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Com'è cambiata Milano un anno dopo Expo

Un anno fa tutta Italia era in fibrillazione per l'apertura di Expo 2015. Ma a distanza di un anno, cosa rimane dell'esposizione e com'è cambiata Milano? Abbiamo cercato di capirlo.

Il decumano durante Expo. Foto di

Stefano Santangelo

Non so se ve ne ricordate, ma un anno fa Milano era in fibrillazione per l'imminente apertura di Expo 2015. Dopo mesi in cui il tema aveva dominato ogni genere di dibattito, con l'avvicinarsi di maggio chiunque vivesse a Milano era sempre più impaziente di vedere la manifestazione per quello che era: come se in un certo senso, più che Expo in sé, fossero sempre state importanti le sue conseguenze e gli strascichi che si sarebbe portato dietro. E questo—almeno a mio parere—per tutti, a prescindere dall'essere favorevoli o contrari all'evento.

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Ovviamente, già ben prima dell'inizio di Expo si erano levate diverse critiche nei confronti della manifestazione, concentrate prevalentemente sull'aspetto economico—in particolare, sul fatto che presumibilmente sarebbe stato un evento in perdita come tutte le Expo dal 1992 a questa parte—oltre che sui conflitti di interessi e i sospetti di infiltrazioni mafiose.

Tutto questo aveva portato alla nascita di un forte movimento No Expo, che forse verrà ricordato solo per gli scontri del 1 maggio a Milano ma che nei fatti a volte è riuscito a farsi valere e a ottenere dei risultati—come ad esempio l'abbandono, dopo grandi proteste di No Expo e comitati dei residenti, del controverso progetto sulle vie d'acqua, che tra l'altro era stato una delle caratteristiche con cui Milano aveva strappato a Smirne l'assegnazione dell'esposizione.

Ma a contestare Expo prima ancora del suo inizio non erano stati solo i No Expo. La stampa estera, per esempio, aveva più volte espresso scetticismo sull'esposizione. La Frankfurter algemeine Zeitung l'aveva definita "un'orgia di spreco di materiali organizzata in dimensione epocale," e un'occasione per "nutrire il pianeta" andata persa tra sprechi, mafia e corruzione. Anche il Guardian aveva stroncato l'evento, definendo la manifestazione "la più controversa mai organizzata in Europa."

Tutte queste critiche erano state prontamente rispedite al mittente, mentre fin dai primi giorni la lunghezza delle file ai tornelli e all'ingresso dei padiglioni era diventata un emblema della manifestazione—e nella retorica expottismista, la principale prova del suo successo. Tramite l'ironia sulle code che "fanno sembrare veloci quelle alle poste," le "scritte virali" sui muri del padiglione del Giappone e il tormentone della coppia al padiglione del Kazakistan, Expo e il successo di Expo erano diventati una forma di intrattenimento, l'altra faccia della medaglia rispetto alle dichiarazioni entusiaste della politica che ne avevano accompagnato tutto lo svolgimento.

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Per tutta la durata dell'evento, mentre questo si rivelava—a detta del capo degli expottimisti Giacomo Biraghi—"un grande successo pop sui social," il premier Renzi aveva continuato a spingere Expo con decine di tweet di incoraggiamento e bordate contro i gufi.

Centomila persone al giorno all'Expo. E i soliti che si auguravano il flop? spariti! Viva l'Italia che non si arrende, mai — Matteo Renzi (@matteorenzi)11 agosto 2015

A un anno di distanza dall'inaugurazione di Expo, ci è sembrato il momento giusto per guardare alla manifestazione e alle sue conseguenze.

EXPO È STATO UN SUCCESSO?

Prima della manifestazione, quando ancora si discuteva se questa sarebbe stata un fiasco o se invece avrebbe rilanciato l'economia nazionale, i pareri positivi si basavano prevalentemente su uno studio del 2010 realizzato dall'Università Bocconi proprio per conto di Expo 2015 Spa allo scopo di valutare i principali impatti economici generati dalla manifestazione sul territorio nazionale.

Secondo questo studio, l'evento avrebbe generato un'occupazione diretta, indiretta e indotta pari a circa 61mila persone occupate in media ogni anno nel decennio 2011-2020, con un picco di 130mila occupati all'anno nel triennio 2013-2016. Anche la produzione e il gettito fiscale ne avrebbero beneficiato in modo ingente. Dopo la fine della manifestazione, però, si è visto come queste stime fossero troppo ottimistiche: uno studio condotto dai ricercatori dell'Università Ca' Foscari di Venezia Jerome Massiani e Giorgia Pizzali ha evidenziato infatti come "la spesa addizionale generata dall'Esposizione universale sarebbe di soli 1,3 miliardi di euro e non di 4 miliardi come stimato nel 2010" e come almeno una parte di questa spesa sarebbe stata realizzata comunque nell'economia locale, anche in assenza dell'evento.

