Pesca vongole Adriatico
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Cibo

Ho passato una notte pescando le vongole nell'Adriatico

Un serie di scatti durante una notte nell’Adriatico marchigiano per raccontare come funziona la pesca alle vongole, fra storia dell'Italia, inquinamento e sostenibilità.

Non è possibile pescare vongole in tutti i mari e ci sono rigidi limiti ai quantitativi di vongole che si possono raccogliere ogni notte, perché sì, la pesca si svolge di notte.

Simbolo e patrimonio della cucina italiana di pesce, le vongole sono protagoniste dei fornelli nostrani. Al mare un piatto di spaghetti alle vongole bagnato da una bottiglia di vino è la rappresentazione più appagante di vacanza. In città invece lo stesso piatto diventa momento di evasione dallo smog.

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Ma per arrivare sulle nostre tavole questi frutti del mare vanno prima trovati e pescati. E la pesca alle vongole non è una pesca come le altre: ha equipaggi, imbarcazioni e regole sue. Non è possibile pescare vongole in tutti i mari e ci sono rigidi limiti ai quantitativi di vongole che si possono raccogliere ogni notte, perché sì, la pesca si svolge di notte. E non tutte le vongole sono uguali.

Per intenderci, lo spaghetto allo scoglio vuole la vongola lupino secondo la tradizione. La lupino, al contrario della verace, è una varietà esclusivamente italiana.

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Non sarà questo un trattato scientifico sul mitile e sulle specie che popolano i nostri mari. Basti sapere che ad oggi in Italia sono due le varietà di vongole più comprate e mangiate: la verace e la cosiddetta “lupino”. La verace è la più grande di dimensione ed è di importazione: proviene dal sud-est asiatico ed è arrivata da noi nel golfo di Venezia attaccata alle grandi navi provenienti dall’Oriente. Anche se più grande è meno saporita è un frutto di mare che va pulito accuratamente perché potenzialmente tossico. La lupino invece è la varietà esclusivamente italiana.

È più piccola di dimensioni rispetto alla cugina asiatica, più saporita e soprattutto non necessita una pulizia accurata. Per intenderci, lo spaghetto allo scoglio vuole la vongola lupino secondo la tradizione. Si pesca dal centro dell’Adriatico, tra la Romagna e l’Abruzzo, ovvero nel mare delle Marche — per la precisione in un tratto di mare tra Civitanova Marche e San Benedetto del Tronto.

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È qui che hanno sede le prime e più vecchie barche per la pesca alla vongola. E da qui proviene la guida che ci ha ospitati in questo viaggio notturno. Ha la sua barca a Porto San Giorgio, nel cuore di questo tratto dell’Adriatico, uno dei porti più importanti in Italia e fulcro della tradzione marinara. Se stanno mangiando uno spaghetto alle vongole al ristorante e vi garantiscono che sono italiane, molto probabilmente vengono da qui e non è impossibile che le abbia pescate colui che ci ha ospitati a bordo.

L’Adriatico non è un grande oceano e non bisogna immaginarsi grandi onde alte come palazzi o profondità marine che nascondono mostri mitologici. Il mare che ci divide e ci accomuna coi popoli balcanici è piuttosto una massa di acqua capricciosa, in grado di tradire anche i pescatori più esperti. Ma è anche e soprattutto uno dei mari “più antichi” nella storia dell’umanità. Gli abitanti affacciati sull’Adriatico hanno fuso i loro ritmi di vita con il mare e ancora oggi vivono di lui e per lui. E come un rituale fatto di lavoro scaramanzia e fatica, perpetuano ogni giorno questo legame.

“Alle 3 del mattino il porto è un luogo sorprendentemente affollato. Mi godo il ‘passaggio di consegne’ tra colleghi del mare”

Per capire davvero come funziona la raccolta del bivalve mi sono imbarcato e ho documentato la sua pesca attraverso alcuni scatti fotografici. Ad ospitarmi e farci da guida è stato Tiziano, “vongolaro” da quasi 40 anni, che porta avanti questo do ut des con la distesa d’acqua salata e a cui ha dedicato gran parte della sua vita.

