Música

Una conversazione su genitori, Beatles, amore e vita con Federico Fiumani

Inizialmente, io e Federico Fiumani (fondatore della storica band dei Diaframma, di cui è paroliere dal 1982 e cantante dal 1989, in seguito alla defezione di Miro Sassolini) avremmo dovuto vederci per un Rank Your Records (il format di Noisey in cui gli artisti mettono in ordine di gradimento i loro stessi dischi), ma le cose non sono andate esattamente come previsto perché quando io e Federico ci vediamo, qualche giorno fa, qualche ora prima di un concerto dei Diaframma, non sono io a fare le domande a lui – inizialmente è lui a fare le domande a me, poi sono le domande che mi escono dalla bocca in modo automatico per dirigersi verso di lui. Più di un’ora di intervista scorre in un baleno: un’intervista atipica, dal piglio estremamente confidenziale, quasi una chiacchierata col fratello maggiore che non hai mai voluto ma che ti ha sempre guardato le spalle durante gli anni difficili del liceo.

Tre ore dopo ci sarebbe stato il concerto dei Diaframma al Wishlist, con tanto di rissa sul palco à la Sex Pistols tra Federico e lo storico batterista Lorenzo Moretto in seguito ad un alterco tra i due. “Avrete visto di peggio… dopo stasera, è chiaro che la band si scioglierà”, dice un sardonico Federico poco prima di riprendere il concerto.

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Noisey: Sei uno degli eroi della mia adolescenza, ma per darmi un contegno professionale devo far finta che non sia così, anche se non credo ce la farò [riascoltando questa parte della registrazione mi rendo conto che la mia voce tremava considerevolmente]. Mi dicevi che, tra i dischi dei Diaframma, Il ritorno dei Desideri è quello che ti piace meno.
Federico Fiumani: Sì. Probabilmente perché non lo producevo io e non avevo il controllo della situazione. Volemmo fare un disco un po’ mainstream, con musicisti esterni, ospiti, eccetera. In studio c’era un clima un po’ di svacco, perché l’etichetta -la Contempo- non stava andando particolarmente bene e la situazione era molto stressante.

Però in quel disco c’è “Labbra blu”, che è uno dei tuoi classici.
“Labbra blu” l’ho scritta per la fine di una storia d’amore con una ragazza di Giulianova, di nome Tiziana. La scrissi in poche ore, appena decidemmo di lasciarci.

Madonna, ho tantissimi ricordi associati a questo pezzo. Questa intervista di base nasce perché ho avuto modo, in questi giorni, di analizzare a fondo il ruolo che i Diaframma hanno nella mia esistenza, e se mi guardo indietro scopro che tutta la mia vita ha ruotato silenziosamente attorno ai vostri dischi. Sono venuto ai tuoi concerti con amici che non vivono più in Italia (Michele, spero tu stia leggendo), ho condiviso i tuoi dischi e le tue canzoni con persone che amo e ho amato (Verde e Silvia, so che state leggendo), ho glossato i tuoi libri annotandovi nomi di persone con cui non parlo più (Federica, so che non stai leggendo e che non leggerai mai). Il punto è che questo spazio vitale lo hai occupato in maniera silenziosa, a volte senza che nemmeno me ne accorgessi, perché sono talmente abituato ai Diaframma da darli per scontati, quasi.
Ti ringrazio. Mi fa molto piacere. Quanti anni hai?

Ventidue. Ho scoperto i Diaframma grazie a mio padre, che mi ha fatto ascoltare il disco dal vivo al Viper quando avevo sedici anni, credo.
Quanti anni ha lui?

Cinquantaquattro… credo.
Ah, io ne ho cinquantasette, siamo quasi coetanei. Sei figlio unico?

No, ho un fratello diciannovenne totalmente disinteressato alla musica. Quindi in questo senso è come se lo fossi, ma… [pausa] alla fine non credo che faremo un Rank Your Records, perché ho così tante cose da…
Non so se faremo un…?