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Secondo i ricercatori, insomma, pur essendo stato un successo a livello di immagine, i benefici economici di Expo e post-Expo sarebbero discutibili. Inoltre, nonostante si proponesse di essere il biglietto da visita dell'Italia nel mondo, l'evento avrebbe in realtà intercettato una domanda nazionale se non addirittura regionale. Anche i benefici post-Expo sarebbero in forse, visto che come dimostrano numerosi casi di Expo passati "l'impatto sul turismo è incerto" dopo la fine dell'evento. E lo stesso discorso sembra valere per l'investimento diretto estero.

Anche la soglia minima dei 20 milioni di visitatori—usata spesso per ribattere alle critiche mosse alla manifestazione—sarebbe in realtà poco significativa. "Per quanto riguarda la biglietteria, l'attenzione si è focalizzata sul superamento della soglia dei 20 milioni [di visitatori]," ha affermato Massiani, uno degli autori dello studio, ma "la variabile chiave per sapere se gli obiettivi sono stati raggiunti sarà il ticket medio, di cui finora si è poco discusso."

I CONTI DI EXPO

Giuseppe Sala, l'ex manager di Expo che sull'onda della manifestazione ha letteralmente costruito la sua carriera politica arrivando a essere il candidato del PD per le prossime elezioni comunali di Milano, non ha ancora divulgato il bilancio finale di Expo 2015 Spa, la società che ha gestito l'evento e che a giugno si scioglierà lasciando tutto in mano a un'altra azienda, Arexpo.

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Al riguardo, numeri e stime si sono rincorsi in modo piuttosto caotico ed è davvero difficile capire come stiano effettivamente le cose. Sala ha assicurato più volte che "non ci sono buchi"—anche se Expo 2015 Spa ha chiuso il bilancio 2015 con un rosso di 32 milioni di euro—perché "conta solo il patrimonio netto" ma pur respingendo e definendo "preoccupante disinformazione" le accuse di aver lasciato un buco nei conti di Expo ha ammesso che si poteva fare di meglio.

Intanto, lo scorso 21 marzo è stata costituita una commissione d'inchiesta con il compito di approfondire tutta la gestione dell'evento, mentre proprio pochi giorni fa, dopo diversi rinvii, si è saputo che per vedere il bilancio definitivo della manifestazione dovremo aspettare giugno—ossia, dopo le elezioni per il sindaco di Milano.

Secondo le stime di Massiani, i ricavi della manifestazione sarebbero stati inferiori alle attese di circa 200 milioni di euro, soprattutto per colpa dei ricavi di biglietteria, che dovrebbero ammontare a 373 milioni di euro totali (21,4 milioni di visitatori per un prezzo medio di 17 euro a biglietto) invece dei 408 milioni stimati inizialmente. Il patrimonio netto finale però sembra essere in attivo di 14 milioni di euro, il che significa che c'è stato un risparmio rispetto ai soldi stanziati.

Dunque, per ora quello che sembra appurato è che l'esposizione universale di Milano non è stata un fiasco completo come, ad esempio, quella di Hannover nel 2000—che con un numero simile di visitatori (18 contro 20 milioni) ma a fronte di spese molto maggiori (1,8 contro 0,7 miliardi di euro) aveva lasciato un buco di oltre un miliardo.

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CHE FINE FARANNO I TERRENI DI EXPO?

Le torri di Cascina Merlata. Foto di

Stefano Santangelo

Ma se la apparente solidità dei conti di Expo è sicuramente un risultato positivo, la cosa ancora più importante è quello che verrà dopo: il destino delle strutture costruite per l'esposizione. Fin dall'inizio si sapeva che questo aspetto—la questione dei terreni—sarebbe stato tra i più problematici. Eppure i primi discorsi sul post-Expo sono arrivati solo quando la manifestazione era già vicina al temine.

Già a pochi giorni dalla fine della manifestazione era chiaro che Arexpo—l'azienda nata nel 2011 per acquistare i terreni dove sarebbe sorto Expo, che prima erano di proprietà della Fondazione Fiera Milano e del gruppo Cabassi—avrebbe dovuto essere liquidata, visto che era indebitata per 315 milioni di euro con diverse banche, in primis Intesa San Paolo. Il capitale sociale di Arexpo, in cui il governo si è impegnato a entrare per 50 milioni di euro, è inferiore persino al valore dei terreni su cui è sorta l'esposizione, che a loro volta sembrano non essere poi così appetibili nemmeno per gli speculatori immobiliari.

