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Il documentario Netflix su Amanda Knox è esattamente come se lo aspettavano tutti

Alla fine è comparso sull'homepage Amanda Knox, il documentario di Netflix sull'omicidio di Meredith Kercher a Perugia e sul processo che ne è seguito. L'abbiamo guardato, e questa è la nostra recensione.

Gif dal trailer.

Alla fine stamattina è comparso sull'homepage Amanda Knox, il documentario di Netflix sull'omicidio di Meredith Kercher a Perugia e sul processo fiammeggiante che ne è seguito.

Era un documentario parecchio atteso per un sacco di motivi: è la prima volta che Amanda Knox rilascia un'intervista video dalla fine del processo, il caso era un omicidio di natura sessuale che ha avuto una copertura media internazionale e—non ultimo dei motivi—Amanda Knox è una cittadina statunitense che si è messa nei guai nell'esotico luogo di Perugia. Non solo, è anche giovane ed è anche bianca, incarna bene un certo ideale di brava ragazza USA di buona famiglia che gli americani non si stancano mai di coltivare ed esportare. Una figura quasi mitologica da proteggere a ogni costo, su cui hanno trovato parecchi modi di ossessionarsi.

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Infatti la stampa americana è andata in iperventilazione fin dai primissimi giorni dell'indagine, e ha conservato fino alla fine un discutibile atteggiamento di ostilità nei confronti del processo che si stava svolgendo.

È abbastanza facile, insomma, capire che potenziale ha visto Netflix nella storia. E ovviamente non si è limitata a vederci del potenziale: il documentario è figo e divertente, quel tipo di divertimento che poi ti fa sentire una persona orribile per esserti divertito (noto anche come il miglior tipo di divertimento).

Grab dal trailer.

Effettivamente c'è una struttura narrativa molto forte, più simile a quella di un film che di un documentario: il primo elemento è la protagonista presentata come bella e ambigua, un po' ragazzina ingenua un po' anaffettiva-morte-sesso, praticamente Laura Palmer. Infatti è questa la cifra della storia per tutto il tempo, uno spin off di Twin Peaks nel Centro Italia dove abbondano le inquadrature bucoliche di Perugia e persino la dinamica dei personaggi è lynchana. Anche qui c'è Dale Cooper, cioè un elemento esterno arrivato a condurre le indagini: qui questo ruolo è ricoperto dal giornalista inglese del Daily Mail che arriva a Perugia per coprire la storia e aiuta lo spettatore nel suo piccolo Un Giorno in Pretura personale. L'altra "faccia" delle indagini, quella local, è il pubblico ministero Mignini, le cui occupazioni principali a giudicare dal documentario sono essere credente in Dio, sembrare proprio italiano e fumare la pipa.

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Emerge anche abbastanza intensamente il fatto che il tutto sia rivolto a un pubblico soprattutto americano. C'è parecchia attenzione, per esempio, a sovvertire quell'idea da dopoguerra di sole, spaghetti, povertà e violenza sulle donne che l'americano medio trova così romantica e affascinante e dargli un improvviso tono dark e sordido. Questo perché i posti fuori dagli Stati Uniti sembrano sicuri, ma ricordate, fellow Americans che magari avreste pure votato Bernie Sanders, che in realtà lì fuori è una jungla. Infatti si calca parecchio la mano su una supposta incertezza dei metodi processuali italiani, spingendo proprio su quel disorientamento dell'opinione pubblica USA rimasta con i suoi Big Mac a mezz'aria quando è venuta sapere che una brava ragazza americana era stata arrestata e buttata in cella in questo Paese sì europeo, ma comunque non-americano, quindi ufficialmente terzo mondo.

Proprio questo distacco nei confronti della nostra realtà permette che tutta la storia sia un po' modellata: gli italiani ossessionati dal "fare bella figura" quasi intimiditi dalla femminilità aggressiva di questa Donna Americana Emancipata, l'investigatore vecchio stampo amante di Sherlock Holmes ma non delle moderne tecnologie in fatto di indagini e dna, la stampa affamata, Sollecito dissoluto studente di buona famiglia che addirittura possedeva una macchina e si faceva delle canne.

Non so se la vicinanza geografica e quindi ai fatti raccontati ha reso così evidente ai miei occhi la struttura di intrattenimento che ci è stata montata sopra, ma non riesci a dimenticare neanche per un momento che stai assistendo a un racconto.

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Non che questo sia necessariamente un male.

La cosa più evidente è che non è la verità sulla vicenda il punto del documentario (nebbia perenne a parte), ma d'altronde è difficile che ci sia qualcosa in grado di rendere la verità meglio degli atti processuali.

Il fatto era del resto chiaro già dal doppio trailer, un'idea—bella—pensata per difendersi da subito da eventuali cagnare seguite a una distribuzione mainstream di un prodotto su un argomento così "sensibile". A ulteriore dimostrazione di questo c'è il fatto che a Rudy Guede, unico condannato finale dell'omicidio Kercher, e quindi figura discretamente sostanziale, viene dismesso in pochissimo dall'economia della storia. Anzi: viene detto esplicitamente e ad alta voce che i media non trovavano "nessun interesse" nella figura di Guede che, chiaramente per lui, era abbastanza lontana da quello che classificheresti come "una ragazza bianca". Il focus rimane sempre e soltanto Amanda, visto che l'unico interesse rimane costruire la sua figura.

Questo non rende il documentario brutto o detestabile: alla fine è l'unico elemento di quasi-onestà nei confronti della storia che mi sembra che si mantenga. Nonostante una forte e ovvia prospettiva innocentista di base, non c'è nessuna pretesa di fornire un'interpretazione legale da un racconto fatto apposta perché le persone lo guardino sprofondate nei propri divani. Diciamo che a differenza di molte persone che conosco come me e Massimo D'Alema, mi sembra che qui ci sia della capacità di ammettere i propri limiti.

Questo per dire che stiamo parlando di un documentario godibile, come ce ne sono di parecchi altri persino made in USA e che quasi sicuramente piacerà un sacco al suo pubblico principale—cioè gli americani, ma questo solo perché loro non subiscono la concorrenza dei veri giocatori di peso che abbiamo, dai vari Chi l'ha Visto alla Leosini, che, dal punto di vista investigativo, a Netflix fanno mangiare la polvere.

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