Aggiornamento del 29/09/2021: dopo la notizia della multa del valore di 200.000 euro all’Università Bocconi di Milano per aver utilizzato in modo non trasparente software di sorveglianza durante gli esami sostenuti online da studenti e studentesse nei mesi di lockdown, riproponiamo questo nostro articolo dagli archivi.
Il COVID-19 e il conseguente periodo di lockdown hanno mostrato le difficoltà dell’università italiana nell’approcciarsi al mondo digitale e, soprattutto, il completo disinteresse del Governo sul tema dell’istruzione. A questo, però, si aggiunge un ulteriore aspetto: ora che stanno iniziando le sessioni di esami estive, diverse università sembrano disposte ad usare software per la sorveglianza senza farsi nessuno scrupolo.
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L’idea è abbastanza semplice: per svolgere gli esami scritti online si utilizzano dei software appositi che monitorano automaticamente con la webcam il comportamento degli studenti e, allo stesso tempo, controllano quali programmi vengono avviati sul pc—o addirittura li bloccano completamente. Il software produce un report finale in cui un algoritmo indica i possibili casi sospetti di copiature, permettendo così al docente di avere a colpo d’occhio il quadro generale.
Questi software svolgono la funzione cosiddetta di e-proctoring, aggiungendosi come plug-in a sistemi per svolgere gli esami tipo la piattaforma Moodle. Non c’è quindi bisogno di convertire gli esami scritti in orali e impiegare sistemi per la videoconferenza—cosa che richiederebbe più docenti e assistenti.
I software hanno nomi poco fantasiosi: ProctorExam, Safe Exam Browser, SMOWL CM, Proctorio, Proctortrack—o completamente distopici come LockDown Browser.
Gli esami scritti online con i soli sistemi di videoconferenza si stanno già mostrando problematici, con professori convinti che uno starnuto serva per copiare e altri che suggeriscono nuovi strumenti per le riprese come la scopa-telecamera dell’Università di Torino. Se l’e-proctoring potrebbe sembrare una classica soluzione da distopia della Silicon Valley, purtroppo dobbiamo ricrederci.
Al momento, Motherboard ha individuato le seguenti Università che hanno iniziato ad usarli o che comunque li hanno presi in considerazione o testati: Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara, Politecnico di Torino, Università di Trento, Università degli studi di Padova, Università degli studi di Ferrara, Università degli studi di Torino, e Università degli studi di Milano.
Motherboard ha parlato con diversi studenti che hanno usato questi software o che si sono occupati di analizzarne rischi e pericoli. Ha concesso diversi gradi di anonimato per permettere loro di parlare liberamente delle proprie esperienze.
L’Università di Modena e Reggio Emilia ha già usato SMOWL per un esame di informatica, come spiega una studentessa dell’Università a Motherboard in una chat privata. Secondo la studentessa, durante lo svolgimento dell’esame il software ha funzionato bene e si tratta di un buon modo per sostenere gli esami scritti online—ha però riconosciuto di sentirsi a disagio per essere registrata.
Il timore principale, ha spiegato, era che annullassero l’esame per movimenti sospetti anche se di davvero sospetto non c’era nulla.
Nelle linee guida dell’Università, la necessità di rimanere con il volto ben visibile è sottolineata chiaramente e si invitano gli studenti a tenere sempre sotto controllo la propria posizione rispetto al box di controllo di SMOWL pena l’annullamento dell’esame. Non solo: bisogna persino disattivare tutti i programmi come Skype, antivirus, o software di gestione remota.
Un altro problema, ha raccontato la studentessa, è legato alla mancanza di comunicazione e assistenza con l’insegnante durante lo svolgimento dell’esame: una sua collega infatti ha avuto dei problemi tecnici con alcune immagini ed è stata bocciata. Una situazione che in un’aula e con un contatto diretto con il docente si sarebbe risolta facilmente.
