Da qualche tempo la mia lista di buoni propositi per il nuovo anno si è molto accorciata (non avete idea di quanto si snelliscono i buoni propositi quando smetti di voler snellire tu), e il primo e più importante è diventato fare qualcosa per gli altri. Sì, sono consapevole di quanto sia irritante la gente che si vanta del proprio impegno sociale, ma non so bene come aggirare questo problema: la ragione per cui ne scrivo è che per anni ho desiderato essere d’aiuto, e per altrettanti anni non ho fatto nulla a eccezione di qualche donazione in denaro. Non agivo perché non sapevo cosa fare, e sono convinta di non essere l’unica – spero quindi che questo post possa essere uno spunto per altri.
Credo che sia importante farsi due domande: che cosa so fare? Quanto vale il mio lavoro?
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Prima cosa che ho imparato: se potete donare del denaro, donate del denaro. È sempre una delle cose migliori, anche se magari non suona tanto romantica. Ma qui volevo parlarvi del prestare il proprio lavoro gratuitamente, anche “volontariato”. Due modalità: lavorare con le persone direttamente, o lavorare per le persone.
Nel primo caso potete, ad esempio, scegliere di tenere compagnia a un anziano solo o aiutare con i compiti un ragazzino a rischio di abbandono scolastico. Nel secondo, potete lavorare senza compenso per una Onlus, facendo attività per le quali altrimenti dovrebbero pagare del personale, o che portano reddito. In generale, ma più specificamente per questo secondo caso, credo che sia importante farsi due domande: che cosa so fare? Quanto vale il mio lavoro?
Se di mestiere fate l’avvocato, e di sabato mattina — poniamo — impacchettate scatolame nei pacchi viveri per una Onlus, ritengo che stiate utilizzando male il vostro tempo. È un lavoro a bassissimo valore aggiunto, che una persona non qualificata potrebbe fare per pochi euro l’ora. Meglio sarebbe — lo so che non suona bene — lavorare tre ore in più in studio e donare l’equivalente di quel reddito. Ancora meglio? Trovare una Onlus a cui servano degli avvocati che seguano i loro assistiti pro bono.
Io ho provato a fare così: ho cercato un’associazione che mi corrispondesse per sistema di valori — anche questo un aspetto molto importante — e organizzo raccolte fondi facendo la stessa cosa per cui normalmente vengo retribuita: food tour di Milano. Al primo hanno partecipato 21 persone (il massimo che riusciamo a gestire) e abbiamo raggranellato 1.995 euro che sono andati direttamente nelle casse di Progetto Arca, che da vent’anni a Milano (e successivamente in molte altre città d’Italia) porta il primo aiuto alle persone in difficoltà: quando l’associazione è nata offriva soprattutto sostegno a tossicodipendenti e senza fissa dimora, ma negli ultimi anni – segno dei tempi – ha ampliato il loro raggio d’azione a nuove forme di povertà, che vanno dalle famiglie “normali” fino ai migranti. Io amo il loro approccio laico e fattivo (mi ricorda i tratti migliori dello spirito della mia città, appunto) e l’importanza che attribuiscono al dare ai loro assistiti gli strumenti per riconquistare, in ultimo, l’autonomia.
Ho scelto il food tour come modello perché rispetto ad altri eventi di raccolta fondi più comuni nel settore del cibo, è più facile riuscire a non avere spese: che equivale a dire non trattenere niente dalle donazioni.
Una delle ragioni per cui ho scelto il food tour come modello è che, rispetto ad altri eventi di raccolta fondi più comuni nel settore del cibo, è più facile riuscire a non avere spese: che equivale a dire non trattenere niente dalle donazioni.
