Predappio è una piccola cittadina dell’Emilia-Romagna che ha avuto una doppia sfiga: quella di essere il posto in cui Benito Mussolini è nato, e quello in cui è sepolto.
La storia di come il corpo del Duce sia finito lì è piuttosto rocambolesca. In breve: dopo l’esposizione del cadavere a Piazzale Loreto, la salma viene portata al campo 16 del cimitero milanese di Musocco. Doveva essere un segreto, ma alla fine lo sanno un po’ tutti—compresi i gruppi neofascisti dell’epoca.
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Domenico Leccisi, militante del Partito Democratico Fascista, nell’aprile del 1946 riesce a trafugare il corpo insieme a due complici e ad affidarlo a preti compiacenti. Dopo lunghe e complicate trattative, il corpo di Benito Mussolini è infine traslato nella cripta di famiglia il 30 agosto del 1957.
Da quel momento, Predappio si trasforma irrimediabilmente nella meta di veri e propri “pellegrinaggi neri” che—tra picchi e flessioni—non si arrestano mai, e arrivano fino ai giorni nostri.
Il pellegrinaggio del 30 ottobre del 2022 celebra una ricorrenza particolare: il centenario della marcia su Roma del 28 ottobre del 1922, che preparò il terreno per l’avvento del regime fascista.
Come al solito, la sfilata è organizzata dall’associazione Arditi d’Italia, in particolare dalla sezione di Ravenna. Il responsabile di quest’ultima è Mirco Santarelli, un ex candidato del partito neofascista Forza Nuova nonché amico del segretario Roberto Fiore.
In un’intervista al Corriere di Bologna, oltre a essersi detto “contento” della vittoria di Giorgia Meloni, l’uomo ha parlato di “obbligo morale della commemorazione e pure della camicia nera.” Lo stesso ha poi consigliato di non fare il saluto romano, perché si rischia “una denuncia per apologia del fascismo”; l’invito ai “camerati” è stato pertanto quello di mettersi una “mano sul cuore.”
Tuttavia, alla prova dei fatti, quell’invito cadrà sistematicamente nel vuoto.
Durante la marcia—partecipata da circa duemila persone, non “diecimila” come avevano annunciato gli organizzatori—sono in diversi a intonare il coro “Duce! Duce!” con il braccio destro al cielo. E di fronte al cimitero di San Cassiano, al momento del “presente” a Benito Mussolini, è una distesa di saluti romani.
Per il resto, com’è era scontato, la simbologia fascista è ubiqua. Molte persone indossano il fez nero, il copricapo tipico del regime, e alcuni direttamente la divisa delle camicie nere. Ci sono persino bambini vestiti da gerarchi fascisti.
Sulle magliette invece campeggiano slogan che inneggiano al regime e riproducono gli slogan del Ventennio. Abbondano anche croci celtiche, aquile, fasci littori e bandiere della Repubblica Sociale Italiana, lo stato fantoccio di Adolf Hitler fondato nel Nord Italia dopo l’8 settembre del 1943.
I due negozi “Predappio Souvenir” e “Ferlandia” sono aperti sebbene sia domenica, e fin dal mattino i fan di Mussolini comprano tazze, adesivi con la svastica, busti del Duce e posaceneri con lo slogan “Dio Patria e Famiglia” (lo stesso, per inciso, che rivendica l’attuale presidente del consiglio).
È la mia prima volta a Predappio per un’occasione del genere. E la cosa che mi colpisce di più è la—diciamo così—normale anormalità del tutto.
Stando lì in mezzo, è normale vedere persone vestite come degli squadristi, che cantano Faccetta Nera ed esibiscono fieramente i simboli di una dittatura.
Dopo un po’, quasi ci si abitua. Eppure, se ci si ferma un attimo a pensare, è del tutto anormale che nel 2022 succedano cose del genere, o che siano semplicemente permesse senza che nessuno dica nulla.
Anche perché non c’è nulla di “goliardico” o “folkloristico” in parate di questo tipo. Le persone che sfilano per il paese e omaggiano il Duce nella sua cripta non sono “nostalgiche,” né dei cosplayer in orbace.
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