A Berlino c'è una scuola che vuole riportare i migranti nel mondo digitale

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Tecnologia

A Berlino c'è una scuola che vuole riportare i migranti nel mondo digitale

ReDi è una 'scuola di integrazione digitale', e vuole ridare internet e l'informatica ai migranti arrivati in Germania.

Una foto di gruppo alla chiusura del primo ciclo di lezioni di ReDi. Tutte le foto per gentile concessione di ReDi.


"Sento che è arrivato il momento di tornare al passato, all'informatica, al coding. Ecco perché oggi mi trovo qui."

Lui è Akram, ha 25 anni e viene da Damasco. Attualmente si trova a Berlino, dopo essere arrivato in Europa nel settembre 2015. Un lungo viaggio, mille difficoltà e la frustrazione di doversi lasciare tutto alle spalle, compreso quel percorso di studi per cui ha speso soldi e fatica. Ad Akram mancava infatti un anno per laurearsi in ingegneria informatica. Oggi vuole riappropriarsi delle sue vecchie competenze informatiche un po' arrugginite, rinfrescarsi la memoria e riprendere da dove ha interrotto il suo percorso di aspirante programmatore.

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Un gruppo di ragazzi di Berlino sembra avergli offerto la soluzione. Si chiama ReDI— Readiness and Digital Integration—è una scuola no-profit messa in piedi a febbraio per formare sviluppatori di software tra i rifugiati berlinesi. Corsi settimanali, visite in azienda e convenzioni di vario tipo con le principali realtà informatiche tedesche per favorire un inserimento lavorativo al termine dei corsi. Un doppio modello di integrazione digitale e formazione professionale che in pochi mesi ha già raccolto decine e decine di studenti.

Akram: ha 25 anni, viene da Damasco, e ora vive a Berlino—Frequenta ReDi.

"Mi trovavo in un campo profughi quando ho letto un articolo sulla Redi School," mi racconta Akram. "Poi a novembre ho incontrato Anne e ho deciso di intraprendere questo percorso." Anne Riechert: biondissima, danese, e Managing Director della scuola. La sua idea è doppiamente innovativa. Da una parte, valorizza le abilità informatiche di chi queste abilità già le possiede ma non ha avuto modo, una volta arrivato in Europa, di avere accesso ai mezzi informatici. Dall'altra, forma nuovi programmatori pronti ad andare a coprire l'enorme buco di 43mila posti vacanti che caratterizza il settore IT tedesco.

"Abbiamo iniziato a interrogarci sul ruolo che può giocare la tecnologia per migliorare la vita dei rifugiati," mi spiega Anne quando la contatto su Skype. "Poi ho incontrato un programmatore iracheno, Mohammed, e mi ha raccontato che dopo tre anni di studi informatici ha dovuto abbandonare tutto perché in Europa non aveva con sé né un laptop né un accesso a internet. Questo è ridicolo."

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Da qui l'idea di una scuola capace di valorizzare questi talenti, plasmarli in funzione delle necessità del settore IT tedesco e dare loro i mezzi per una reale integrazione tanto sociale quanto professionale. "Tra i rifugiati ci sono infinite figure talentuose che hanno bisogno di un lavoro," mi spiega Anne, "Allo stesso tempo, la Germania ha aziende tecnologiche con un disperato bisogno di questi stessi talenti." La ReDi School è il ponte tra queste due realtà.

Il linguaggio di programmazione standard di ReDi è il Ruby on Rails.

I corsi durano circa sei mesi e sono tenuti da professionisti esterni: Università, aziende, programmatori per hobby, a formare nuovi programmatori tra i rifugiati ci pensano persone provenienti da queste realtà eterogenee. Dieci ore settimanali, poi la domenica altre due ore di teoria e una sessione di esercizi per mettere in pratica quanto imparato nel corso della settimana. Se non esiste un prototipo di studente e insegnante, ciò che è comune a tutti i corsi è, piuttosto, il linguaggio di programmazione utilizzato. Il Ruby on Rails, un framework open source per applicazioni web molto semplice e di facile accessibilità, ma anche i più classici HTML e Java Script.

