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È in corso la prima terapia genetica direttamente su paziente

Per la prima volta, un gruppo di scienziati ha tentato di editare il genoma di un paziente adulto direttamente nel suo corpo. Brian Madeaux, 44 anni, soffre di una rara malattia metabolica chiamata Sindrome di Hunter e causata dalla mancanza di un enzima, che provoca danni cerebrali, problemi al neurosviluppo e complicazioni respiratorie e cardiache.

Madeaux è il primo paziente a ricevere il trattamento in un piccolo trial clinico che, utilizzando una terapia genica, vuole curare almeno le formi più lievi di questa sindrome genetica.

Nonostante si tratti di editing genetico, la tecnica utilizzata non è l’ormai celebre CRISPR, ma le nucleasi a dita di zinco (zinc finger nuclease), che, per certi versi, rappresentano un precursore delle tecniche come CRISPR.

Una nucleasi a dita di zinco (ZFN), similmente a CRISPR/Cas9, funziona come una forbice, tagliando il DNA del paziente in un punto preciso e permettendo di inserire un frammento per ripararlo. Al contrario di CRISPR, le ZFN non sono “genericamente programmabili”, ma è necessario progettare da zero una nuova ZFN per ogni punto del genoma che si vuole andare a bersagliare. Questo significa che ci vuole più tempo (e più soldi) per passare dalla teoria alla clinica, ma da un punto di vista di precisione può essere un vantaggio, poiché il rischio che tagli il DNA in punti non previsti è minore.

Quello di Madeaux non è il primo caso assoluto di terapia genica tramite ZFN, ma normalmente queste procedure si eseguono ex-vivo, cioè prelevando delle cellule dal paziente, modificandole in vitro e reimpiantandole. In questo caso, invece, la terapia utilizza un vettore virale direttamente nell’uomo: un virus il cui DNA è stato sostituito con quello della nucleasi a dita di zinco e dell’enzima mancante. Iniettato nel paziente, questo si fa strada fino al fegato, “infettando” le cellule non con il DNA virale, ma con il carico inserito dagli scienziati. In questo modo, invece di produrre copie del virus, la cellula costruisce la ZFN, che taglia il DNA nel punto giusto per permettere l’inserimento della copia funzionante del gene.

Questo significa che, anche dopo l’inserimento dell’enzima, le cellule continueranno a produrre la ZFN. Una forbice abbandonata, che potrebbe finire a tagliare qualcosa nel posto sbagliato. Ma il meccanismo di funzionamento delle nucleasi a dita di zinco — più schizzinoso nei confronti del bersaglio rispetto a CRISPR — riduce questo rischio. Il team di esperti del National Insitute Of Health che ha analizzato e approvato la procedura conferma che, basandosi sugli studi in vitro e su cavie animali precedenti, i benefici dovrebbero essere superiori ai rischi.

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Secondo Paul Hartmatz, leader del gruppo di ricerca, basta che l’1% di cellule bersaglio sia modificata perché il trattamento sia efficace: l’efficienza del vettore virale dovrebbe essere ampiamente sufficiente a raggiungere questo obiettivo. Il test continuerà su 30 pazienti adulti che presentano delle forme meno gravi della Sindrome di Hunter, ma lo sguardo al futuro è verso i bambini, che spesso non arrivano neppure all’età adulta, e per cui questo trattamento potrebbe fare la differenza anche nei casi più gravi.

La Sangamo Therapeutics, che possiede la maggior parte dei brevetti chiave riguardo la terapia genica basata su nucleasi a dita di zinco, sta conducendo test clinici per l’emofilia e un’altra malattia metabolica incurabile, la sindrome di Hurler. Se inserire una copia funzionante extra del gene nel fegato invece che andare a riparare la copia danneggiata dovesse dimostrarsi una strategia funzionante senza effetti collaterali a lungo termine, si potrebbe rimettere in discussione la predominanza di CRISPR nel futuro prossimo della terapia genica.