liberato backstage
Fotografia di Glauco Canalis
Musica

Abbiamo intervistato la grafica di LIBERATO

L'identità di LIBERATO continua a essere un mistero, ma intanto abbiamo scoperto—e intervistato—la persona che ha curato la sua immagine.

Qualche anno fa a VICE arrivò una mail che proponeva la premiere del video di "9 MAGGIO" di LIBERATO. Per una serie di eventi sfortunati a quella mail non rispondemmo mai, ma fin da subito ci rendemmo conto di essere di fronte a qualcosa di grande. Poi, poco tempo fa, ce ne è arrivata un'altra. Ci proponeva di parlare con la persona che del progetto-LIBERATO ha curato la grafica.

Quando penso a grafica e musica mi viene in mente una cosa sola, la cover di In the Court of the Crimson King dei King Crimson, un disco che mio padre quasi mi forzò ad ascoltare quando avevo 14 anni e che mi ha fottuto il cervello per sempre. Un'illustrazione incredibile che corre lungo tutto il packaging e che rappresenta alla perfezione un disco folle. Ogni volta che la riguardo penso al fatto che per me sarebbe un grandissimo traguardo quello di riuscire a disegnare una cover così, in grado di resistere ai segni del tempo, e soprattutto al passaggio delle tendenze in materia di comunicazione visiva.

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Grafica e musica sono due entità estremamente complementari. Due discipline che dialogano e si confrontano su un terreno espressivo differente ma con la finalità di raggiungere un obiettivo comune, quello di creare un legame indissolubile. Qualcosa che alla sola vista di una cover ti ricordi esattamente la prima traccia del disco, o viceversa che all’ascolto di una hit ti aiuti ad immaginare esattamente un’immagine precisa, distinta ed evocativa. Se un progetto musicale risulta iconico è infatti anche grazie all’immagine che lo accompagna.

Al sistema visivo delle cover si aggiunge quello puramente simbolico dei marchi collegati ad artisti e band. Una sintesi ancora maggiore e in grado di condensare in pochi tratti tutta la storia e l'iconografia di un intero progetto artistico. Così prendono vita e si propagano attraverso decine di anni di vita i marchi di Aphex Twin o del Wu-Tang Clan. Simboli che per la loro resilienza rispettano a pieno quel dogma, tipico di alcune scuole di grafica, per cui un buon logo debba durare nel tempo prima che essere ben disegnato.

Musica e grafica si muovono quindi nella stessa direzione. A volte il percorso è frutto di collaborazioni stabili, in altri casi di pura casualità, o ancora, talvolta sono prodotte dalla stessa mano. Esistono poi dei casi ancor più rari in cui nonostante l’immaginario visivo potente si conosca poco dell’identità di chi si trova davvero dietro un progetto artistico. Ed è questo il caso di LIBERATO, un progetto che ha utilizzato le potenzialità dei media artistici a 360° per creare un’aura fatta di mistero e un simbolismo estremamente iconico—dai video alla fotografia, passando per i visual delle poche e calcolate apparizioni live. In tutte queste fasi non si può non notare un sistema fatto di vere e proprie icone che hanno contribuito alla fortuna del progetto stesso.

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Abbiamo intervistato Rocio Mateos, graphic designer che quelle icone le ha progettate, per capire meglio da dove arrivino tutti gli input del progetto e in che modo sia nata la collaborazione con un musicista che non ha mai manifestato pubblicamente la sua identità.

Noisey: Ciao Rocio! Com’è nata esattamente la collaborazione? Cosa sapevi del progetto LIBERATO prima di accettare?
Rocio Mateos: Non sapevo nulla, men che meno il napoletano. Borut, il mio ragazzo, mi disse che c’era questo artista napoletano che lo aveva contattato per sapere cosa ne pensasse della sua musica e che bisognava spingerlo. Il progetto era una bomba ed era totalmente alieno al panorama musicale. Poco dopo servivano delle grafiche e mi chiesero se ero interessata. Lo ero, perché quando qualcosa mi piace e mi stimola non mi tiro indietro, costi fare qualche ora extra alla sera sul computer o lavorare nel weekend. Da quel momento sono entrata a far parte di una famiglia che è cresciuta nel corso di questi anni ma che non ha nulla da spartire con un progetto di marketing o operazioni commerciali strutturate a tavolino. Siamo solamente un gruppo di professionisti che in una maniera un po’ rocambolesca hanno iniziato a collaborare tra loro nello stesso progetto ed ora condividono qualcosa che trascende il lavoro stesso. Sono cosciente che a molti piace immaginarci nella sala riunioni di un qualche edificio di una major, coordinando a nostra volta vari team di esecuzione ma alla fine la cosa è molto più semplice di così. Se vuoi molto più romantica: ci sono gruppi Whatsapp, messaggi vocali infiniti alle quattro del mattino, nottate a mettere a punto il proprio lavoro e tanto amore per il progetto.

