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Hai prenotato in un ristorante elegante? Probabilmente verrai googlato

Un ristorante patinato di New York pare cerchi su Google le persone che prenotano per controllare se siano ricche o meno. Ma non è il solo ristorante al mondo che usa internet per i propri clienti.
Bettina Makalintal
Brooklyn, US
Ristoranti di lusso googlano clienti
Foto by Hero Images via Getty Images

Il ristorante di Manhattan Fleming by Le Bilboquet non ha nulla sul suo sito web, fatta eccezione per un'enorme lettera F sopra la box con su scritto "Mandaci un Mail". E la mail è, con tutta probabilità, l'unico modo in cui poter effettuare una prenotazione, scoprire il menu o anche soltanto venire informati sugli orari di apertura di questo locale dell'Upper East Side, descritto come "posh" ed "esclusivo."

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E quando le hostess controllano la lista delle richieste di prenotazione, come riporta il New York Post, pare abbiano il dovere di "cercare i clienti sconosciuti su Google" seguendo un documento interno chiamato "Protocollo per le prenotazioni del Fleming".

Questa pratica, in teoria, avrebbe lo scopo di "popolare il ristorante solo di persone speciali", come ha riferito una fonte anonima dal Fleming al Post, e "creare un certo ambiente" per la sua ricca clientela; secondo il report, infatti, a chiunque non sia ricco non viene confermata la prenotazione. Un rappresentante del ristorante Fleming ha definito le affermazioni, secondo cui si escluderebbero clienti in base al reddito, "assolutamente non vere", ma ha ammesso che il ristorante fa qualche ricerca online.

Ma sai cosa? Tutti i ristoranti di alto livello, ovunque, fanno lo stesso da anni. La motivazione è semplice: raccogliere dati consente al personale di creare un'esperienza su misura per il cliente. E al massimo i risultati di una ricerca su Google sono innocui. Lo staff all'Elizabeth di Chicago ha riferito di aver Googlato un cliente a metà pasto, rendendo così un ospite infelice un po' più felice; il manager dell'Union Square di Danny Mayer ha invece riferito al New York Times nel 2012 che "I dati reperiti ti danno l'opportunità di capire meglio chi è seduto a tavola".

E quelli più estremi, per quanto riguarda le ricerche su Google, sono con tutta probabilità quelli dell'Eleven Madison Park, uno dei migliori locali al mondo. Il magazine Grub Street, che ha passato un giorno intero al ristorante, ha parlato anche della quotidiana ricerca su Google per ogni singolo cliente. Rinomato per la sua incredibile ospitalità, l'Eleven Madison Park è sempre un passo avanti per quanto riguarda le attenzione nei confronti dei propri clienti: ad esempio sanno addirittura quale tipo di anniversario stanno festeggiando i propri ospiti e hanno un "Dreamweaver", ovvero un membro dello staff il cui compito è solo quello di occuparsi di "progetti speciali e richieste da parte dei clienti", come il dipinto di gattini omaggiato a Grace Coddngton di Vogue o l'orsacchiotto fatto da uno strofinaccio della cucina per un bambino. Nonostante questi tocchi personali molto eleganti, sempre più persone trovano la pratica di googlare più disturbante che non, stando almeno a un sondaggio fatto dal sito di prenotazioni online Open Table nel 2015.

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Il lato negativo di questa pratica, ovviamente, sono le accuse mosse al Fleming, ovvero che chiunque possa essere rifiutato perché non si confà ai criteri dell'ambiente di un ristorante (VICE ha contattato il Fleming per un commento, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta). È facile immaginare come "costruire a tavolino" un ambiente, guidati dalla ricerca su Google dei clienti, possa virare nella direzione di tutti gli "-ismi" possibili, soprattutto in un'era in cui tutti mettono i loro pensieri su Twitter e le loro foto su Instagram. Mentre non è ancora chiaro quanto sia comune la pratica di rifiutare le persone dopo i check sul web, è invece cristallino come in questo momento, in cui la raccolta di dati sensibili è all'ordine del giorno, la possibilità di discriminazione sia molto elevata.

Più i moderni tracking di dati si evolveranno, più le cose diventeranno più strane e invasive. Forse, come i The Shins avevano avvertito nel lontano 2001, caring is creepy (interessarsi troppo è raccapricciante).

Questo articolo è apparso originariamente su VICE US.

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