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Giulio Regeni

La verità sul caso Regeni potrebbe compiere dei "decisivi passi in avanti"

L'Egitto ha accettato che alle indagini sull'omicidio dello studente possano partecipare anche gli inquirenti italiani.

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Nella giornata di ieri, l'Egitto ha accettato che alle indagini sull'omicidio dello studente Giulio Regeni possano partecipare anche gli inquirenti italiani.

La Procura di Roma ha infatti ricevuto il documento ufficiale del governo egiziano che apre alla collaborazione tra gli investigatori di Roma e quelli del luogo.

Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, ha annunciato che sarà organizzato a breve un incontro col fine di "individuare ulteriori modalità di collaborazione tra le due autorità giudiziarie nell'interesse dei rispettivi paesi."

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Anche il Parlamento Europeo, giovedì 10 marzo, aveva chiesto all'Egitto di cooperare con l'Italia e fornire "tutti i documenti necessari e le informazioni" per stabilire la verità sul caso.

La richiesta era arrivata in una risoluzione che condannava "con forza la tortura e l'assassinio in circostanze sospette del cittadino Ue Giulio Regeni," ritenuto non "un incidente isolato" ma accaduto "in un contesto di torture, morti in carcere e aumento delle scomparse in Egitto negli ultimi anni."

Solo pochi giorni fa, il procuratore aggiunto di Giza, Hassam Nassar aveva spiegato ai media italiani che avrebbe seguito le indagini da solo, pur collaborando con le autorità italiane.

Leggi anche: Sono stato incarcerato ingiustamente in Egitto: cosa ho visto nei miei 27 giorni di prigionia

Da più di un mese la procura di Roma sta indagando sulla morte di Regeni: le indagini, finora, sono sembrate procedere molto a rilento, soprattutto a causa della scarsa collaborazione tra autorità giudiziarie ed esercito egiziano, che hanno restituito un quadro ancora poco chiaro degli eventi e hanno di fatto escluso l'Italia dalle indagini.

Secondo la Procura di Roma, l'autorità giudiziaria egiziana avrebbe finoratrasmesso atti incompleti e insufficienti, privi dei documenti per i quali Roma aveva fatto esplicita richiesta — come i verbali in cui erano contenute alcune testimonianze, i dati delle celle telefoniche della sera del 25 gennaio - giorno nel quale il ragazzo sarebbe scomparso - e i video delle telecamere di sorveglianza.

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Inoltre, le autorità egiziane avrebbero più volte cambiato versione sulla morte del ragazzo: uno dei punti su cui sono emerse più divergenze ha infatti riguardato l'autopsia sul corpo dello studente, e le ragioni che hanno portato al suo decesso.

In settimana la procura del Cairo ha affermato che tutte le lesioni riscontrate sul corpo di Regeni sarebbero state inflitte tra le 10 e le 14 ore prima della sua morte, causata probabilmente da un colpo alla testa che gli avrebbe provocato un edema cerebrale. Secondo le autorità egiziane, molte delle lesioni - tagli alle orecchie e rimozione delle unghie - sarebbero da attribuire a un incidente stradale.

La tesi non ha però mai convinto gli investigatori italiani: la procura di Roma, per esempio, sospetta che Regeni sia stato torturato tra i cinque e i sette giorni prima di essere ucciso, e che la causa della morte sia stata in realtà la rottura della prima vertebra cervicale — "una spaventosa torsione del collo," scrivono Carlo Bonini e Giuliano Foschini su Repubblica.

Per approfondire: Il nostro speciale caso Regeni

Gli stessi giornalisti in settimana hanno riportato la notizia secondo la quale due diverse fonti avrebbero fatto riferimento alla presenza di alcuni agenti di polizia nella casa di Regeni nel dicembre scorso, senza però trovarlo — episodio che però non ha trovato riscontri ufficiali.

Nella giornata di oggi, lo stesso quotidiano ha ospitato un'intervista ai genitori del ragazzo, Paola e Claudio Regeni: i due si sono detti fiduciosi per il prosieguo dell'inchiesta, ora che Il Cairo sembra voler cominciare a collaborare, e ritengono si stiano facendo dei "decisivi passi in avanti" sulla ricerca della verità.


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