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Da graphic designer a graphic designer, quali sono i tuoi riferimenti visivi? Chi sono i tuoi progettisti preferiti e per quale motivo?
Domanda difficile, dal momento che devo condensare discipline e periodi differenti in poche righe i primi nomi che mi escono sono quelli imparati sui libri rispetto al numero di creativi che vedo ogni giorno via internet. I miei preferiti sono artisti fondamentali come Victor Moscoso, Herb Lubalin, tutta la crew di Push Pin e tra di loro ovviamente Milton Glaser. Proprio la sua visione pionieristica nell’interpretare e applicare la grafica con diverse tecniche ha fatto si che dopo 50 anni ci ritroviamo ancora qui a omaggiarlo in maniera più o meno cosciente. Aggiungerei gli italiani Bruno Munari, Ettore Sottsass o Enzo Mari, pilastri fondamentali del design che mi han fortemente impressionato dal primo momento che li ho scoperti.

Poi l’Art Deco, tutto ciò che è connesso alla Bauhaus e personaggi femminili come Clarice Cliff o la poliedrica Sonia Delaunay. Sicuramente il mio successivo interesse per la moda, il disegno industriale e la ceramica viene da qui e dalla Wiener Werkstätte, gente che nei primi del 900 già figurava l’arte fuori dai musei applicandola a vari aspetti del disegno industriale e dei tessuti.

Grazie alla musica ho scoperto Peter Saville, uno capace di mescolare cose vettoriali o dei crop su di un quadro rinascimentale e poi ottenere vere e proprie icone. In più il suo lavoro non solo su FAC51 ma anche su Haçienda mi ha fatto capire come la grafica può dare un “imprint” ad un club, è il caso del recente “Good Room” con il mitico Braulio Amado o di altre realtà come Kaiku o De School. Altro referente in questo mondo è stato Yves Uro, mente creativa dietro il club KU, la sua capacità di capire alla perfezione il mood della Ibiza degli anni 80 pur vivendo a Parigi mi è sempre stato d’ispirazione ed esempio. Moebius e Pazienza assieme ad altri nelle graphic novel, ad oriente Keiichi Tanaami per la psichedelia e Ikko Tanaka per la sintesi.

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Se dovessi pensare ad un'etichetta con un bel merchandising ti direi Public Possession. Per quanto concerne la moda dico Matthew Williams, Raf Simons, Fergus Purcell con Aries e Ashley Williams, Misha Hollenbach and Shauna Toohey di PAM mi han sempre affascinato per la freschezza grafica. Ancora, Marine Serre, Yoon Ahn di Ambush, Undercover, Sacai… sono davvero troppe!

Come sei arrivata al simbolo della rosa? Qual è l’idea dietro questo elemento e cosa rappresenta per te?
Arrivare alla rosa è stato abbastanza facile ma di sicuro il concepimento non si è basato sulle classiche chiacchierate che si fanno quando si inizia a lavorare ad un progetto di immagine corporativa con un confronto veloce e ripetuto. LIBERATO mi è comparso dal nulla con un suono specifico e potentissimo, con dei testi che cantano l’amore in napoletano e con l’anonimato a chiudere tutto. Pochi paletti ma ben definiti, diciamo non un progetto come tanti.

Oltre al suo Tumblr non avevo molti altri input e mi sono fissata su 4 concetti: Libertà, Amore, Napoli e Freshness. In automatico mi è uscita la rosa perché è un’icona molto riconoscibile da sempre. Da sola non rappresenta nulla, la vediamo ovunque e ne siamo pure stufi. Dal logo di un ristorante al simbolo romano per raffigurare Venere, dalla maglietta di un amico alla cover dei Depeche Mode. L’amore e le sue spine o il ricordo di una rivoluzione, è tutto o niente, è il nostro quotidiano, alla fine non è il significato stesso della rosa ma quello che rappresenta quando si converte in un simbolo. In questo caso doveva solamente accompagnare IX - V (9 Maggio) ma poi cover dopo cover ha iniziato a prendersi il suo spazio per diventare l’icona del progetto.