Rank Your Records, cioè quella cosa che ti dicevo di mettere in ordine i dischi che preferisci dei Diaframma.
Ah, ok. Va bene.

Stavo dicendo che… ?
Ti ho chiesto se avevi un fratello, l’ultima cosa è stata quella. Poi mi hai detto che tuo papà ha cinquantaquattro anni e che il primo disco dei Diaframma che hai sentito è stato il live al Viper quando avevi sedici anni.

Sì, ecco, ti ringrazio, scusami. Mi innamorai subito di “Gennaio”, che è uno dei cavalli di battaglia dei Diaframma, anche dal vivo. Un pezzo d’amore bellissimo, che ha la particolarità di limitarsi a suggerire quello che succederà alla sua conclusione, lasciandolo appena intravedere: “La mia stanza era entrando sulla sinistra / quella di Barbara a destra: c’eravamo rivolti / a nostra insaputa alla stessa agenzia”.
Esattamente, quel pezzo parla di una rinascita, di una ripartenza di vita. Lì capisci che inizierà una storia: una si chiude e una si riapre, rimane tutto un po’ sospeso, con il finale che apre la via a tutta una serie di possibilità. Ti dirò, sono molto stanco di suonare dal vivo questo pezzo, anche perché lo faccio ininterrottamente da quasi ventisette anni ed è una canzone molto “forte”, che richiede di pigiare molto le corde della chitarra, e insomma comincia ad essere faticoso; però ho anche l’impressione che la gente voglia ascoltarla, e quindi la devi fare: come “Siberia”, un altro pezzo che comincio a non poterne più di fare dal vivo. Li faccio subito, solitamente, così mi tolgo il pensiero. Ormai questi pezzi, bene o male, creativamente stanno lì, ma siccome li rifaccio sempre dal vivo affrancarmene è un po’ difficile. Anche se sono molto affezionato a Gennaio perché è una canzone molto intima, e poi c’è questo urlo finale perché all’epoca ero veramente disperato e avevo bisogno di sfogarmi, di strillare. A volte, dipende dalle serate, lo esaspero di più o di meno, lo faccio più o meno forte.

In effetti quel pezzo è catartico: il pubblico è felice di strillare insieme a te “gennaio”, perché tutti abbiamo un gennaio (il mio è ottobre).
Sì. Può darsi, sì.

Un pezzo simile a ” Gennaio”, sempre catartico allo stesso modo, è ” I giorni dell’ira” (soprattutto nella versione con Zen Circus e Brian Ritchie). Ti piace ancora suonarlo?
Sì, anche se ultimamente non lo faccio più perché ho rotto un po’ i rapporti con mia madre, e allora… “che dirà mia madre quando mi vedrà”, non volevo proprio ripensarci. Anche quella canzone parla di disperazione: avevo grossomodo la tua età, magari ero un pochino più grande, non volevo andare all’università però mia madre mi stressava, siccome era professoressa di lettere… e quindi “I giorni dell’ira”, sia perché IRA era la mia casa discografica e sia perché c’era tantissima ira tra noi due, me e mia madre. La giovinezza non è stata un periodo di grande serenità della mia vita, anzi per niente, perché sono cresciuto senza padre e quindi ho avuto un sacco di squilibri e difficoltà. Tante, tantissime difficoltà.

C’è una versione di “Caldo”, che sta in Sassolini sul fondo del Fiume, in cui canti…
“sono venuto per sapere se anche a loro manca un padre un po’ come mancava a me”. Sì, quella versione è un po’ più autobiografica di quella che sta in Boxe, in cui la strofa è diversa.

Molto bella quella versione. Nell’Ulisse di James Joyce c’è scritto: “il padre è un male necessario”. Secondo me, se un padre potesse essere un buon genitore si chiamerebbe madre.
Sì, forse, ma poi… ogni caso è diverso, molti figli sono più affezionati al padre che alla madre e questi padri son figure splendide. Quindi non so se sia proprio un male necessario, certo sicuramente per alcuni sì. Certi miei amici mi hanno confessato di avere avuto un padre talmente cattivo da avermi invidiato per la morte del mio. Però insomma, mio padre mi è mancato parecchio. Anche perché il mio era buono, quindi mi è mancato tanto. Sì, purtroppo mi è mancato tanto.

