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Tweet non necessari sulla morte di Mango

A quanto pare, c'è chi crede che avere un nome che si "presta" alle battute implichi il doverne fare il più possibile. Per capirlo, basta dare un'occhiata alla vostra homepage di Facebook o la timeline di Twitter.

​Foto via ​Wikimedia.

Domenica 7 dicembre, come tutti quelli che hanno una televisione, una connessione internet o qualsiasi altro tipo di contatto diretto con la realtà sapranno, è morto il cantante Giuseppe Mango. Durante un concerto che stava tenendo a Policoro, in provincia di Matera.

Uno degli spettatori in platea stava girando​ un video con il telefono, e quindi su molti giornali online, quasi immediatamente dopo il decesso, era possibile vedere la scena in cui Mango interrompe la canzone che stava cantando, si scusa brevemente con il pubblico, e poi si accascia sul pianoforte. Durante i due minuti del video si sente chiaramente un uomo che commenta "la morte in diretta!"

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Il giorno successivo, durante la veglia funebre, anche il fratello maggiore di Mango, Giovanni, è stato colto da un malore ed è morto, e pare che in seguito anche gli altri due fratelli, appresa la notizia, si siano sentiti male.

La diretta del malore di Mango, però, non ha generato solo i classici esempi da feticismo della morte sui media: sui social ha nuovamente preso vita quell'hydra ad infinitesimali teste di commenti ironici e commiati sentiti che nasce praticamente ogni volta che una persona famosa muore.

Dopo poche ore dalla notizia la pagina dell'hashtag #Mangomorto era già piena di tweet, e il decesso del fratello maggiore non ha fatto altro che gettare kerosene sulla cosa. Il focolaio di commenti e battute mi ha ricordato quello che aveva preso forma dopo la  ​morte di Paul Walker, esattamente un anno fa.

Basta dare una rapida scrollata alla pagina di #Mangomorto per identificare i cariotipi social che si uniscono alla processione.

Ci sono i sentimentali, che rappresentano uno dei due grandi poli di commenter:

Se ne è andato mentre cantava la sua canzone più bella. Se possibile questo rende tutto ancora più atroce — Massimo Longoni (@lomax72)December 8, 2014

Quelli che non vorrebbero partecipare, ma inesorabilmente partecipano:

non parteciperò anche io al circo mediatico sulla morte di — MarioLeopoldo Scrima (@polvio)8 Dicembre 2014

Quelli che uniscono al commento delle riflessioni politiche a caso o instillano dubbi:

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Ieri — Nando Morra (@NandoMorra)December 9, 2014

Muore anche il fratello di Mango. Coincidenza? — Giuseppe Guerrasio (@lobotomiatbm)9 Dicembre 2014

E poi ovviamente ci sono quelli che twittano frasi ironiche, il più delle volte con lo stile e la finezza umoristica di Pippo Franco, e che rappresentano l'altro grande polo di commentatori. Solitamente le loro battute generano altri tweet di indignazione, ed esemplificano più di tutti il ronzio di fondo che è possibile udire mentre si scorre la pagina di hashtag come #Mangomorto:

Povero

— L ▲ (@Lilpfdt)

9 Dicembre 2014

Non ne è rimasto

— Vittorio Bruno (@Vittobru)

9 Dicembre 2014

— Rainbow (@TheDarkMemory_)

9 Dicembre 2014

È morto il fratello di

— Nello Alfieri (@DeNelloGallico)

9 Dicembre 2014

Dopo Pino

— Tasky (@claudiotaschera)

9 Dicembre 2014

Mango, tragedia nella tragedia: pronto un album postumo zeppo di inediti.

— Marco Centonza (@MARK_killsound)

9 Dicembre 2014

Muore anche il fratello di Mango, eppure Ramsey non aveva fatto doppietta.

— Francesco Burlando (@BoomCipo)

9 Dicembre 2014

Si sta come d'autunno sugli alberi di

— SaSo (@DarkWingHero)

9 Dicembre 2014

Il mondo si divide tra quelli che fanno battute su

— Andrea Ant (@_Andrea_Ant)

9 Dicembre 2014

Quasi tutti i tweet utilizzano decisivi giochi di parole sul nome di Mango, come se il fatto stesso di avere un nome che si "presta" a battute implicasse, e anzi rendesse obbligatorio, il doverne fare il più possibile.

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Forse ormai chiedersi il perché di questi fenomeni non ha senso, visto che nascono e prolificano sproporzionatamente, per poi spegnersi all'improvviso, con una rapidità che non lascia spazio a ragionamenti logici. Formulare questi commenti dopo fatti del genere, siano essi ironici o seri/sentimentali, è diventato quasi un meccanismo spinale. Il corrispettivo del riflesso patellare su Twitter.

Il punto è che questa roba non ha niente a che fare con il moralismo, l'indignazione o l'opportunità dello humor nero. Perché chi twitta non si è mai posto nessuna domanda in merito, l'ha semplicemente fatto. "Ehi è morto un tizio che si chiama come un frutto!"

Questa mattina, mentre facevo colazione e scorrevo la home di Facebook, mi è capitato di leggere l'ennesima battuta:

"Mango: morti anche i due cani e il gatto. Una strage che non vuole finire.
Se in questo momento stai ridendo, sei un mostro.
Se non stai ridendo e sei indignato sei un coglione."

Non se ne esce in nessun modo, insomma.