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La mia vita da cuoco italiano a Hong Kong

Avete presente quelle storie di giovani italiani che si sono trasferiti in Asia e hanno ottenuto opportunità lavorative e stipendi che nel nostro paese non si sognavano nemmeno? Quelli che "ce l'hanno fatta all'estero"? Ecco, io sono uno di loro.

Tutte le foto per gentile concessione di Yuri Liuzzo.

Avete presente quelle storie di giovani italiani che si sono trasferiti dall'altra parte del mondo e hanno ottenuto opportunità lavorative e stipendi che nel nostro paese non si sognavano nemmeno? Quelle di cui solitamente si legge in certi articoli dei quotidiani locali su chi "ce l'ha fatta all'estero"? Ecco, io sono uno di loro.
Da più di un anno infatti mi sono trasferito a Hong Kong, e già a 25 anni sono a capo di una brigata di sette persone nella cucina di un ristorante piuttosto importante. Dopo essermi diplomato in un istituto alberghiero della mia città, per anni ho fatto esperienze lavorative in giro per la mia regione, la Toscana, nei ristoranti di Firenze e dell'Isola d'Elba, in vari alberghi, e per diversi catering. Ma dopo tutto quel tempo volevo qualcosa di diverso, un'opportunità lavorativa che mi permettesse di fare un salto di qualità, e per questo stavo cercando anche fra le offerte all'estero.

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Il caso ha voluto che un cliente italiano del ristorante in cui lavoravo avesse aperto un locale a Hong Kong, e quando abbiamo avuto occasione di parlarne mi ha subito chiesto se sarei stato disponibile a trasferirmi là per lavorare con lui. Credo di non averci pensato nemmeno un giorno, e una settimana dopo ero già sul volo per Hong Kong. Venendo da una piccola realtà di provincia, l'impatto con la città è stato piuttosto forte; pur non essendo grande come Pechino, Hong Kong mi sembrava veramente enorme, e anche le cose più quotidiane, come la metro che dall'aeroporto ti porta direttamente nel centro della città, mi facevano impressione. Nonostante questo poi è una città in cui c'è veramente tutto: a poca distanza ci sono sia spiagge bellissime se vuoi passare una giornata al mare, che sentieri di montagna.

Ma più di tutto, nel primo periodo sono rimasto colpito dalle persone e da quanto è semplice ambientarsi: la cultura asiatica mi era sempre sembrata piuttosto distante, quindi inizialmente pensavo che avrei dovuto abituarmi e prendere le misure prima di sentirmi veramente a mio agio. In realtà fin da subito mi sono accorto che bene o male i rapporti umani non erano meccanici come immaginavo, anzi. La quasi totalità parla molto bene l'inglese, quindi comunicare da questo punto di vista è piuttosto facile, e il loro stile di vita non si differenzia quasi per niente da quello degli europei.

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In città, poi, ci sono circa 3000 italiani, e visto che il mio primo titolare era lì da tempo mi ha fatto conoscere i locali più frequentati dagli italiani, dove ho incontrato alcuni amici che come me si sono trasferiti per lavoro e che frequento durante il tempo libero.

Le differenze sostanziali le ho in realtà notate sul lavoro. Inizialmente non me ne sono reso conto, perché lavorando in un ristorante italiano, ed essendo sostanzialmente solo io a mandare avanti la cucina, il mio stile era identico a quello che utilizzavo in Italia: i piatti erano quelli classici da ristorante all'estero, quelli a cui ero più abituato. Ma dopo sette mesi ho ricevuto un'altra offerta da un ristorante non italiano—e gli hongkonghesi hanno un gusto molto più delicato del nostro. I loro correttori di sapori sono piuttosto limitati, e difficilmente apprezzano quelli che spingono molto: anche sul sale, ad esempio, bisogna stare molto attenti.