Beh, non faremo più il Rank Your Records con i dischi dei Diaframma però possiamo sempre farlo con quelli dei Beatles, dei quali ti so grande fan. Quali sono i tuoi dischi preferiti dei Fab Four? Te lo chiedo perché una decina di giorni fa ero ad Abbey Road.
Beh, direi che i miei preferiti sono il doppio bianco e, appunto, Abbey Road. Odio un po’ Sgt. Pepper, che tutti invece idolatrano. Oddio, “odio” è un parolone; è che a me, in generale, le cose che piacciono a tutti fanno venire l’istinto inverso. Comunque ci sono dei pezzi abbastanza brutti in quel disco, che soprattutto alla fine scade molto: tipo “A Day In The Life”, che tutti mitizzano, pff… avevano accorpato due pezzi in uno e non c’entravano nulla, con un finale enfatico e ridondante che secondo me rasenta il ridicolo. Non sopporto l’enfasi nella musica. Ti potrei dire persino che mi piace tanto Beatles For Sale, che è considerato il nadir della loro produzione, perché “erano stanchi”, ma proprio perché erano stanchi secondo me ci sono un fascino e una poesia unici. Anzi, proprio perché tutti dicono che è il disco peggiore potrei quasi considerarlo il mio preferito… non so se il mio preferito, oddio, però lo amo molto.

A me quelli che piacciono meno sono, in effetti, quello che hai citato tu e With the Beatles. Sono particolarmente affezionato al primo, tra gli altri.
Bellissimo! Ingenuo, pieno di errori, naif, è puro. C’è la giovinezza lì dentro, quasi la tarda adolescenza. Pensa, c’è un libro intero sugli errori che hanno fatto i Beatles in quel disco.

Ho un ricordo particolarmente triste legato a Rubber Soul, perché quel disco, che io considero il disco pop perfetto, uno dei miei preferiti in assoluto, è stato la colonna sonora della mia rottura con una mia ex ragazza (Anna, non credo che tu stia leggendo): e quindi ad ogni ascolto, in automatico, quel disco mi schiude nelle orecchie anche un cuore di dolore, e adesso per me ha un retrogusto un po’ terminale… vuoi raccontarmi qualche ricordo personale che hai legato ai Beatles?
Quindi ti arriva malinconico e negativo, lo credo bene. Ricordi legati ai Beatles… [ci pensa un po’ su] un’infinità, un’infinità. Nel ’68-69, al luna park, io e mia sorella andavamo sull’autoscontro e le casse mandavano i pezzi di Abbey Road… oppure quando, al liceo, sentivo persone insospettabili che canticchiavano i Beatles, e allora mi dicevo: sono pezzi proprio in grado di arrivare a tutti. Credo che la musica dei Beatles abbia questa forza sciamanica di piacere proprio a chiunque, è una cosa misteriosa, incredibile, irripetibile. Non so se per loro sia stata una grande fortuna, perché avere una fama così grande e universale pesa molto sulla vita di un uomo… vabbè, John Lennon l’ha pagata come tutti sappiamo, ma credo proprio che a delle persone come loro la giovinezza sia stata strappata via da una fama eccessiva, secondo me hanno rinunciato quasi a vivere ad un certo punto. In quei dieci anni vivi quattro vite di una persona normale. Poi tutto questo visto dall’esterno, magari loro l’hanno vissuta diversamente.

[Parliamo un pochino dei Rolling Stones. Federico li definisce “miracolosi” e “benefattori dell’umanità”.]