Eventi che prevedono di arruolare personale o noleggiare materiali – come una qualunque cena con lo chef, per esempio – hanno costi tecnici che difficilmente possono essere completamente ammortizzati. Il risultato può essere il classico evento di beneficenza che riporta un generico “parte del ricavato andrà…”, formula che mi fa venire l’orticaria in particolar modo quando – spesso, purtroppo – la “parte” non è precisata. Molti potrebbero sostenere che senza nessun investimento (per esempio, in pubblicità) finisco per limitare le potenzialità della raccolta fondi totale. Può darsi, ma in questa fase do la priorità ad altre cose: uno, trasparenza; due, poter contare solo sul mio lavoro e sull’aiuto di chi è disponibile a offrirlo gratuitamente.
Per fare questo, tocca mantenere l’organizzazione molto snella: quindi scelgo una data, faccio un post sui social, raccolgo le prime iscrizioni.
Operativamente, come funziona: in genere durante i miei food tour – quelli retribuiti, che si rivolgono ai turisti stranieri a Milano – visito insieme ai miei ospiti alcuni dei locali che amo di più a Milano, dove ci comportiamo da normali clienti paganti. Quando organizzo un tour di beneficenza, invece, chiedo ospitalità gratuita per una consumazione che concordiamo insieme. Parte del divertimento per chi partecipa ai tour, inoltre, è una borsa piena di regalini che consegno alla fine e per cui chiedo dei gadget succulenti alle aziende – di nuovo, forniti gratuitamente. Quest’anno, ad esempio, Marvis ci ha fornito i loro dentifricini alla cannella. E mentre scrivo, la custode dello stabile dove vivo è asserragliata tra alcune torrette di acqua tonica premium che sono stata esentata dal portare nel mio appartamento solo in virtù del mio stato di gravidanza, a onor del vero avanzatissimo.
Quando vi ricapiterà di poter dedurre il Negroni dalle tasse?
Come convinco locali e aziende ad aiutarmi? Semplicemente, non è necessario. Si mostrano in genere molto aperti: sono felici di contribuire, e alla base c’è un buon rapporto personale di rispetto e fiducia reciproca. Infine, io faccio del mio meglio per contribuire con un po’ di visibilità (che sì, non paga le bollette di nessuno, ma non è priva di valore, fatta nel modo giusto).
Altro pro di una gestione molto snella: non ho bisogno di reclutare un numero altissimo di partecipanti, e posso quindi mantenere l’importo della donazione relativamente alto – per trovare cento partecipanti paganti mi servirebbe probabilmente un investimento in comunicazione. Chi partecipa al tour spesso mi legge già sui social – da lì vengono circa metà delle reclute. Gli altri richiedono un lavoro un po’ più mirato – scrivo a blogger e influencer di cui conosco l’impegno sociale raccontando cosa faccio, e spesso scelgono di condividere il mio messaggio (state leggendo questo articolo su Munchies, no?).
Se serve, scrivo agli amici chiedendo loro di condividere – senza esagerare: la regola d’oro è non dover chiedere troppi “favori”, altrimenti il credito di buona volontà si spende in fretta. Per l’apoteosi del fatto in casa, se avanzano ancora posti al mio fidanzato tocca iscriversi come ospite pagante (ho scelto un brav’uomo).
C’è ancora qualche posto per il prossimo aperitivo tour di beneficenza: giovedì prossimo, 5 luglio, sui Navigli di Milano, dalle 19 alle 23 circa. Un tour tra cocktail, panini al salame e pizza gourmet tra alcuni dei migliori locali del quartiere: Morgante Cocktail & Soul,BackDoor43, Taglio, Rita & Cocktails, Berberè. Nella goodie bag: vino dell’azienda agricola Planeta, olio di nocciole dello chef Enrico Crippa (Piazza Duomo, tre stelle Michelin), mixer Fever Tree, e salsa al Tartufo di Savini Tartufi.
Quando vi ricapiterà di poter dedurre il Negroni dalle tasse?
Ci si iscrive donando direttamente 95€ a Progetto Arca a questo link, indicando come causale “food tour 2018”, e scrivendo per conferma a Sara direttamente.
Sara Porro ha scelto di rinunciare al suo compenso per la stesura di questo pezzo, che noi di Munchies Italia doneremo invece a Progetto Arca.
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