In tutto questo, manca ancora un progetto per il riutilizzo del sito. I lavori per smantellare i padiglioni proseguono a rilento e nel frattempo, per prendere tempo, è arrivato l'annuncio che questo verrà riaperto come grande parco con "mostre, sport e street food." Anche le dichiarazioni di Renzi sul fantomatico "Human Technopole," un polo della ricerca "di rilevanza mondiale" da realizzare con un investimento di 1,5 miliardi di euro in dieci anni, da lui definito "un progetto petaloso," a ben vedere sembrano lasciare il tempo che trovano.

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Stando al premier, il nuovo polo della ricerca dovrebbe nascere grazie all'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che per realizzarlo dovrebbe avere a disposizione 150 milioni di euro all'anno per dieci anni. Secondo la senatrice a vita Elena Cattaneo, si tratterebbe però di un progetto evidentemente nato dall'"ispirazione estemporanea di un giorno," visto che l'IIT è una fondazione di diritto privato che già da un decennio beneficia di finanziamenti di entità simile e che finora si è solo limitata a incassarli e metterli da parte. Come ha scritto Cattaneo, inoltre, "per pianificare l'investimento decennale di un miliardo e mezzo di risorse pubbliche è bastata l'urgenza di mettere 'una toppa glamour' al dopo Expo."

COM'È CAMBIATA LA CITTÀ?

Il cantiere della nuova Darsena nel marzo 2015. Foto di

Stefano Santangelo

Ma oltre alla questione di cosa si costruirà sui terreni dove si è tenuta l'esposizione, c'è anche quella di ciò che si è già costruito e dell'impatto che ha avuto materialmente Expo su Milano in termini di modifiche al suo tessuto urbano.

Da questo punto di vista, Milano appare sì cambiata: c'è la nuova Darsena, c'è Porta Nuova, ci sono un po' ovunque nuovi grattacieli o palazzoni residenziali e c'è persino una nuova linea della metropolitana. Il fatto è che non tutti questi progetti sono stati direttamente collegati a Expo—anzi, se mai lo è stata solo una minima parte. Per la maggior parte, infatti, si trattava di progetti di riqualificazione urbana legati alla giunta Moratti e che Marianna D'Ovidio, professoressa di sociologia urbana al Politecnico di Milano, considera intrinsecamente gentrificanti.

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In una vecchia intervista a VICE proprio sul tema di cosa avrebbe guadagnato Milano dalla manifestazione, D'Ovidio aveva affermato che tutti questi progetti—il più evidente è quello che ha interessato la zona dell'Isola—sono nati per la volontà della giunta Moratti di richiamare a Milano popolazione "ricca, che usa servizi privati e che magari è sempre all'estero e non sporca." "Dal punto di vista urbanistico," aveva concluso D'Ovidio, "la città non guadagna niente."

Nonostante questo, a prendersene il merito è stata la giunta Pisapia e il PD li sta addirittura utilizzando per sua campagna elettorale: nelle ultime settimane, infatti, sono comparsi dei manifesti in favore di Beppe Sala in cui, sopra la scritta "Ti ricordi com'era prima?" fanno bella mostra delle foto che mostrano Porta Nuova e la Darsena prima e dopo. Manifesti che hanno ovviamente scatenato l'ira del centrodestra: "A livello commerciale è una pratica da denuncia. Porta Nuova l'hanno fatta loro? Tra un po' anche il Duomo l'hanno fatto loro," ha detto Pietro Tatarella, capogruppo di FI a Palazzo Marino, affermando che il suo partito stava valutando "se ci sono gli estremi per un'azione legale."

Insomma, gli interventi più rilevanti non erano stati pensati per Expo. Di quelli realizzati sotto la stella della manifestazione, invece, spicca il caso del Mercato Metropolitano con cui era stato riqualificato lo scalo ferroviario di Porta Genova e che avrebbe dovuto dare al quartiere "un respiro internazionale." Dopo il successo iniziale e il prolungamento, qualche settimana fa sono arrivati gli ufficiali giudiziari per fare l'inventario dei beni da pignorare visto che la società che lo gestiva è sommersa dai debiti e sulla via del fallimento.

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IL "PIL DI EXPO"

Un servizio di Repubblica.it del maggio 2015, in cui diversi commercianti milanesi si lamentano del mancato indotto portato da Expo

La questione del Mercato Metropolitano apre le porte a un altro tema del discorso sul successo/fallimento di Expo: l'effetto che la manifestazione ha avuto sull'economia cittadina.