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Un altro elemento iconico nella comunicazione di LIBERATO è la scritta alle spalle del suo bomber. Qual è la genesi di questo lettering? Sembra essere molto radicato nel background visivo della città, nella quale le scritte dei gruppi ultras sono un elemento fondamentale, è così?
La prima cover è stata una sorta di test per capire se c’era connessione per lavorare assieme, doveva trasmettere il suo messaggio ed accontentare me a livello grafico. Quando, dopo i primi test, abbiamo cercato di avvicinarci maggiormente all’immaginario ultras quasi mi è esplosa la testa. Sono molto legata al periodo degli anni Venti, e quindi pure a quei caratteri, ma quello che vedevo era solo un font fascio. E LIBERATO è tutto tranne che fascio. Solo in un secondo momento ho capito l’importanza e la presenza di quelle lettere in giro per le strade di Napoli, mi è piaciuto il collegamento ed ho iniziato a lavorare a dei piccoli ritocchi alle lettere per tirarle un attimo fuori dal contesto curva e connotarle meglio nel mondo LIBERATO. Mancando l’artista, tutti gli elementi proposti e poi rilanciati nei video di Francesco Lettieri, dalla rosa al personaggio incappucciato con il Bomber fino alle scritte degli ultras in giro per la città, riescono nell’intento primario di dare priorità alla musica senza metterci una faccia, un sesso o un’età. D’altro canto LIBERATO è tutti noi.

Quali altri simboli della città hanno caratterizzato l’identità visiva del progetto LIBERATO? E in che maniera ti sei rapportata come progettista a una città così complessa e multiforme per prendere ispirazione?
È curioso perché la prima volta che sono stata a Napoli avevo 16 anni ed ero in gita di scuola da Madrid, ci sono ritornata solo l’anno scorso di nuovo assieme al mio ragazzo ed alcuni amici e sono uscita pazza! Fino a prima tutto era filtrato dal racconto di terze persone con tutte le implicazioni e le proprie opinioni personali, una volta che ci sono arrivata sono stata travolta da questa mezcla di mille cose tutte in una sola volta, eclettismo allo stato puro. La gente, l’architettura, il mix mediterraneo di culture, la scaramanzia, il cibo, i neon con le madonne, il caos, i turisti, il rumore dei motorini e delle macchine che ti sfrecciano vicino, il misticismo, le mura dipinte, il profumo del bucato steso nei vicoli—tutte queste sono informazioni.

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La città è iconografica per sé, piena di vita e autenticità. Ogni angolo ti da un input in più e quando stai lì c’è una tensione nell’aria come pochi altri posti al mondo, vorresti restare sempre sveglio per godere di ogni attimo. O la ami o la odi. È vero che all’inizio sapevo che ogni cover necessitava qualcosa di nuovo però ero tranquilla perché già da fuori la città riesce a dare molto pur non conoscendola molto—e in più c’erano i video di Francesco con gli styling di Antonella che riuscivano a rendermi poco a poco sempre di più chiara l’idea estetica da dare o da proporre.

Il rapporto tra grafici e committenti, e artisti musicali in questo caso, è un tema molto interessante dal quale sono nate tante collaborazioni note. In che modo ti sei relazionata ad un committente come LIBERATO del quale pubblicamente ancora non si conosce l’identità? Ci sono degli aneddoti interessanti del rapporto che hai con lui?
La relazione tra noi due è stata facile fino dal primo momento, abbiamo avuto fortuna di incontrarci. Non è qualcosa che succede spesso in questo mondo, quindi se accade bisogna averne cura. LIBERATO è un buon leader: ha idee chiare e spesso risponde con un si o con un no alle proposte che si fanno, si fida del gusto delle persone che lo circondano perché sa che quello che facciamo lo facciamo bene e per la miglior riuscita del progetto. Ha unito varie teste competenti creando un gruppo solido e spesso siamo connessi tra di noi senza saperlo. Siamo sulle stesse frequenze e questo fa che il team sia potente. Ci sono parecchi aneddoti, spesso legati alla scaramanzia e al simbolismo. Me ne viene in mente uno riguardo la copertina del disco… cercavamo un elemento che accompagnasse la rosa nella cover, dandole inquietudine e forza. Dopo vari innesti e tentativi l’unica cosa che sono riuscita a mettere è stata quella banda rossa, in quanto—appunto—richiamava il colore del corno portafortuna, quel rosso atavico che da sempre richiama la forza, il fuoco e il sangue. Dal momento che gliel’ho venduta così, essendo lui di una proverbiale scaramanzia, l’idea è passata alla prima! Poi ho cercato di lavorare sul packaging in modo che in mancanza di foto, press kit, testi eccetera, almeno la forma fisica del supporto sarebbe stata un bell’oggetto da collezione. Così abbiamo messo lo sticker a mano pure su quello. Il bello poi è stato vedere come il pubblico, che è un mondo a sé, ha metabolizzato quelle immagini finendo con l’ipotizzare delle teorie assurde

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Quali sono, tra i lavori che hai svolto per il progetto, quelli di cui vai più orgogliosa e perché?
Mi sono proprio divertita nell’ultima parte del progetto, dal disegno del packaging del disco in poi c’è stato un momento in cui non ci fermavamo più con le idee nuove per i gadget: dalle magliette ai grinder, dai tattoo temporali al tape per chiudere gli imballaggi. È stato intenso ma molto emozionante.

