Le specie scompaiono una dopo l’altra a un ritmo che non si vedeva dai tempi dell’ultima estinzione di massa, ed è impossibile pensare che l’uomo non sia responsabile. I biologi ritengono che dozzine di specie animali svaniscano nel nulla ogni giorno, il che equivale a ritmi 1000 volte superiori ai livelli di estinzione precedenti l’arrivo del moderno Homo sapiens. L’impatto pesante che abbiamo sugli ecosistemi del pianeta è ormai talmente evidente da aver dato il nome a un’epoca intera: l’Antropocene.
Ma i danni ecologici causati dall’uomo non corrispondono sempre a estinzioni. Piuttosto che soccombere alla pressione delle azioni umane, alcune specie si stanno evolvendo rapidamente. Questo adattamento relativamente nuovo—e apparentemente catastrofico—, chiamato “speciazione mediata dall’uomo,” è stata oggetto di indagine in uno studio pubblicato questa settimana su Proceedings of the Royal Society B.
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Quando una pianta, un animale o un batterio subisce una “speciazione,” la sua linea evolutiva si separa in due o più pool genetici unici. Alle volte, la cosa dà origine a una differenza significativa tra le due linee, ma altre volte, le discrepanze sono più difficili da trovare. Come ha spiegato una volta Scientific American, le orche (Orcinus orca), che i biologi hanno creduto per tanto tempo corrispondere a un solo tipo di balena, si sono in realtà ramificate per centinaia di migliaia di anni in specie differenti, ognuna con i suoi tratti e le sue tradizioni.
Poiché l’evoluzione è un processo davvero difficile da quantificare, specialmente sul breve periodo, i biologi dell’università di Copenhagen hanno deciso di capire se alcuni dei recenti adattamenti evolutivi di certe specie potessero essere legate a fattori di stress antropogenici. Le loro scoperte sono prove clamorose di speciazioni mediate dall’uomo, condizionata da fattori come la distruzione degli habitat, l’introduzione di le specie invasive, l’addomesticamento, la caccia e l’ibridazione.
Uno dei fattori causali più ovvi della speciazione è la distruzione di certi ecosistemi dovuta alla combinazione di forze come il cambiamento climatico, l’estrazione di risorse naturali, lo sviluppo, e l’introduzione di specie animali invasive. Lo studio ha trovato che 38 specie—per esempio, l’anolide bruno (Anolis sagrei) nelle Hawaii e in Taiwan, e il rospo delle canne (Rhinella marina) in Australia—mostrano i segni di un’evoluzione rapida, il cui inizio coincide con la loro introduzione in un ambiente straniero. Quasi il 70 percento delle specie di piante invasive in Australia, molte delle quali non adatte al clima arido della regione, come la Facelis retusa, hanno cambiato almeno un tratto morfologico o uno strutturale nel giro di 150 anni.
Ancora più interessante è il fatto che quando un elemento patogeno mortale proveniente dal Sud America chiamato “myxoma virus” è stato trapiantato in Australia durante gli anni Cinquanta per tenere sotto controllo il numero di conigli selvaggi, nel giro di un anno i conigli avevano iniziato a co-evolversi insieme al virus, sviluppando una resistenza allo stesso. Secondo gli autori dello studio, i cambiamenti evolutivi come questo non sono rari, ma spesso passano inosservati tra le specie che non sono considerate “economicamente importanti.”
L’addomesticamento è un’altra causa probabile della speciazione, e considerato che gli esseri umani hanno “domato” 474 specie animali e 269 specie animali nel giro degli ultimi 11.000 anni, i suoi effetti sono ben documentati nelle specie moderne come il cane domestico (Canis lupus familiaris). Un effetto collaterale di questa pratica, però, è che gli esseri umani ora interagiscono anche con specie considerate “parassite,” come le erbacce da campo, che sono state indebolite dalle pressioni selettive che le hanno tenute sotto controllo.
“Ci sono anche esempi di addomesticamento che portano alla formazione di altre specie. Secondo uno studio recente, almeno sei delle 40 tipologie di semina più importanti sono considerate del tutto nuove,” ha detto Joseph Bull, autore principale dello studio e postdoc al Center for Macroecology, Evolution and Climate dell’università di Copenhagen.
“In questo contesto, il ‘numero di specie’ diventa una misura assolutamente insoddisfacente per capire l’andamento della conservazione, perché non riflette molti degli aspetti più importanti della biodiversità.”
Persino gli esseri umani sono caduti vittime della loro stessa manipolazione ecologica. Al momento, i batteri resistenti agli antibiotici prescritti con troppa leggerezza rappresentano una delle minacce più gravi alla salute pubblica, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. I microbi responsabili della gonorrea e dello Staphylococcus aureus (MRSA) sono solo alcuni dei “super microbi” che hanno sviluppato una resistenza alla maggior parte delle cure esistenti. I trattamenti ora possono richiedere l’uso di diversi antibiotici per compensare la probabilità che uno o più di essi sia del tutto inefficace.
Se da un lato la comparsa di nuove specie può sembrare una cosa eccitante o persino un vantaggio durante un periodo di estinzioni di massa, Bull e colleghi incoraggiano la comunità scientifica a valutare il valore effettivo del cambiamento antropogenico, anziché solo i suoi contributi artificiali. Le specie selvatiche non possono essere semplicemente sostituite con nuove specie, e le conseguenze biologiche su ecosistemi fragili e complessi sono pericolosamente imprevedibili.
“La prospettiva di guadagnare “artificialmente” nuove specie attraverso l’attività umana difficilmente può farci sperare che possa compensare la perdita di specie ‘naturali,’” ha aggiunto Bull.
“Di certo, l’idea di una biodiversità artificiale suona deprimente tanto quanto quella di un mondo impoverito artificialmente.”