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La politica dei ricollocamenti promossa dalla Commissione Europea è un fallimento. Lo certifica, ancora una volta, il secondo rapporto su “relocation” e “resettlement” pubblicato il 12 aprile dalla Commissione stessa.
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Le due parole indicano i modi di ricollocare un profugo all’interno dell’Unione Europea: da un paese interno (Italia e Grecia per il momento, viste le difficoltà dei loro sistemi di accoglienza) oppure direttamente da campi profughi.
Questo sarebbe lo strumento per evitare, a chi è fuggito dalla guerra, l’odissea all’interno dei confini della Fortezza Europa. Peccato che ci siano paesi, in particolare nel centro e nell’est Europa – l’area di Visegrad, guidata dall’Ungheria di Orban – che si rifiutano di accettare profughi “imposti” dall’UE.
È anche l’unica soluzione presentata fino ad ora dall’Europa. Visti i risultati, è facile prevedere come andrà l’estate. Il 16 marzo, durante la stesura del primo Rapporto su “relocation” e “resettlement,” la Commissione si era data uno scopo: ricollocare 6mila persone entro marzo.
Invece le persone che hanno trovato un posto sono state 208, molto poche. Il programma di ricollocamento da paesi europei è cominciato nel settembre 2015, e si pone come obiettivo arrivare a 160mila persone entro il 2017. Quasi un’utopia: al momento siamo fermi a 1.145 migranti, e di questi, in 530 persone sono stati trasferiti dall’Italia, 615 dalla Grecia.
Dei 208 ricollocati, 46 provengono dalla Grecia (e andranno in Estonia, Portogallo e Finlandia), 162 dall’Italia (e andranno in Portogallo, Finlandia e Romania. Entro il 16 aprile, altri 46 saranno ricollocati dalla Grecia e 42 dall’Italia (tra cui 16 minori che saranno portati in Finlandia). Una quota ridicola, se si pensa allo stress a cui verranno sottoposti i centri di accoglienza, in particolare in Sicilia.
I dati del report della Commissione Europea sugli sbarchi sono aggiornati dal 16 marzo all’11 aprile: 8.564. Il 13 aprile se sono aggiunti altri 1.500. Numeri che hanno spinto il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk a lanciare un allarme: “Il numero di potenziali migranti dalla Libia è preoccupante,” ha spiegato.
Il riferimento è alla dichiarazione del generale Paolo Serra, collaboratore dell’inviato ONU in Libia Martin Kobler: “In Libia ci sono un milione di potenziali migranti.” La cifra si basa sul numero di persone che da quando il paese è frantumato in tre (due governi e una roccaforte dell’Isis) non hanno possibilità, se non sulla sponda opposta del Mediterraneo.
Sempre secondo il Secondo Report della Commissione, in Italia ci dovranno essere, entro l’estate, 111.081 posti per richiedenti asilo. Dal primo gennaio al 26 febbraio le richieste di protezione umanitaria sono state 14.754 (+37,53 per cento sul 2015) e le concessioni dello status di protezione sono state 14.139 (+145,72 per cento sul 2015).
La Grecia non è da meno, nonostante il 20 marzo il paese abbia siglato un negoziato con la Turchia per rispedire ad Ankara tutti i migranti che arrivano via mare in Grecia.
La stima della Commissione è che nel paese ci siano tra i 50 e i 56mila profughi — 11mila solo a Idomeni, lungo il confine con la Macedonia. Bloccati, visto che la rotta balcanica è impraticabile e i ricollocamenti vanno a rilento.
Gli arrivi, per altro, non si fermano: sono stati oltre 9mila dal 16 marzo, tanto che la Commissione ha imposto alla Grecia entro il 26 aprile di “riparare” le frontiere. Quale sia il prezzo da pagare in caso non ci riescano, non è dato saperlo.
Il negoziato Turchia–Unione Europea prevede che per ogni “respinto” in Grecia, l’Unione ricollochi tra i 28 Stati membri un profugo (siriano) proveniente dai campi turchi — il paese ospita oltre 2,7 milioni di persone. I ricollocamenti finora sono stati solo 79: 37 in Germania, 11 in Finlandia e 31 nei Paesi Bassi. L’obiettivo è arrivare a 16.800 entro l’anno.
Bastano i sei miliardi che l’UE darà alla Turchia a giudicare lo sforzo di Ankara per la gestione dei profughi? Il paese non ha mai avuto un sistema di accoglienza, né tanto meno una legge sull’asilo.
Visto il ritardo dell’Unione Europea, prima di smaltire i respinti dalla Grecia ci vorranno mesi. Il rischio è l’ennesima emergenza umanitaria.
“I fondi europei sono già stati utilizzati per attuare un action plan diviso in sei azioni per migliorare l’accoglienza, come previsto dall’accordo. Quello che è importante per la Turchia, più dei soldi, è ridiscutere l’ingresso in Europa e viaggiare senza visto in Europa,” spiega a VICE News Basak Kale, esperta d’immigrazione turca che lavora alla London School of Economics.
È tutto lì il vero incasso per la Turchia. Mentre l’Europa, sull’immigrazione, si sta giocando l’osso del collo.
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Foto di Carlo Alfredo Clerici via Flickr