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La sveglia per forza di cose è presto, prestissimo. Alle 3 appuntamento con l’obbiettivo di prendere il mare alle 4. A svegliarti comunque non ci metti molto: in porto infatti il primo ad accoglierti è il vento gelido che viene dal mare. Umidità e freddo che entrano facilmente nelle ossa e ricordano perché il mestiere del marinaio è un lavoro tanto rispettato quanto poco invidiato.

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Alle 3 del mattino il porto è un luogo sorprendentemente affollato. Mentre Tiziano si avvicina alla barca per i preparativi pre partenza io vagabondo per la banchina e mi godo il “passaggio di consegne” tra colleghi del mare. I vongolari si preparano alla partenza mentre i pescatori rientrano in porto, con le barche che alla spicciolata attraccano per scaricare le scatole di pescato pronte per la vendita.

La partenza è per tutti i vongolari alla stessa ora. A vederla dall’esterno deve apparire come una cavalleria al galoppo. Dopo un rapido consulto radio le 30 imbarcazioni infatti prendono il largo tutte assieme. C’è chi accelera e supera le altre, chi prende il fianco destro, chi si sposta sulla sinistra. I motori riempiono tutto col loro rumore. La carica è partita.

In una frazione di secondo, senza nemmeno capire esattamente quando, ci troviamo completamente soli.

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“Ho puntato verso Nord – mi spiega Tiziano-. Noi che siamo attraccati a Porto San Giorgio abbiamo a nostro utilizzo un tratto di mare che va da San Benedetto del Tronto al fiume Chienti a Civitanova Marche, per una 50ina di km in totale. Noi stiamo andando verso quella zona, all’altezza della foce del fiume. Ci ho pescato bene in questi giorni e voglio continuare lì. Ognuno però può muoversi come vuole, in base a dove pensa di trovare prodotti migliori o dove pensa che il fondale sia stato meno battuto”.

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Per coprire i 20 km che ci dividono dal punto di arrivo impieghiamo oltre un’ora. La velocità nautica è molto differente da quella su terraferma e a dilatarsi non sono solo gli spazi ma anche i tempi. Sbirciando dal radar di Tiziano noto che in pochissimi hanno seguito la guida verso Nord, col risultato che oltre alle luci della costa siamo completamente circondati dal buio.

Non possiamo pescare più vicino dei 700 m di distanza dalla costa e nemmeno troppo a largo. Tutta queste serie di limitazioni serve a prevenire una pesca selvaggia, permettendo alla vongola di riprodursi e di crescere.

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Mentre il suo collaboratore approfitta del viaggio per dormire a poppa, Tiziano mi spiega un po’ di cose mentre controlla la direzione verso l’obbiettivo. “Le vongole vivono sul fondale sabbioso. Lungo il tratto di pesca a noi assegnato abbiamo dei vincoli ulteriori. Non possiamo infatti pescare più vicino dei 700 m di distanza dalla costa e nemmeno troppo a largo. Tutta queste serie di limitazioni serve a prevenire una pesca selvaggia, perché tutela i bagnanti, la vongola permettendole di riprodursi e di crescere ma anche noi pescatori. Perché impedisce un abuso del prodotto e quindi permette a tutti di lavorare”. 

Arriviamo in zona pesca con ancora il buio. I due si attivano e inizia il lavoro vero.  “Il nostro peschereccio è con draga idraulica” mi spiega Tiziano “Viene poggiata sul fondale la gabbia posta nella poppa dell’imbarcazione. Questa poi inizia a raschiare il primo strato del fondale, circa 5 centimetri, raccogliendo così le vongole che poi vengono issate a bordo con la gabbia. Una volta a bordo queste vengono “setacciate” attraverso una grata con misura specifica minima che noi abbiamo stabilito a 27mm. In Europa infatti per legge la dimensione minima del mollusco deve essere di 25 mm. Quindi selezioniamo quelle più grandi per preservare la lupino ancora di più e avere un prodotto di qualità”.

