, uomini e donne.

“Alcuni erano nel mio stesso penitenziario, altri mi sono stati consigliati da delle Ong,” mi spiega, “ma ricevo anche un sacco di lettere da detenuti. Il percorso è sempre lo stesso, quando vengono assunti iniziano facendo le pulizie, poi passano al front desk, nel mentre realizzano un training in fitness e quando sono pronti diventano istruttori.”

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Da un incontro ConBody con influencer. Foto per gentile concessione di Coss Marte.

Ho provato per curiosità a iscrivermi e a fare qualche allenamento, e da quello che ho visto posso dire che la dinamica è molto semplice—più o meno si alterna sempre la stessa quindicina di esercizi, tra piegamenti, addominali, jumping jack, burpees, crunch, mountain climber e squat—ma ciò che li rende speciali è il ritmo serratissimo, quasi brutale, e l'energia di un gruppo di istruttori che fa di tutto per spingerti al massimo.

Durante le sessioni più impegnative a volte capita che un trainer accenni alla propria reclusione: nelle intenzioni di Marte, ConBody è anche un modo per combattere i pregiudizi e lo stigma sociale contro chi ha commesso un crimine. “Il passato del mio staff non deve essere un segreto, voglio che i nostri clienti capiscano cosa ci ha portati a finire in carcere,” racconta. “Siamo cresciuti circondati da povertà, polizia pronta a fermarti senza motivo e familiari e amici dipendenti dalla droga. Non siamo dei mostri: semplicemente siamo cresciuti in luoghi e tempi difficili, spesso siamo finiti in prigione per la prima volta da adolescenti e da quel momento siamo stati marchiati a vita.”

Marte è convinto che questa trasparenza aiuti i suoi clienti, per la maggior parte giovani professionisti, a vedere il sistema carcerario statunitense con occhi più critici. Di certo si è rivelata anche una mossa di marketing: se lo studio di ConBody è pensato per gamificare l’esperienza, la stanza in cui si tengono le lezioni si chiude con una porta con le sbarre e nello studio ci si può fare una foto segnaletica.

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