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La guida di VICE alle Elezioni

Tutto quello che può succedere al M5S ora che è il primo partito

In questi giorni c'è stata una sassaiola di articoli sulle possibili alleanze del M5S per un governo. Ma quali di queste sono le più realistiche, e perché?
Niccolò Carradori
Florence, IT
Foto via Facebook.

Ehi, è iniziata la Terza Repubblica. Io lo so, perché lo ha detto Luigi Di Maio. Anzi: in una lettera inviata a Repubblica, il candidato premier del Movimento 5 Stelle ha definito l'ottimo risultato ottenuto alle elezioni una "rivoluzione copernicana." La portata di questa "realtà" non è ancora chiara da afferrare, ma è sotto gli occhi di tutti che il MoVimento è il primo partito italiano per distacco. Lo hanno votato 11 milioni di italiani.

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Ora, però, cosa potrebbe succedere? Come è chiaro a tutti, infatti, nonostante il risultato enorme ottenuto dal movimento lanciato da Grillo—e al contempo dalla coalizione di centrodestra guidata dalla Lega—nessuna delle formazioni attuali, così com'è strutturata, ha i numeri per governare. Nella lettera a Repubblica, Di Maio ha chiaramente aperto al dialogo con chiunque sia disposto ad adattarsi al M5S, mentre Di Battista durante i primi risultati dello spoglio aveva subito sentenziato "adesso tutti dovranno venire a parlare con noi."

Il che significa che il M5S si pone come baricentro per la formazione della prossima legislatura. E quindi?

LO SCENARIO POST ELEZIONI

Per capire come potrebbe muoversi il MoVimento, bisogna innanzitutto capire come si è formato il suo bacino di elettori passando dal 2013 a oggi. Perché l'identità dei suoi elettori gioca, per forza di cose, un ruolo importante nelle strategie future. E anche perché il M5S è piuttosto cambiato in questi anni, rispetto alla forza anti-sistema e movimentista del V-Day.

A osservarlo è Piergiorgio Corbetta dell'Istituto Cattaneo, professore all'Alma Mater di Bologna e uno dei massimi esperti italiani di analisi sul M5S, in un'intervista rilasciata a Quotidiano.net. "Nel 2013 il Movimento 5 Stelle prese il 25,5 percento e quei voti erano essenzialmente di Grillo. […] Oggi la vena ribellista del vaffa sta lasciando il posto al doppiopetto, […] gli elettori vedono i 5 Stelle sia come partito di protesta sia come partito di proposta. Il capo politico ordinato e in giacca e cravatta, a questo punto, rassicura più del comico scarmigliato e fa guadagnare voti."

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Ma il M5S non è passato soltanto attraverso un processo di istituzionalizzazione. Si è radicato in una fascia elettorale più precisa, che in passato era omogenea e dettata da un sentimento di protesta generale. Si è insomma trasformato in parte da "partito pigliatutti" del dissenso, come lo definisce Corbetta, a "partito che raccoglie consensi soprattutto nelle zone svantaggiate del Paese, tra i disoccupati, nelle periferie." Il che non significa che la spinta di novità anti-establishment si sia esaurita, ma che questo mutamento ha aperto a nuovi flussi elettorali, principalmente provenienti dalla sinistra.

Su Termometro Politico si possono vedere le analisi dei flussi svolte da Tecnè. Il rimescolamento è piuttosto evidente, visto che solo il 72 percento degli elettori Cinque Stelle del 2013 ha confermato la preferenza. Gli altri, sono venuti in maggioranza dagli scontenti del PD. Il M5S è il partito scelto dai giovani: fascia 18-30 anni 44 percento, e 31-44 per il 40 percento (mentre è scelto pochissimo dagli anziani over 64). Registra numeri enormi fra i disoccupati (50 percento), fra chi è scettico sull'economia (42 percento), e fra chi pensa che il problema principale del paese sia la mancanza di lavoro (35 percento).

Non è infatti un caso che il M5S abbia stravinto nel sud Italia—in Sicilia, a causa di un bug del Rosatellum, ha ottenuto più seggi di quanti fossero i candidati. Al di là di questi dati, poi, ce n'è un altro importante: nelle città che amministrano—fatta eccezione per Roma e Torino—i numeri dei Cinque Stelle si confermano o addirittura aumentano. Altra percezione distorta dai continui articoli sulle amministrazioni Raggi e Appendino.

