Sull’inquinamento non ho mai puntato troppo sulle automobili, bensì su quei mostri di fabbriche che si vedono dalle tangenziali. C’è una terza via, però: a quanto pare, si fa sempre più strada l’ipotesi che il vero nemico dell’aria pulita siano perlopiù i forni delle pizzerie. E oggi, in particolare, il problema pare sia a Torino.
In una zona dove l’aria si addensa facilmente – così come accade a Milano e in tutta la Lombardia – a quanto pare non sono i motori diesel delle macchine a far schizzare i livelli della PM10, la polvere sottile più nociva alla salute, ma le vostre pizze margherite. L’ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambientale) ha infatti cominciato una ricerca secondo cui sarebbero i macchinari che vanno a legna e, soprattutto, a pellet a inquinare maggiormente. Per un totale del 44% contro il 21 dei tubi di scappamento delle vetture.
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Ovviamente questo non significa che i forni delle pizzerie o quelli dei ristoranti rappresentino la totalità di questo dato impressionante: il problema è che riscaldarsi costa sempre di più e legna e pellet sono due materiali a buon mercato facilmente reperibili anche a casa, da usare come riscaldamento.
Torniamo però alle pizzerie, perché in tutto il casino delle questioni ambientali, fa sorridere che tra i maggiori terroristi dello smog possano esserci dei tizi che fanno felici migliaia di persone a suon di pala. Abbiamo detto che a inquinare più del petrolio c’è il legno, un po’ come il carbone nelle Londra di inizio ‘900. Più del pellet, che è un legno da combustione scrauso ricavato dalla segatura, i ciocchi di legno bruciati sono dei veri assassini nel campo dell’inquinamento. Torino è rappresentativa perché difficilmente si trovano città in italia altrettanto fredde, decisamente industrializzate e caratterizzate dal poco vento. C’è Torino e c’è Milano. Per dirla semplice le Alpi chiudono queste due zone e fanno ristagnare quello che c’è all’interno, quindi le polveri sottili rimangono dove vengono prodotte.
E uno dei problemi dei forni a legna nelle pizzerie non è semplicemente che venga usato quello specifico materiale per la cottura. Come molte cose in Italia, il problema è che anche quel tipo di forni, così antichi, così caratteristici, spesso non sono a norma.
La questione della pizza come uno dei massimi fattori di smog e inquinamento, infatti, non è una novità. Già due anni fa i giornali parlavano delle rivolte dei pizzaioli e panettieri siciliani, che erano stati accusati di inquinare l’aria di Palermo con i loro forni. E con la Sicilia ci sono stati anche i casi delle pizzerie napoletane e perugine. A quanto si legge su La Repubblica, Confesercenti definiva quello dell’ARPA della Sicilia un “errore macroscopico”, dato che 200 forni a legna non potevano essere la causa della maggior parte dell’inquinamento palermitano. Il problema, lì, come si presume essere anche a Torino e in buona parte d’Italia, era non avere dei filtri a norma che trattenessero la maggior parte dello schifo prodotto dalla combustione di legna.
A Torino nello specifico si citano questi forni come parte del problema ambientale, a Palermo si parlava dei 2/3 della questione. Nel capoluogo piemontese, per fare i rilevamenti, sono stati installati due sistemi, in grado di rilevare le maggiori concentrazioni di PM10. Ed è venuto fuori che più si va in centro, meno esiste questo problema. Più si esce fuori dalla città, più invece la gente decide di spendere meno per riscaldarsi o cucinare una pizza. Con strumenti non proprio a norma, ecco. O sul filo delle norme. Tanto che la regione, da Ottobre, ha dichiarato che sarebbe stato possibile installare da nuovi solo i sistemi che inquinano meno.
In un mondo dove ormai ogni minima cosa può contribuire a distruggerlo un pezzettino alla volta, non ci resta che fare appello a una delle ultime speranze di salvezza dell’anima umana: la pizza.
Perché non abbiamo intenzione di correre nemmeno lontanamente il rischio che la pizza sia bandita come arma di distruzione terrestre.
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