Uno studio realizzato nel 2013 da Alberto Dell'Acqua, Giacomo Morri ed Enrico Quaini per conto della Camera di Commercio e di Expo 2015 Spa stimava il cosiddetto "Pil di Expo" in circa 10 miliardi di euro generati negli anni immediatamente successivi e precedenti la manifestazione. Di questi dieci miliardi, quattro erano quelli derivanti dall'allestimento e dalla gestione dell'evento mentre sei erano quelli stimati della "legacy" ossia l'effetto a lungo termine di Expo sul turismo italiano. Anche in questo caso, però, non ci sono dati precisi per sapere se e quanto vadano ridimensionate queste stime—e i pochi che ci sono sembrano essere in contraddizione tra loro.

Ad esempio, per quanto riguarda il turismo, secondo il Comune di Milano questo sarebbe aumentato del 20 percento nei primi quattro mesi di Expo, da maggio ad agosto 2015. Proiettando queste cifre sull'intero periodo della manifestazione, l'indotto stimato per la città sarebbe di circa un miliardo di euro. Eppure, tranne in poche zone centrali, gli albergatori e i ristoratori milanesi hanno riferito di aver visto una riduzione del fatturato anche del 30 percento.

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Secondo molti commercianti milanesi, Expo ha giovato solo in minima parte alle attività commerciali di Milano. Più che altro per motivi logistici: l'evento era situato in periferia e l'interesse dei visitatori rimaneva concentrato lì, senza spostarsi sul resto della città. Lamentele di questo tipo sono arrivate anche da ristoratori e albergatori di città vicine a Milano, come Novara e Como, che speravano in un "effetto Expo" per il turismo locale ma che sono rimasti delusi.

L'EREDITÀ POLITICA DI EXPO

Il corteo del Primo Maggio a Milano. Foto di

Stefano Santangelo

Mettendo da parte gli aspetti economici, forse i più grandi cambiamenti portati da Expo a Milano sono stati di tipo politico—e sono proprio il genere di cambiamenti che potrebbe influenzare lo sviluppo cittadino per gli anni a venire.

Da questo punto di vista, conclusasi definitivamente l'esperienza della "rivoluzione arancione" di Pisapia, la politica milanese sembra esser stata consegnata completamente nelle mani dei manager, con la candidatura alle prossime comunali di Sala e Parisi rispettivamente per il centrosinistra e per il centrodestra.

Mentre la candidatura di Sala è stata presentata come il naturale proseguimento politico di Expo con l'estensione all'intera città di un modello gestionale, quella di Parisi è arrivata quasi per reazione dopo che il centrodestra non era riuscito a trovare una figura puramente politica abbastanza carismatica su cui puntare.

Le somiglianze tra i due sono effettivamente impressionanti: entrambi sono manager prestati alla politica ed entrambi sono stati direttori generali del comune sotto giunte di centrodestra—quella Moratti nel caso di Sala, quella Albertini nel caso di Parisi. Da questo punto di vista, secondo Alberto Di Monte la principale eredità di Expo è un "modello di governance dei territori, dei conflitti, dei cambiamenti nel rapporto pubblico/privato."

A un anno di distanza, infatti, gli aspetti della manifestazione che le sono sopravvissuti sono proprio quelli che avevano attirato le maggiori controversie prima della sua apertura: le "innovazioni" in materia contrattuale, di licenziamenti e di gratuità del lavoro, la gestione manageriale trasformata in modello politico, il cosiddetto "modello Milano" esportato anche ad altri contesti come il Giubileo a Roma. Tutto questo insieme a una grande confusione fatta di proclami e di numeri spesso in contraddizione tra loro. Il tema della sostenibilità, invece, che avrebbe dovuto essere il fulcro della manifestazione e la vera eredità di Expo—anche grazie alla Carta di Milano, sponsorizzata da Barilla e firmata da capi di stato e ministri—è stato presto dimenticato.

In definitiva, da un anno a questa parte Milano è senza dubbio cambiata moltissimo—in positivo o in negativo, è qualcosa di cui si può discutere. Ma mentre questo cambiamento avveniva per tutta una serie di fattori, progetti e circostanze particolari, la sua responsabilità veniva attribuita interamente a Expo. La reale eredità della manifestazione, al netto dei proclami e dell'attuale contingenza politica, inizieremo a vederla solo tra qualche anno—e potrebbe essere molto diversa da come ce l'hanno raccontata finora.

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