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FaceApp non fa paura perché è russa, fa paura perché è un disastro già visto

Vladimir Putin FaceApp

Aggiornamento del 19 giugno 2020: In questi giorni, FaceApp—la app che modifica i connotati di una persona in foto grazie a una rete neurale—ha ricominciato a far parlare di sé, complice l’introduzione di nuove opzioni disponibili per gli utenti. Ma a differenza dell’ultima volta che siamo stati investiti da foto di parenti e amici “invecchiati” o trasformati nel sesso opposto, a questo giro, soprattutto in Italia, il dibattito è anche condizionato dai mesi di discorsi sulla privacy delle persone durante la pandemia di Covid-19. È giusto rinunciare alla propria privacy per una app di tracciamento dei contagi?, ci siamo chiesti spesso in questi mesi. Perché tante polemiche per i tracciamenti in una situazione di emergenza, quando le persone danno immediatamente il proprio consenso ad app fatte per divertirsi?, ripetono molti ora. Il problema è però sempre lo stesso: parliamo di privacy quando è troppo tardi e quando ci fa comodo—mentre dovremmo pretendere da qualsiasi app (russa, governativa o sanitaria che sia), tutele molto molto più severe. Riproponiamo qui un nostro articolo del 2019.

Ogni paio di mesi, foto generate con FaceApp—un’app che permette di manipolare il volto di una persona e che usa una rete neurale per far sì che appaia più giovane, più anziana, più femminile, o più maschile—diventano virali. Nel 2017, l’app aveva lanciato un filtro molto discutibile che trasformava le persone in caricature razziste. Di recente, il filtro dell’app diventato virale trasforma una persona nella versione molto più anziana di se stessa.

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Nel giro di poche ore, la conversazione su Twitter a proposito di FaceApp si è spostata però su un aspetto specifico: la app è fatta da un’azienda russa con sede a San Pietroburgo, dove il messaggio sottinteso è che deve essere per forza uno strumento di raccolta dati del governo russo.

Ora: i termini della privacy di FaceApp sono un disastro. Ma non sono un disastro anomalo per una app che usa i dati delle immagini caricate, e non sono un disastro perché l’azienda che ha creato la app è russa. Anzi: le specifiche di questi disastrosi termini della privacy sono similissime a molte app create e operate negli Stati Uniti. App del meteo. App dell’oroscopo. App di salute. App di Fitness.

Per poter funzionare, FaceApp chiede all’utente di avere accesso all’intera galleria delle foto, per poi identificare automaticamente le immagini che contengono volti. Non è possibile permetterle di accedere alla videocamera e prelevare, per dire, una sola foto da usare nell’app, o di caricare quelle che vuoi individualmente e poi filtrarle.

FaceApp raccoglie anche una varietà di informazioni personali, comprese “informazioni sui cookie, log file, identificatori di dispositivo, dati di localizzazione, e dati di utilizzo.” Fornisce questi dati ad “affiliati” e “fornitori di servizi” non meglio identificati, o a parti che monitorano “l’efficacia” dell’app, “sviluppano e testano nuovi prodotti,” tengono traccia delle metriche e “fanno diagnosi o risolvo problemi tecnologici.” In altre parole, FaceApp si riserva il diritto di condividere le informazioni acquisite con un’ampia categoria di soggetti che potrebbero includere diversi tipi di aziende.

Prevedibilmente, FaceApp fornisce anche dati utente a “partner pubblicitari di terze parti.”

“Questo tipo di informazioni permette a reti pubblicitarie di terze parti, tra le altre cose, di inviare messaggi pubblicitari mirati, relativi a prodotti che ritengono più interessanti per te,” si legge nei termini della privacy.

Inoltre, in una dichiarazione a TechCrunch, FaceApp ha spiegato, “accettiamo richieste dagli utenti che vogliono rimuovere i propri dati dai nostri server. Il nostro team di supporto è al momento sovraccarico, ma queste richieste hanno la priorità per noi.”

“Anche se il team di ricerca e sviluppo si trova in Russia,” ha detto FaceApp a TechCrunch, “i dati degli utenti non sono trasferiti in Russia.”

Estrarre dati da utenti ignari, venderli e condividerli chissà dove e con chi, e giustificarsi fornendo alle persone pagine e pagine di termini di privacy illeggibili e una pratica pressoché universale. Trascende il panico da Guerra Fredda. Non è una specialità russa. Non è neanche una specialità americana. È una pratica fondamentalmente capitalista. Le aziende posso darci app gratis e guadagnarci qualcosa solo se saccheggiano e condividono i dati delle persone che le utilizzano.

In altre parole, la paura per queste app non deve trasformarsi in un discorso a vanvera su qualche agente russo misterioso. Non abbiamo la minima idea di come FaceApp usi questi dati, così come non ce l’abbiamo per un sacco di app che sono installate sui nostri telefoni e che usano i nostri dati. Dovrebbe preoccuparci tutto, compresa FaceApp, ma non solo FaceApp.

C’è una discussione legittima che dovremmo intraprendere su quanti dati affidiamo a entità private in nome del divertimento. Ed è inutile offuscare questa discussione con l’ultima iterazione della “paura rossa.”