"Siamo una Tech School il cui fine principale è insegnare coding, ma abbiamo iniziato con l'ambizione di aiutare i nostri studenti anche in termini di networking" continua Anne, che mi espone le numerose iniziative in cui la scuola è stata coinvolta in questi primi mesi di vita. "Invitiamo speakers che vengono dalle aziende IT, organizziamo giornate in cui gli studenti vanno a presentare loro progetti nelle diverse aziende, abbiamo un fotografo che viene qui per le foto da mettere sui cv dei nostri studenti, così come degli esperti di risorse umane esterni che controllano e correggono i cv. Noi cerchiamo di creare sotto ogni aspetto le condizioni per cui gli studenti possano trovare un buon lavoro in Germania."

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Akram non ripone tutte le sue speranze in questi corsi, ma è comunque felice di poter tornare a battere quella pista che aveva scelto quando ancora si trovava in Siria. "Non ho enormi aspettative, quello che mi interessa al momento è ritornare al mondo del coding e più in generale dell'informatica" mi racconta. "Intraprendere un nuovo percorso accademico non era possibile, soprattutto per questioni linguistiche. Qualunque cosa venga da questa esperienza alla ReDI School sarà qualcosa di positivo, si tratta di un ambiente dove posso rispolverare le mie competenze informatiche e imparare nuovi linguaggi di programmazione come il Ruby on Rails."

"Noi cerchiamo di creare sotto ogni aspetto le condizioni per cui gli studenti possano trovare un buon lavoro in Germania."

Gli studenti della scuola non sono però necessariamente degli esperti programmatori con un passato in questo settore. Come mi spiega Anne, da una parte ci sono quelli che già conoscono il linguaggio della programmazione e sfruttano l'opportunità messa in campo dalla ReDi School per rinfrescare le loro competenze ed avvicinarsi al mondo del lavoro. Dall'altra, ci sono persone che mai hanno avuto a che fare con il coding. "Ovviamente non imparano a programmare in sei mesi, ma almeno conoscono come funziona l'IT, quali opportunità offre ed entrano nel network."

Uno dei momenti più esaltanti di questi primi tre mesi di vita della ReDI è stato a febbraio. Alla porta della scuola hanno bussato due persone abbastanza importanti nella scena tech mondiale: Mark Zuckerberg e sua moglie Priscilla Chan. Un giro per le aule, la presentazione agli studenti e infine un colloquio privato con alcuni di essi sul futuro dell'intelligenza artificiale e sull'applicazione transfrontaliera della realtà virtuale—ad esempio con il visore Oculus Rift per comunicare con i parenti degli studenti in Siria. "Zuckerberg e sua moglie erano molto interessati a venire qui per conoscere il nostro progetto per i rifugiati. Sono stati molto carini ed è stata un'esperienza incredibile per i nostri studenti," mi racconta Anne.

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Mark Zuckerberg e Priscilla Chan visitano ReDi.

L'obiettivo è quello di far entrare Facebook tra i partner del progetto. La ReDI School, in effetti, sta in piedi grazie al supporto delle aziende private di settore—Rocket Internet, Zalando, Wimdu, Klöckner & Co tra le altre—mentre al momento manca un supporto finanziario delle istituzioni pubbliche tedesche. Si tratta però di una scelta. "Ottenere fondi statali è un processo lungo. Il budget viene stanziato su precise linee guida che devi stabilire in anticipo e rispettare nel corso del tempo, il tutto in un contesto in continuo cambiamento quale è quello della crisi dei rifugiati" mi spiega Anne. "È un percorso burocratico complesso ed è molto più difficile riuscire a starci dietro, per noi è più veloce e pratico lavorare con le aziende private che operano nell'ambito della tecnologia." Nonostante questo però, le istituzioni pubbliche locali hanno sposato il progetto della ReDi School e aiutato nello spianare la strada alla sua realizzazione.

