È notizia di ieri che almeno una parte dei 49 migranti a bordo delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye verrà accolta in Italia e affidata alle cure della Chiesa Valdese: molto bene, almeno tutti quei miei 8 per mille non saranno stati invano. Spero inoltre che Conte confermi che li andrà a prendere personalmente con l’aereo, perché vestito da steward starebbe una favola.
Si chiude così un’altra pagina imbarazzante di quell’autentico almanacco dell’imbarazzo che è diventata la cronaca nostrana. Perché per giorni l’argomento principe è stato “I 49 uomini donne e bambini della Sea Watch? E i nostri terremotati che muoiono di freddo e di fame?”
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L’argomento è stato cavalcato in lungo e largo da personaggi più meno o noti, per esempio da Marione, il vignettista ufficioso del M5S, Giorgia Meloni, e infine Salvini, che ha dichiarato “devo prima sfamare 5 milioni di italiani” nemmeno fosse la prova finale di Masterchef.
Si potrebbe parlare per ore del modo migliore di ricostruire architettonicamente e socialmente borghi dall’identità millenaria come Norcia ed Amatrice, ma non è certo questo quello che avviene. Al contrario, i terremotati vengono afferrati per i piedi e usati come una clava nella conclusione retorico/laconica “e allora i terremotati”?
Noterete che questa argomentazione suona del tutto simile a “e allora i marò?” o “e allora le Foibe?”, perché si tratta dello stesso argomento, che potremmo chiamare non senza ossimoro “fame africana.” È come dire, di fronte a un qualsiasi problema contingente, che “in Africa i bambini muoiono di fame”—cioè un argomento che dovrebbe subito distoglierci da qualsiasi altra considerazione che non sia carezzare l’enormità del male che è avvenuta, sta avvenendo o avverrà lontano da noi, e che schiaccia con la sua sproporzione qualsiasi altro ragionamento presente, che diventa ovviamente miserabile e inadeguato di fronte alla mera esistenza di una tragedia tanto più enorme.
Tragedia talmente enorme da autorizzarci a considerarla in modo escatologico, senza più nessuna nozione di causa ed effetto. Infatti spesso segue la seconda argomentazione: “Ad Amatrice i terremotati al freddo e al gelo. E Leoluca Orlando/Saviano/De Magistris non fanno nulla.”
Ma quale ruolo di preciso i sindaci di Palermo e Napoli dovrebbero svolgere nella ricostruzione in centro Italia? Cosa ci si aspetta che il giornalista e scrittore Saviano faccia in seguito a un evento tellurico? Che parta con la malta e la cazzuola a ricostruire? È forse iscritto all’ordine degli ingegneri o degli architetti? È un vigile del fuoco? Qual è il nesso? Quali azioni concrete dovrebbero seguire da questo ragionamento?
Queste dichiarazioni enfatiche sono state accompagnate da foto ampiamente debunkate, di vecchi terremoti o di tende e roulotte coperte di nevi risalenti all’inizio dell’emergenza in Umbria e ad Amatrice, quando non prese addirittura da posti a caso nel mondo. Queste situazioni terribili nei luoghi del terremoto sono state fortunatamente superate nel tempo—pur dopo inaccettabili ritardi—grazie a moduli abitativi che pur con i loro difetti e senza ancora restituire la casa perduta, quanto meno non costringono i nostri concittadini a vivere in un campo base sull’Himalaya.
Il sottotesto è però sempre lo stesso: ogni attenzione, ogni gesto d’umanità, ogni briciola dedicata a quei derelitti alla deriva nel mare a gennaio vengono automaticamente sottratti ad altri derelitti italiani che hanno subito una catastrofe naturale.
Certo, perché un paese del G8 con un prodotto interno lordo di 2000 miliardi di dollari dispone in tutto di una sola scatola di fagioli borlotti di aiuti umanitari da dividere tra tutti i bisognosi. Ogni fagiolo borlotto mangiato da un bambino tra le onde è un fagiolo borlotto in meno per i bambini terremotati di Amatrice. Un gioco a somma zero.
Lo scandalo è pensare che una nazione occidentale moderna debba scegliere tra non fare annegare dei bambini e aiutare della povera gente che ha perso tutto per la furia della natura. Lo scandalo è aver accettato che tanto non si riuscirà a fare né l’uno né l’altro, quindi è normale sacrificare una delle due, o predisporsi mentalmente a farne a stento una sola, come se non fossero entrambe due attività imprescindibili, come se fosse pensabile saltarne una. Tanto saremmo comunque monchi: quindi quale braccio tagliamo?
Nessuno dei due cazzo, si curano entrambi: è il 2019, non l’Alto Medioevo, anche se le somiglianze sono molte.
Veramente ci hanno fatto credere che ogni fetta di pane data ai poverissimi sia una fetta di pane sottratta ai poveri, quando c’è gente che si è fottuta l’intero panificio? Davvero crediamo che il problema degli ultimi sia l’arrivo degli ultimissimi? Davvero pensiamo che la lotta per le briciole debba essere all’ultimo sangue quando c’è gente che si è rubata l’intera torta?
A questo siamo arrivati? 2700 anni di santi, poeti, navigatori e blah blah e questo è il massimo grado di consapevolezza che riusciamo ad esprimere, qualcosa di mezzo tra un paguro e una vongola?
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