Il sogno di raggiungere Marte comporta tutta una serie di sfide scientifiche da affrontare, non da ultimo rispondere alla domanda: di cosa è possibile cibarsi quando ci si trova su un pianeta senza vegetazione?
Gli ultimi annunci della NASA sulla scoperta di prove della presenza di acqua allo stato liquido sul Pianeta Rosso hanno rinnovato l’entusiasmo per la possibilità di esplorarlo, proprio mentre ci prepariamo ad inviarci degli astronauti nei prossimi decenni. Ma se gli esseri umani ambiscono a stabilirsi su Marte, anche solo temporaneamente, necessitiamo di ben altro oltre ad acqua salta mezza ghiacciata—abbiamo bisogno di cibo.
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Ecco perché, da quasi otto anni, dei ricercatori della University of Arizona lavorano ad un progetto di una serra marziana che permetterebbe agli astronauti di coltivare alimenti e, cosa altrettanto importante, produrre ossigeno.
“Lavoriamo come una serra, ma non produciamo solo cibo. Il nostro prototipo funge anche da generatore di acqua dolce. In più, le piante rilascerebbero ossigeno e gli umani le rifornirebbero di anidride carbonica,” ha spiegato Gene Giacomelli, agronomo e co-investigatore principale del progetto, parte del Controlled Environment Agriculture Center dell’Università. “Si tratta di un piccolo sistema biologico di supporto vitale auto-rigenerante ed è quanto la NASA ci ha incaricato di sviluppare anni fa.”
Giacomelli ha spiegato che il progetto esiste dai primi Duemila, ma solo dal 2008 la NASA ha potuto arricchire il team di 20 ricercatori con una sovvenzione utile a finanziare il progetto e a iniziare a costruire la serra. Ora sono giunti ad un prototipo perfettamente funzionante composto da tubi leggeri e pieghevoli che misura 5,5 metri di lunghezza per 2 metri di diametro e costituisce solo una parte di una struttura più ampia.
“Ci siamo detti, ‘be’, non possiamo costruire una serra se non ricreiamo anche un habitat adatto’,” ha spiegato Giacomelli. “la costruzione completa dovrebbe essere lunga 30 metri e rivelarsi sufficiente per consentire la sopravvivenza di un astronauta.”
Il sistema è stato progettato per auto-assemblarsi in modo autonomo (eventualmente con assistenza robotica) in modo da precedere di qualche mese l’arrivo degli astronauti e accoglierli con piante già cresciute e sfruttabili. La serra creerebbe una sorta di versione in miniatura idroponica dei sistemi terrestri che consentono la vita.

Un modello di come dovrebbe apparire il micro habitat completo di serre. Foto per gentile concessione della CEAC/University of Arizona
Il sistema idroponico consente alle piante di non essere radicate nel terreno, la luce artificiale ne assicura una crescita efficiente mentre un’unità per la realizzazione di compost recupererebbe l’acqua dalle deiezioni degli astronauti e dal materiale vegetale di scarto. Un dispositivo HVAC sfrutterebbe l’umidità dell’aria per produrre acqua potabile pulita. Ma la serra non è del tutto autosufficiente: richiede un’attenta pianificazione e una grande cura nella coltivazione per consentire il sostentamento, sia vegetale che umano, ha specificato Giacomelli.
“La coltivazione va organizzata in maniera efficiente in modo che il raccolto e la semina avvengano contemporaneamente, non avendo ambienti aperti a disposizione, sarebbe un enorme spreco di spazio ed energia permettere che la serra non fosse continuamente produttiva,” ha spiegato Giacomelli in un’intervista telefonica. “E poi bisogna stare attenti a non mangiare troppo, altrimenti la produzione di ossigeno potrebbe calare. Ad esempio abbuffandosi una sera per fare festa, il giorno dopo ci si potrebbe ritrovare senza ossigeno sufficiente per sopravvivere.”
Ma lo scienziato ha anche aggiunto che il team sta svolgendo ricerche proprio per prevenire questo genere di problemi. Ci sono un sacco di aspetti da considerare: quanta acqua possono bere ogni giorno gli astronauti senza esaurire le riserve? Come bilanciare la quantità di piante necessarie per ricavare cibo con quelle indispensabili per produrre ossigeno? Quali sono le colture più efficienti, sia dal punto di vista della difficoltà di coltivazione che da quello della quantità di nutrimento che forniscono? Giacomelli e il suo team studiano tutti questi fattori per assicurarsi di conoscere perfettamente tutte le variabili previste per la sopravvivenza su Marte prima di metterci piede.
Finora il team ha costruito un solo prototipo funzionante della serra, ma ha in programma di realizzarne altri tre così da restituire un’idea più dettagliata di come potrebbe risultare la struttura completa. Gli scienziati hanno sperimentato con diverse colture, tra cui fragole, basilico, patate dolci e pomodori. Giacomelli ha dichiarato che essendo l’unità autosufficiente, non devono preoccuparsi molto dell’ambiente marziano—l’habitat ricostruito verrebbe isolato dall’atmosfera inospitale del Pianeta Rosso. L’unica variabile che potrebbe influenzarlo è la gravità di poco superiore ad un terzo di quella terrestre. Ma dato che questa estate gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale hanno potuto pasteggiare con lattuga fresca coltivata in assenza di gravità, sappiamo che la gravità non è indispensabile, almeno per la lattuga.
Giacomelli ha annunciato che i prossimi passi comprenderanno l’espansione del prototipo ed infine l’invio di un’unità di test su Marte per assicurarsi che tutto funzioni correttamente. Ha notato un rinnovato interesse nei confronti della loro ricerca sulla scia dell’annuncio della NASA e del film The Martian che sta spopolando nei cinema, ma il suo team lavora all’idea da più di un decennio.
“A dire il vero, non facciamo nulla di così eccitante. Coltiviamo semplicemente delle piante secondo schemi ben precisi per soddisfare le richieste del nostro mercato,” ha sdrammatizzato Giacomelli. “Naturalmente la domanda del nostro mercato corrisponde esclusivamente a quella di quattro persone che necessitano di ossigeno per respirare, acqua da bere e cibo per nutrirsi su Marte.”
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