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Gli elettori del Movimento, insomma, adesso hanno un'identità più definita, e si affidano anche a un'esperienza di governo che in questi anni c'è stata. E in vista dei bilanciamenti della legislatura futura, in questi giorni successivi al voto sta mutando anche la percezione generale del MoVimento.

Confindustria e Sergio Marchionne hanno dichiarato che non temono l'ascesa dei Cinque Stelle, e che sono fiduciosi sul futuro del paese. E anche Eugenio Scalfari, che prima delle elezioni aveva dichiarato di preferire Berlusconi a Di Maio, adesso si è ricreduto e ha detto che non solo propende per i Cinque Stelle rispetto a Salvini, ma che voterebbe per un partito che unisce M5S e PD. "Di Maio ha dimostrato un'intelligenza politica notevole, e il Movimento è diventato un partito. Facendo un'alleanza con il PD, diventerebbe il grande partito della sinistra moderna."

Ora: al netto di quelli che salgono sul carro del vincitore guidati anche dall'incongruenza della consecutio nelle proprie dichiarazioni pubbliche, vediamo effettivamente come sta nei fatti la situazione. Queste alleanze ipotetiche sono realizzabili? E come? Le opinioni in questi giorni si sono sprecate.

LA POSSIBILE ALLEANZA CON LA LEGA DI SALVINI

Dal punto di vista della logica numerica, un'alleanza con la Lega (che presumibilmente potrebbe portarsi dietro la Meloni) sarebbe la più proficua per riuscire a formare un governo con una stabilità accettabile. Ed è stata uno dei filoni narrativi più percorsi fra i sottotraccia della campagna elettorale. Alimentata anche da certe dichiarazioni passate di esponenti grillini come Sibilia e Paragone. Ma è anche estremamente improbabile. Come sta ripetendo continuamente Salvini (a meno che non gli offrano una focaccia al formaggio).

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Teoricamente per alcuni ci sarebbero diversi punti di contatto—diffidenza verso l'Unione Europea, una vena primigenia di protesta anti-establishment, e una prerogativa verso le fasce più colpite dalla crisi—ma come osservato qui su VICE, le distanze sulle affinità teoriche sono più ampie di quello che si pensa. Verso l'Unione Europea la Lega ha un approccio duro, di matrice lepenista anti-euro, mentre il M5S è molto più distensivo. Stessa cosa si può dire sulla questione immigrazione. Con Salvini che qualche tempo fa ha dichiarato che il M5S in questo ambito è "più a sinistra del PD." L'unico punto di contatto reale e stabile, è quello sul sistema pensionistico e sull'abolizione della Legge Fornero.

Anche dal punto di vista dell'impostazione e dell'elettorato ci sono divergenze ampie. "La Lega ha un approccio tradizionale: alleanza, spartizione di ministeri, eccetera,” osserva Corbetta. “I Cinque Stelle non puntano ad alleanze stabili, ma a convergenze su singoli provvedimenti." La Lega poi, come osservato da Di Maio, è radicata territorialmente a differenza del M5S. E un dato importante fra quelli analizzati da Tecnè, riguarda il fatto che una percentuale significativa (11 percento) degli elettori delusi dal M5S rispetto al 2013 ha scelto la Lega. Anche in termini di flussi elettorali, insomma, sono troppe le forze che allontanano il partito di Salvini da un'alleanza. Dovrebbe fare troppi passi indietro.

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Non ultima fra le motivazioni è una logica di mera speculazione politica. Salvini si è appena preso il centrodestra, scavando un solco rispetto al dominio ventennale di Berlusconi, e non ha nessun interesse a sottomettere il risultato al primo partito italiano. Sarebbe una nuova subordinazione. A questo, poi, si aggiunge il ruolo di "garante" giocato da Berlusconi.

LA POSSIBILE ALLEANZA CON PD E LeU

Vediamo invece l'altra grande alleanza paventata da Scalfari. Il PD—e tutta la sinistra italiana—escono dilaniati da queste elezioni. E come chiariscono i dati, il fatto che buona parte del flusso uscente sia stato indirizzato verso il M5S non può non far riflettere. È la logica contraria a quella della Lega. LeU si è detta da tempo disponibile a un possibile governo, ma è il PD che deve cambiare le cose

In questi giorni post dimissioni annunciate da Renzi, c'è stata una sassaiola di articoli sulle fazioni del PD che potrebbero valutare con interesse una possibile alleanza. E molte dichiarazioni di Di Maio fanno pensare che stia cercando di bombardare proprio queste fazioni per spingerle a defenestrare definitivamente Renzi. Il Fatto Quotidiano, ieri, ha proprio puntato sulle "rese dei conti" intestine al PD. Dove si allude a contrattazioni di non renziani ed ex renziani per agevolare questo passaggio. "Arrivano segnalazioni," scrive Wanda Marra, "di trattative in corso con Luigi Di Maio per un governo, da parte di Franceschini prima di tutto. [Anche se] L'interessato smentisce categoricamente ("Mai pensato a un governo con M5S o destra")."