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Deve essere un lavoro veloce, perché poi tutto ciò che non viene selezionato o gli altri prodotti marini che non peschiamo vanno ributtati in mare. Abbiamo quindi la responsabilità di fare di fretta

Il lavoro di oggi è molto meno faticoso rispetto a un tempo, quando non c’era la parte idraulica, ma è un lavoro sfiancante sotto molti punti di vista. L’umidità marina ti permea nelle ossa. Le mani immerse nei prodotti raccolti fa penetrare il freddo ben oltre i vestiti, le mani perdono sensibilità nel mentre si devono smistare le vongole da tutte le altre creature che non state filtrate dalla grata, stelle marine granchi ecc...

“Deve essere un lavoro veloce, perché poi tutto ciò che non viene selezionato o gli altri prodotti marini che non peschiamo vanno ributtati in mare. Abbiamo quindi la responsabilità di fare di fretta”.

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“L’Italia è uno dei principali produttori al mondo, con oltre 60 mila tonnellate l’anno, ma riesce ad essere sostenibile per la rigidità dei protocolli”

Fatta una raccolta ci si sposta velocemente, ma di poco, per ributtare le grate in mare e iniziare una nuova raccolta. In una nottata di pesca per legge non si possono pescare più di 400 chili di vongole per imbarcazione. Il sistema di misura della pesca alle vongole sono i sacchi su cui queste vengono smistate. Ogni sacco pesa dieci chili e una volta pesato deve essere chiuso e fermato con il filo piombato, un “sigillo” di garanzia. Ogni notte in mare quindi l’imbarcazione di Tiziano non può pescare più di 40 sacchi.

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Un quantitativo che fa dell’Italia uno dei principali produttori al mondo con oltre 60 mila tonnellate l’anno ma che riesce ad essere sostenibile per l’ecosistema proprio per la rigidità dei protocolli che sono imposti alle imbarcazioni. “Con le attenzioni e le curie che abbiamo oggi non è difficile raccogliere il quantitativo giornaliero – mi rivela Tiziano- ma ci sono stati anni in cui è stato molto complicato riuscire a raccogliere determinati quantitativi”.

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“Il settore ittico subì le conseguenze dell’epidemia di colera del Sud Italia, soprattutto di Napoli, del 1973”

Tiziano infatti ha iniziato a fare il pescatore nel 1982, pochi anni dopo il colera di Napoli e la crisi che ciò aveva causato al settore ittico. Nel 1973 infatti, probabilmente a causa di un carico di cozze provenienti dal Nord Africa, in Campania, Puglia e Sardegna scoppiò un’epidemia di colera. Ventiquattro decessi e la vaccinazione di oltre un milioni di persone portarono un grave impatto mediatico e politico. Napoli, con 15 morti fu la città più colpita, e divenne bersaglio di dileggio e discriminazioni territoriali da parte della carta stampata e dell’opinione pubblica del resto d’Italia.

A farne le spese fu anche il settore ittico. Napoli era la capitale italiana della cucina italiana legata all’uso dei frutti di mare. Prendendo sempre ad esempio lo spaghetto allo scoglio, la sua ricetta vede le sue origini in Sicilia, ma la ricetta che conosciamo e apprezziamo oggi la dobbiamo proprio agli abitanti ai piedi del Vesuvio.