SMOWL registra tutto ciò che avviene sia sullo schermo del pc che all’interno della stanza inquadrata dalla webcam. Il report finale, come si può vedere nel video dimostrativo dell’Università di Urbino, è parecchio dettagliato. Il software indica in rosso quali programmi sono stati utilizzati durante l’esame e offre la possibilità di controllare gli screenshot che sono stati scattati.
L’algoritmo di identificazione e riconoscimento facciale è in grado di individuare se altre persone sono entrate nella stanza, se ci si è mossi dalla propria postazione, se le condizioni di luce non sono ottimali, e se addirittura qualcuno si è sostituito al posto dello studente. Questo infatti è possibile perché SMOWL, in fase di registrazione, richiede allo studente di caricare tre foto personali, inclusa quella del documento di riconoscimento.
Screenshot del report prodotto dal software SMOWL preso dal video di spiegazione dell’Università di Urbino. Analisi degli screenshot scattati
Nel caso del Politecnico di Torino, invece, il software che è stato utilizzato in alcuni esami è prodotto dall’azienda Respondus. Si tratta di due componenti diverse: una che blocca l’utilizzo di altri programmi sul computer, LockDown Browser, e l’altra per monitorare il video dello studente, Respondus Monitor.
“Il software si impossessa del tuo computer, puoi usare solo LockDown Browser perché gli altri programmi sono bloccati,” ha spiegato a Motherboard Marco Rondina, membro del Collettivo Alter.POLIS del Politecnico, in una chiamata telefonica.
All’interno del browser si può aprire solamente la pagina web dove svolgere l’esame—solitamente domande aperte o chiuse usando Exam di Moodle oppure altri software. Con la webcam è possibile anche fare il riconoscimento iniziale con il documento ed è richiesto anche di riprendere la stanza. Durante lo svolgimento dell’esame, l’algoritmo monitora i comportamenti sospetti.
Il monitoraggio è in tempo reale: “Non vedo benissimo da lontano e avendo anche un monitor piccolo durante l’esame mi sono dovuto avvicinare allo schermo per leggere meglio le scritte minuscole,” ha raccontato Rondina, “e il fatto che metà faccia mi uscisse dall’inquadratura della webcam creava problemi: il software blocca lo svolgimento dell’esame automaticamente.”
Una volta tornato in posizione torna tutto alla normalità—la stessa cosa sarebbe successa se qualcun altro fosse entrato nella stanza o se lo studente avesse abbandonato la postazione.
“Psicologicamente ti mette ancora più pressione: hai questa lucina accesa che ti guarda mentre fai l’esame e devi stare attento a qualsiasi movimento che fai, anche solo avvicinarsi allo schermo,” ha aggiunto Rondina.
Lo scorso aprile alter.POLIS aveva già sottolineato in un comunicato diverse criticità dell’uso di software di e-proctoring, sottolineando il problema degli oneri economici sugli studenti che non possiedono pc e webcam con microfono idonei, e la necessità di fornire assistenza tecnica per qualunque tipo di evenienza. In seguito è stata anche presentata una mozione approvata dal Consiglio Nazionale degli Studenti a maggio su tutta una serie di aspetti che le Università e il Ministero dovrebbero tenere in considerazione sul tema della didattica a distanza e dei relativi diritti digitali.
Inoltre, ha aggiunto Rondina, si crea anche un problema didattico: “siamo un’università tecnica quindi gran parte degli esami riguarda lo svolgimento di esercizi e passaggi matematici, nel recupero dell’appello di febbraio [gli esami ndr] sono stati trasformati in domande a risposta aperta o chiusa, diventa una sorta di quiz a tempo.”
In una situazione di emergenza, costretti a correre ai ripari per non perdere gli appelli, questo diventa chiaramente un boccone amaro da dover ingoiare ad ogni costo, “ma con la prospettiva di farli online anche per tutto il prossimo anno accademico è insostenibile che vengano trasformati in quizzoni, con i docenti che poi riducono tantissimo il tempo a disposizione per evitare così il rischio di copiare,” ha concluso Rondina.