Il mio modo di lavorare quindi è cambiato, anche se non sono ancora riuscito a capire come questa inclinazione si sposi con la loro fissazione per i pipistrelli essiccati che si trovano appesi a testa in giù alle bancarelle in strada. Il cambio poi l'ho notato anche dal punto di vista dell'organizzazione e dell'impostazione, visto che collaboro con una brigata di sette cuochi, tutti hongkonghesi, e ho dovuto imparare come organizzare anche il loro lavoro. I ritmi lavorativi asiatici sono piuttosto intensi: il primo mese che ho passato a Hong Kong ho praticamente sempre e solo lavorato, non prendendomi nemmeno un giorno di vacanza. Di media adesso lavoro dieci ore al giorno, ma non è solo la quantità delle ore, quanto la tensione da sostenere.

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I datori di lavoro sono estremamente esigenti, e molto attenti ai profitti, quindi devi lavorare al massimo non solo qualitativamente ma anche facendo attenzione a produrre risultati. Il mercato del lavoro è molto mutevole infatti: trovare lavoro a Hong Kong è piuttosto semplice, ma perderlo lo è altrettanto. Da questo punto di vista l'approccio è molto simile a quello degli Stati Uniti, e puoi essere licenziato in qualsiasi momento.

Quindi cercando di dare un'idea del futuro lavorativo che un italiano dovrebbe aspettarsi venendo qui mi sento di consigliare una maggiore apertura mentale, perché puoi ritrovarti in un luogo di lavoro diverso da una settimana all'altra. Gli stipendi ovviamente sono molto più alti rispetto all'Italia, e sono anche più alti rispetto a quelli dei cuochi hongkonghesi se sei un lavoratore che arriva dall'estero, ma in tutto questo bisogna anche calcolare il costo della vita, che è veramente alto. Se non vuoi abitare fuori mano, per un appartamento minuscolo con il bagno incluso nella camera da letto puoi arrivare a pagare affitti altissimi. Da questo punto di vista forse lo sforzo maggiore è stato quello di abituarmi agli spazi angusti: nelle città asiatiche ogni metro quadrato è ottimizzato, e all'inizio la sensazione è quasi claustrofobica. È sicuramente uno dei lati negativi peggiori.

Yuri con la sua ragazza.

I giovani hongkonghesi invece sono abbastanza diversi da come me li aspettavo: sono piuttosto viziati ed escono di casa praticamente solo il fine settimana per andare nei locali, altrimenti passano quasi tutto il loro tempo in famiglia anche se sono piuttosto benestanti. Hanno un bagaglio di esperienze un po' limitato rispetto al nostro, e la famiglia tende ad indirizzarli fortemente verso lo studio fin da subito perché il lavoro manuale viene poco considerato. La vita notturna però è veramente piacevole: ci sono interi quartieri letteralmente pieni di locali in cui passare il tempo, e le persone si divertono tranquillamente, come dicevo, perché pur essendo una grande città Hong Kong è anche estremamente sicura. In uno di questi quartieri un giorno ho conosciuto la mia attuale ragazza: era il mio giorno libero e l'ho vista per strada.

Non ero ancora a mio agio con l'inglese, ma ho cercato di fermarla e mi sono messo a parlare; anche lei lavorava nella ristorazione in un locale di Macao, così abbiamo deciso di uscire una sera e dopo poco tempo ci siamo fidanzati. È stata lei, con il tempo, a insegnarmi veramente l'inglese, a farmi conoscere bene la città. Adesso sta anche tentando di insegnarmi il cantonese.

Questo lo sto facendo anche perché so che il mio futuro prossimo è sicuramente qui, magari non a Hong Kong, ma sicuramente in Asia. Mi sto trovando meglio di quanto pensassi, e anche se penso che alcuni mercati, come quello canadese o quello australiano, potrebbero in futuro interessarmi di più, credo che per i prossimi anni continuerò la mia esperienza. Anche perché gli italiani vanno un botto da queste parti. Segui Niccolò su Twitter

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