Il giornalista statunitense Christopher Andersen, nella sua biografia di Mick Jagger uscita qualche anno fa, calcola che il frontman degli Stones abbia fatto sesso con più di tremila donne (e qualche uomo, tra cui David Bowie). Anche tu sei una rockstar molto nota per le conquiste sentimentali – emblematicamente, un tuo disco da solista si intitola Donne mie.
A livelli infinitamente inferiori di Mick Jagger. Le donne mi piacciono moltissimo, mi attraggono profondamente. Siamo delle persone vive in quest’epoca un po’ di morti. Cioè: che uno ami le donne alla follia mi sembra assolutamente un’energia vitale sana e da vivere, da accettare. Il problema è che l’uomo occidentale, in una civiltà in declino, con il politicamente corretto e la parità dei sessi e il femminismo e tante altre cose, non sa più qual è il suo posto, la virilità è stata un po’ uccisa. La donna è cresciuta tantissimo negli ultimi cinquant’anni (fino a poco tempo fa non votava!), l’uomo invece è andato un po’ indietro perché è sempre meno sicuro del suo ruolo, non sa reinventarsi. La donna è cresciuta tantissimo, però l’uomo ha perso.

Secondo te cosa significa l’amore, che è al centro di quasi tutti i tuoi pezzi?
Dipende anche molto dall’età, secondo me. A vent’anni credo che sia essenzialmente sesso: due persone a vent’anni stanno insieme essenzialmente per scopare. Dopo, anche per altre cose… sicuramente è un inganno della natura che vuole figli. Ogni volta che trombi con una donna la metti incinta. Anche se poi non lo fai, l’istinto è quello di metterla incinta. E ogni volta che una donna tromba con te, ti ha valutato come potenziale padre, cioè ha stabilito che i tuoi cromosomi sono buoni per fare un figlio. Noi siamo un po’ schiavi di quest’inganno della natura: tanto è vero che, avuti i figli, la passione svanisce, perché alla natura non servi più, siccome i figli li ha già avuti.

Una visione del tutto materialistica dell’amore, insomma.
No, no. Direi una visione naturalistica. Poi ci sono tantissime altre cose, come la tenerezza, però fondamentalmente è questo, secondo me.

Però, se fosse solo questo, siccome lo “sappiamo”, dovremmo riuscire a disinnescare il meccanismo.
No, perché? Una mia canzone si chiama “L’odore delle rose”: se un giorno lo scoprissi…

…non lo ameresti più.
E invece no, lo ami lo stesso l’odore delle rose, non è che se conosci l’origine dei tuoi desideri non li provi più: li provi lo stesso. Magari ne sei meno schiavo, forse, se li conosci un po’ meglio. Però c’è sempre una parte di rischio, come in tutte le cose… è anche il bello della vita, se no sai che noia se una cosa che fai sai sempre come va a finire?

La tua storia d’amore più lunga in assoluto?
Sette anni, dal ’95 al 2002, con Chiara. Con molti stop ‘n go, ci lasciavamo, ci tradivamo, però è durata molto. In generale per me l’amore finisce abbastanza presto, però, perché perdo entusiasmo. Sono discontinuo nei rapporti e negli affetti.

Stavo con una ragazza che si chiamava Silvia, alla quale dedicai la canzone “Ai piedi di Silvia“, dato che anche io ho lo stesso amore, e scoprire questa cosa mi ha fatto sentire legato a te in modo ancora più particolare.
Pensa che all’inizio mi vergognavo un po’ perché pensavo che non avrebbero accettato questa mia attrazione proprio fisica, sessuale, per i piedi, però devo dire che nove ragazze su dieci sono contente, perché in fondo amiamo una parte di loro, e quindi va bene così.

Giusto. Per chi hai scritto “Fiore non sentirti sola”? Chiamo così una mia cara amica (Ilaria, che non so se sia arrivata a leggere fino a qui).
Ho scritto quella canzone sempre per Tiziana, la stessa ragazza della canzone “Labbra blu”. Quando lei era triste provavo a… ad esorcizzare la sua tristezza, a fargliela passare.

E funzionava?
Sì! E devo dire che ha funzionato con molte ragazze, cioè molte ragazze mi hanno detto di amare quella canzone. Era un modo per fargliela passare, la tristezza… sì… (due secondi di silenzio) …la amavo molto.