Inoltre questi sistemi pongono anche grossi dubbi sul rispetto e la tutela dei dati personali: secondo l’informativa privacy di Respondus, i video e le immagini raccolte da Respondus Monitor vengono conservati per cinque anni ma ogni università può inserire nel contratto di licenza una durata ridotta. Non sempre però gli Atenei sono chiari sul trattamento dei dati e sulla loro conservazione. Ancora più preoccupante è il fatto che, secondo i termini di utilizzo di Respondus, campioni di registrazioni video e audio possono essere raccolti e condivisi “con ricercatori (istituti di ricerca e/o esperti biometrici) sotto contratto con Respondus per fornire assistenza in tale ricerca.” I ricercatori sono obbligati a conservare le registrazioni in modo confidenziale, ma questa sembra una clausola che deve essere accettata per forza dagli studenti.
Per di più non sono raccolti solo dati biometrici ma anche tutta un’altra serie di metadati, indicati nell’informativa sulla privacy, come ad esempio l’orario esatto in cui viene data una risposta; quanto tempo viene dedicato a ciascuna domanda d’esame; la qualità della connessione Internet; e attività del mouse, della tastiera e dello schermo. Preoccupazioni simili sono state sottolineate anche da alter.POLIS—e problemi comuni sono affiorati in tutta Europa e già sollevati da studenti nei Paesi Bassi e in Francia.
Al momento in Italia il Garante privacy si è occupato del tema della didattica a distanza ma ha confermato a Motherboard che si sta muovendo anche sui software per il monitoraggio degli esami—esaminando la validità del consenso espresso dallo studente e le misure tecnologiche adottate per contenere i rischi.
Dopo i primi test, però, le richieste di Alter.POLIS sembrano essere state accolte, e ora il Politecnico di Torino ha cambiato le linee guida, invitando tutti i docenti a utilizzare software di videoconferenza per far svolgere gli esami normalmente su carta, con l’aggiunta di diversi docenti che controllano gli studenti in ogni stanza virtuale. E se dovessero esserci problemi tecnici—un’interruzione di corrente o la connessione che salta—il docente può organizzare una prova sostitutiva che sia un orale o uno scritto entro 4 giorni.
Anche in altri atenei l’intervento degli studenti sembra essere stato efficace. All’Università di Torino, dopo una valutazione iniziale dei sistemi di e-proctoring, “le richieste per rendere gli esami più tutelanti per entrambe le parti e soprattutto inclusive e non penalizzanti dovrebbero essere state accolte,” ha spiegato a Motherboard in chat Isabel, studentessa che fa parte dell’organizzazione SI Studenti Indipendenti, evitando così strumenti di e-proctoring.
Lo stesso è avvenuto a Padova, mi ha spiegato Marco di LINK Padova—collettivo che ha espresso dubbi sull’e-proctoring—, dove nelle attuali linee guida si esclude l’utilizzo di tali software preferendo il controllo con uno smartphone che riprende la studente lateralmente.
Ad aggiungersi a questi dubbi ci sono anche gli aspetti economici: la licenza più economica per LockDown Browser copre da 1 a 2.000 studenti e costa 2.795 dollari. Motherboard ha chiesto informazioni sui costi sostenuti sia al Politecnico di Torino che all’Università di Ferrara, ma al momento della pubblicazione dell’articolo non abbiamo ancora ricevuto risposta. Per quanto riguarda l’Università di Urbino, invece, hanno dichiarato che strumenti fra cui il software SMOWL sono utilizzati nel 10 percento dei circa 1.000 insegnamenti, per un totale di circa 2.500 studenti su più di 13.000 iscritti. Non hanno però voluto fornire informazioni sui costi sostenuti dall’Università.
La necessità di trovare soluzioni tecnologiche per circondare e monitorare gli studenti è forse un sintomo di un problema ben più grande: l’approccio paternalistico e lo spettro degli studenti fannulloni.
“C’è proprio un problema di fiducia che è un po’ carente: capisco che per legge vada fatto un minimo di controllo, però c’è modo e modo e, oltre ai problemi di accessibilità agli strumenti, c’è anche il tema del rispetto della privacy,” ha concluso Rondina.