In generale mi piace lavorare al merchandising. Mi piace la grafica tessile e sperimentare con tecniche ed applicazioni nuove. In più dal momento zero sono entrata in contatto con Daniele, che magari non è conosciuto come altre persone all’interno del team ma è una figura chiave, un Mr. Wolf della situazione. Gestisce l’artista durante i live e la settimana dopo ti scova una macchina Heidelberg degli anni 80 per stampare i poster del disco. Fa succedere le cose, è bello lavorare con lui!

Per concludere, i due pop up store sono stati una bomba. Ho fatto la direzione artistica del progetto ma senza la produzione impeccabile di NSS non sarebbe stato possibile realizzarli, anche perché i margini di tempo erano strettissimi. Volevamo l’esperienza fisica del mondo di LIBERATO e credo ci siamo riusciti. Sono orgogliosa perché il progetto ha qualità ed è alieno a molte dinamiche classiche, è vissuto e gestito in maniera carbonara dalla musica al live show, dai video all’estetica visuale ma nello stesso momento e curato con molta attenzione ai dettagli.

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Raccontaci un po’ di te: dove sei nata, che cosa fanno i tuoi genitori, quali sono stati i tuoi studi, com’è stata la tua carriera finora.
Sono di Madrid, ci sono tornata dopo aver vissuto all’estero per un po'. Mentre studiavo disegno grafico lavoravo in un'agenzia che si dedicava soprattutto al web design e due anni dopo, in maniera fortuita, il mio portfolio di illustratrice e graphic designer mi ha dato l'opportunità di lavorare in Italia per un brand di moda. È li che ho iniziato il mio percorso in questo settore. È stata un esperienza formativa assolutamente positiva, sia nel personale che nel professionale. Ho imparato un sacco su tecniche di stampa, tessuti e ho conosciuto gente meravigliosa e tra loro il mio ragazzo.

Dopo 4 anni e mezzo sono ritornata in Spagna, ho fatto una scelta lavorativa che non vedevo per niente come definitiva ma devo riconoscere che in questo periodo sono riuscita a conciliare una nuova esperienza con molto più tempo vicino alla mia famiglia e cari amici. Qui sono arrivata con una posizione nuova e più responsabilità, affiancata ad un bel team ho imparato tanto sugli equilibri interni di una azienda e tutte le cose positive e negative che ne conseguono. Chiaramente, tutta questa esperienza accumulata mi è servita nel momento di gestire vari aspetti del progetto LIBERATO. Dalle classiche stampe per le magliette alle cover, dal disegno dei pop-up store alla comunicazione grafica passando per tutti gli elementi fisici che hanno accompagnato la release del nuovo album. Insomma, mi sono ritrovata ad avere abbastanza competenza per gestire l’aspetto grafico a 360° di un artista e in più proporre a mia volta nuove idee.

In che modo restare anonima insieme al progetto ha impattato il tuo stato mentale?
Sicuramente vivere in Spagna ha aiutato molto a non avere pressioni. È stato un peccato, ad esempio, perdermi i pop-up store, però perlomeno non ho vissuto l’analisi della mia vita e delle mie amicizie come invece sarà successo sicuramente ad altre persone coinvolte. In più qui a Madrid sono stata così lontana dal fenomeno che se casualmente ne parlavo con qualche amica stretta comunque non aveva (e non ha ancora) idea per chi stessi lavorando.

Per me scrivere R.M. non è mai stato un problema. La cosa è nata carbonara e per molto tempo è andata avanti così. Quello che a me interessava di più era avere la possibilità di fare quello che volevo con un progetto iniziato da zero. La mia “uscita dall’ombra”, se così si può dire, è stata decisa in comune con tutti. In più le volte che sono stata in Italia e quindi ho tastato dal vero il feedback del progetto sulla gente ho potuto godermi la cosa in maniera naturale e senza gli occhi puntati su di me. Non ha prezzo infatti vedere come alcune cose abbiano preso una piega inaspettata: un sacco di gente si è tatuata la icona della rosa e le varie interpretazioni che la gente ha dato alle grafiche mi è piaciuto molto, dal finto indizio del rettangolo rosso al merchandise “pezzotto” visto a Napoli e al concerto di Roma.

Come hai fatto a dire ai fautori del progetto che volevi rendere pubblica la tua identità? Com’è stata la conversazione?
È stata una decisione appunto presa a lavoro terminato e con l’appoggio di LIBERATO, ne abbiamo parlato prima. Non sono una protagonista nata, sono una pessima PR per il mio proprio lavoro e il solo scrivere queste quattro righe mi è costato parecchio. Preferisco stare dietro ad uno schermo ma non succede nulla di male se dopo aver fatto bene il mio lavoro faccio un passo in avanti e mi presento. Rocio è su Instagram. Giovanni è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.

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