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Gli anni Settanta quindi furono un periodo di forte contrazione del mercato e della pesca alla vongola lupino. E quando Tiziano iniziò a “prendere il mare”, il mercato era in lenta ricrescita, ma stava vivendo ancora un periodo di assestamento: la pesca alle vongole infatti veniva ancora effettuata con la tecnica del “palo a mano”, o palanche, che risaliva addirittura ai secoli della Repubblica di Venezia. Fu proprio negli anni Ottanta che si iniziò a diffondere l’utilizzo, con conseguente regolamentazione giuridica, delle imbarcazioni con draga idraulica, tutt’ora in uso.

Le vicissitudini del nostro piccolo mollusco poi hanno visto il mercato riesplodere, seguendo il flusso economico del Bel Paese. Con il benessere economico aumentava anche la richiesta del prodotto e con questo l’interesse di nuovi imprenditori sulla pesca alla vongola lupino. Ben presto Tiziano aveva fatto suo il modo di lavorare dei “vecchi vongolari”, apprendendo da loro il rispetto per il mare e i suoi frutti, in un equilibrio tra dare e avere per non eccedere mai e non deturpare.

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Alla fine degli anni Ottanta però, negli anni d’oro del benessere economico, vennero rilasciate troppe licenze di pesca, sotto spinte e pressioni più o meno lecite. E questo portò ad un sovraffollamento di barche ed equipaggi e allo sfruttamento intensivo ed indiscriminato della fauna ittica. Nel mare Adriatico le imbarcazioni si moltiplicarono e si degenerò, sotto ogni aspetto.

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Al Nord, attorno Venezia, le faide per i territori finirono con sparatorie, omicidi e assedi navali in stile film. Nelle Marche invece il numero di barche tra il 1987 ed il 1992 passò dalle 30 alle oltre 100. Senza una regolamentazione precisa l’ultima decade del vecchio millennio vide un lento impoverimento della popolazione marina, dannosa sia per l’ambiente che per le economie locali legate all’Adriatico. Negli anni Novanta finalmente le cose migliorano: date le criticità sempre più evidenti si decide di procedere alla divisione delle zone di pesca e alla creazione di “consorzi” per la gestione delle imbarcazioni. 

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Il risultato è che oggi le cose sembrano essere tornate alla normalità. I vongolari si autogestiscono in cooperative. La gestione delle zone di pesche e le concessioni per le barche che vi possono lavorare sono rigidamente controllate. Tiziano, che ormeggia a Porto San Giorgio, risponde alla cooperativa locale di cui fanno parte altre 30 imbarcazioni e che rispettano tutte i giorni in cui poter andare in mare, quando fermarsi e che hanno una sola zona di competenza, loro esclusiva e lunga 40 km.

Ma soprattutto, il rispetto per il mollusco è diventato di nuovo priorità, con una attenzione sempre maggiore verso la vongola, con i pescatori che addirittura anticipano le disposizioni europee riguardo la dimensione minima consigliata.

Ogni notte che Tiziano esce in mare pesca mezzo chilo di rifiuti plastici che poi riporta a riva per riciclare.

Il rientro in porto coincide con l’inizio della giornata sulla terraferma. Il sole ha già albeggiato mentre rientravamo dalla pescata ma è ancora mattino presto per moltissimi. Ad accoglierci i gabbiani e gli addetti alla raccolta delle vongole pescate da Tiziano e colleghi. Un fine “turno” quotidiano per chi lo fa di lavoro ma un qualcosa che sa moltissimo di risveglio da un sogno per uno come me, che ha assistito a tutto questo da spettatore privilegiato.

Prima di lasciarci Tiziano ci tiene a raccontarmi del nuovo avversario che ha da combattere: l’inquinamento. Ogni notte che Tiziano esce in mare pesca mezzo chilo di rifiuti plastici che poi riporta a riva per riciclare. Moltiplicato per le 30 imbarcazioni colleghe di Tiziano fanno 3 tonnellate di plastica ripescata ogni anno in una zona di mare lunga meno di 40 km. 

Mentre ritorno verso casa penso che non ho mai rispettato così tanto il mestiere del pescatore.

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