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La linea dettata da Renzi è piuttosto chiara: "Per me il PD deve stare dove l'hanno messo i cittadini: all'opposizione," ha scritto su Facebook. E ammonisce chi ipoteticamente potrebbe pensare il contrario all'interno del PD, "se qualcuno del nostro partito la pensa diversamente, lo dica in direzione lunedì prossimo o nei gruppi parlamentari."

Sta poi portando avanti una strategia comunicativa per evidenziare gli insanabili contrasti rispetto ai flussi elettorali. Come si evince da questo tweet, dall'hashtag #senzadime, e dalle dichiarazioni di Matteo Richetti.

Ma lasciando perdere queste congetture, e le battaglie intestine del PD, c'è una motivazione di natura politica che rende improbabile l'alleanza—o appoggio esterno—con il M5S. Nonostante le riflessioni necessarie sugli spostamenti degli elettori, il PD in questa fase di ricostruzione non può permettersi di prendere delle decisioni così nette in breve tempo.

Tutte le dichiarazioni lasciano presagire che la scelta più condivisa—al netto di Renzi e delle sue strategie, che in questo momento potrebbero essere anche irrilevanti—sia quella di pensare alle dinamiche interne e lasciar perdere il resto. A farlo capire, ad esempio, sono le dichiarazioni di Carlo Calenda, che da molti viene indicato come possibile successore di Renzi alla guida dei dem. Il cui tesseramento post-disastro è stato accolto come una manna da vari esponenti del PD, soprattutto da Gentiloni. "Se il PD si allea con il M5S," ha dichiarato, "il mio tesseramento sarà il più breve della storia."

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Quindi, con tutta probabilità, anche su questo versante non ci sono condizioni sufficienti per un possibile avvicinamento. Anche perché sarebbe il PD a dover fare tutta la strada per avvicinarsi ai Cinque Stelle, come si capisce benissimo dalla lettera di Di Maio.

NESSUNA ALLEANZA

Ed eccoci alla più probabile delle ipotesi. Nessuna alleanza, nessuna partecipazione diretta alla prossima legislazione. Di nuovo, ipoteticamente, all'opposizione. Come uscirebbe l'immagine dei Cinque Stelle da una fase come questa? Indebolita? Rafforzata?

Una possibile risposta, piuttosto diretta, viene dal cofondatore del Movimento: Beppe Grillo. Che in un video pubblicato sul suo blog e sul canale YouTube chiarisce che non esiste alcun timore per i possibili risvolti di queste fase di contrattazione. "La specie che sopravvive non è quella più forte ma quella che si adatta meglio. Noi siamo un po’ dentro democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra, un po’ di centro… possiamo adattarci a qualsiasi cosa. Vinceremo sempre noi sul clima, sull’ambiente, sulla terra. Ci trasformeremo, magari diventeremo come il citopigio dell’inizio." Nella sua rozzezza comunicativa, Grillo insomma ha ribadito che nonostante tutti i blocchi, il ruolo di baricentro non è attaccabile.

Il rischio più grande che corre il M5S in questo momento, è la fuga di parlamentari. E questo è l'unico scenario—difficile—in cui potrebbe perdere il ruolo di baricentro. Sul Fatto Quotidiano, ad esempio, Luca De Carolis scrive "il timore è quello che il centrodestra provi a imbarcare alcuni degli eletti a 5Stelle, un esercito di 333 persone. E la prima urgenza allora è controllare deputati e senatori, soprattutto al Sud. […] Così è già scattato il controllo incrociato sui nomi a rischio."

Mentre il M5S si tutela, quindi, tutto è nella mani di Mattarella. L'italiano che nessuno vorrebbe essere in questo momento—e tutti gli scenari (governi traballanti tirati per le maniche, governi di scopo, elezioni anticipate) sono possibili. So che non è la risposta che vorreste leggere, ma è così.

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