L'obiettivo per il futuro della ReDI School è di espandersi, sotto tutti i punti di vista. A livello di studenti, così da creare un grande network di rifugiati programmatori. A livello di insegnanti, così da mettere sempre più a disposizione dei rifugiati la migliore expertise tecnologica tedesca e internazionale. A livello di aziende partners, così da aumentare le sponsorizzazioni ed i progetti, ed allo stesso modo favorire l'ingresso nel mondo del lavoro degli studenti. E, infine, a livello spaziale. "La nostra ambizione è di crescere, abbiamo richieste dal resto d'Europa per avviare esperienze simili" mi racconta Anne. "Prima però vogliamo vedere come va qui, come entrano nel mercato del lavoro i nostri studenti e poi eventualmente dall'anno prossimo crescere in altre città in Germania e in altri paesi."

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Akram e Anne.

Mentre parlavo con Anne, le ho fatto notare che nell'Italia delle ruspe, della guerra alle moschee e del #primagliitaliani, servirebbe un modello di integrazione tecnologica come quello della ReDI School. Ma da noi esiste qualcosa di simile? E soprattutto, sarebbe possibile?

L'ho chiesto ad alcune realtà italiane che si occupano di integrazione e sostegno ai rifugiati. Secondo Techfugees, in Italia mancano esperienze simili perché fino a poco tempo fa non c'erano le regolamentazioni che facilitavano questo tipo di iniziativa. Ci sono, semmai, piccoli progetti dei comuni, ostacolati però dalla regolamentazione vigente. "Il motivo principale per cui non è ancora successo da noi è perché non esiste una volontà o un coordinamento politico a livello nazionale per portare avanti il progetto" mi spiega Benedetta Arese Lucini, Managing Director di Techfugees Italia.

Anche a Camilla Bencini del Cospe non risultano esperienze simili in Italia, sebbene auspichi che qualcosa possa cambiare. "Sembra veramente una cosa interessante. Sarebbe replicabile anche in Italia, naturalmente dovresti trovare un'azienda disponibile ad investirci in termini finanziari" chiosa, sottolineando come in Italia la questione dell'occupazione del tempo dei richiedenti asilo in attesa della risposta dalla commissione o dell'esito del ricorso è un tema enorme, perché questi tempi sono molti lunghi e la gente si ritrova "parcheggiata in un limbo infernale".

Andrea Menapace di OpenMigration è affascinato dall'iniziativa e spera che progetti simili possano comparire anche in Italia. "Noi ci auspichiamo nascano presto, vista la richiesta di mercato e visto come l'integrazione economica accelera quella sociale, a patto che poi i rifugiati venga concesso di lavorare".

Il mercato, appunto. La ReDi School nasce con l'obiettivo, tra gli altri, di andare a coprire quelle decine di migliaia di posizioni lavorative vacanti nel settore IT tedesco. In realtà, però, basta buttare un occhio ai numeri italiani per rendersi conto che un problema di carenza di cervelli tecnico-informatici ce l'abbiamo anche noi. Come emergeva dai dati del 2014 della campagna europea eSkills for Jobs 2014 – Making a career with Digital Technologies, nel 2013 c'erano 15mila posti di lavoro liberi nel settore high tech in Italia, saliti a 19mila nel 2014. 3mila di queste posizioni sono rimaste però scoperte. Secondo i dati di Confindustria del 2015 poi, all'appello del mercato del lavoro mancano 100mila tecnici formati in particolare sulle nuove tecnologie.

Per un Paese alla ricerca di programmatori e di modelli di integrazione validi, un progetto come la ReDI School potrebbe essere la soluzione. Impantanati come siamo in un dibattito pubblico che continua a vedere il rifugiato come un peso, un pigro o un fannullone, è arrivato il momento di considerare queste persone per quello che sono, una enorme risorsa. Anne ci tiene a sottolineare questo punto. "Durante questa esperienza ho avuto a che fare con alcune tra le persone più straordinarie che io abbia mai conosciuto, dei veri e proprio talenti" mi spiega sorridente. "Sono tutti estremamente motivati, vogliono imparare, studiare, fare network ed avvicinarsi così al mondo del lavoro. È una gioia lavorare con loro ed è bello avere questa responsabilità verso l'Europa, quella di contribuire a risolvere la crisi in atto."