Pensa che anni fa mi incazzai con Silvia perché, dopo un tuo concerto, mi disse: “vorrei avere una relazione con Federico Fiumani”. Sempre dopo un tuo concerto, qualche mese fa, Kaja (che al 70% sta leggendo) è stata decisamente più esplicita. È destino che tutte le ragazze con cui esco continueranno a preferire te a me!
Vabbè, ma perché non mi conoscono… anzi, magari l’hanno detto proprio per tenerti sulle spine. È sicuramente così. Sicuramente. [sorride]

“L’ora più bella” è uno dei tuoi pezzi più significativi e forse meno conosciuti.
Sai che quando uscì piacque molto? Io vado da 32 anni in psicanalisi, e c’ho sempre questo problema che… lì vai proprio in fondo alle cose. In quella canzone senti un uomo che tocca il fondo (come mi succede spessissimo, o almeno come mi sento spessissimo), e quindi si vergogna tantissimo di quello che è rispetto alle altre persone; e allora, riuscire a essere felici solo perché una ti dice magari “boh, ci penso, richiamami fra un’ora” ti fa sentire a pezzi, ti fa sentire messo male, ti fa pensare di aver toccato il fondo… ma quando poi accetti di aver toccato il fondo in realtà scopri che non è così tragico e che la gente ti accetta lo stesso. A molte persone è piaciuta proprio perché descrive una persona che ha toccato il fondo. Anche “Mi sento un mostro”, al di là dell’incipit che è teso a colpire come dev’essere nel rock ‘n roll, in cui una canzone devi risolverla in tre minuti e stupire con qualcosa di forte, secondo me è una canzone che è andata bene proprio perché descrive lo stato d’animo di un uomo che si sente K.O.: ed è uno stato d’animo che viene esorcizzato attraverso la scrittura, e forse persino superato. Del resto l’arte serve a questo: a parlare di cose di cui non potresti parlare in altre situazioni. E infatti l’arte spesso è pericolosa, certi libri ti possono portare in dei labirinti molto tosti.

Céline…
Sì, per esempio. Penso a Baudelaire e Rimbaud, o lo stesso Céline, comunque un uomo di grande umanità ed empatia. Quello che mi piace più di tutti però è Moravia, l’ho scoperto a quarant’anni e per me è stata un’illuminazione.

Mi sarebbe piaciuto conoscerlo, perché mi ha cambiato la vita e salvato dal baratro. Vita di Moravia è un libro straordinario, l’hai letto?
Certo, con Alain Elkann, molto bello. Di Moravia ho letto tutto, per me un suo inedito è come un pezzo nuovo dei Television o dei Beatles, la goduria assoluta. Però anche lui è per certi versi pericoloso, e forse conoscerlo poteva essere un po’ rischioso. E poi di queste personaggi così complessi esistono tante versioni, se leggi quella di Renzo Paris per esempio vedi un Moravia quantomeno ambiguo. Per esempio, una volta prese la mano a Marina Ripa di Meana e se la mise sul cazzo, dicendole “senti quant’è duro, senti quant’è duro” – un maniaco sessuale. Oppure, nella vecchiaia scriveva dei racconti pesantissimi, quasi di pedofilia. Pericoloso. Eppure questo vivere al limite gli ha dato ispirazione, perché gli artisti sono così, c’è poco da fare.

Qual è il tuo disco preferito dei Diaframma, per chiudere?
Siberia, per una serie di ragioni anche affettive, ero ragazzo quando l’ho fatto ed è piaciuto tantissimo, e tuttora viene riscoperto molto. Poi anche l’EP Gennaio, nel quale ho tirato fuori la disperazione di quel periodo, secondo me esprimendola bene. Poi… Volume 13. Un disco molto letterario. Leggevo tantissimo, e secondo me nella scrittura emerge molto il fatto che mi sentivo un po’ uno scrittore.

Tu sei uno scrittore.

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