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Foto dalla Roma nascosta sulle sponde del Tevere

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Roma è una città enorme composta da molte città diverse tra loro. Accanto a quelle “ufficiali” e più riconoscibili, ce ne sono molte altre non riconosciute—oppure che emergono solo in determinati momenti.   

La città sulle sponde del fiume Tevere è una di queste. Negli ultimi mesi se ne è parlato dopo l’incendio del Ponte di Ferro, quando erano venuti alla luce degli insediamenti informali nelle banchine sottostanti.

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Più in generale se ne discute solo ed esclusivamente in termini di degrado e di problema da eradicare, oppure quando la politica locale annuncia sgomberi: a quel punto le telecamere riprendono le operazioni speciali, e poi tutto torna nell’oblio.

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Il fotografo Marco Sconocchia, che avevamo già intervistato anni fa per un reportage sull’eroina a Torino, ha optato per un approccio diametralmente opposto: per oltre un anno ha percorso il fiume da nord a sud, fino alla foce all’Idroscalo di Ostia, seguendo persone e famiglie che vivono in quei luoghi.

Il risultato è il progetto Tevere Grand Hotel, con cui Sconocchia ha documentato quello che definisce “il mondo di sotto, una città nella città che segue dinamiche proprie.”

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Il gazometro visto dal Tevere.

L’idea, mi ha detto in una conversazione su Zoom, è nata dall’osservazione di “questo fiume molto grande e visibile” e dalla lettura di articoli che parlavano di questa situazione particolare. “Ho controllato se ci fosse stato un lavoro per immagini di questo tipo, e non c’era,” spiega, “e così ho iniziato a camminare, incontrando varie persone; ovviamente, non tutti sono stati disponibili a farsi fotografare.”

I soggetti ritratti hanno storie molto diverse tra loro, e secondo Sconocchia sono un “esempio di resistenza, anacronismo e lotta, sia contro le istituzioni che contro la società circostante.”  

Gregorio è un pastore che vive da sempre in un appezzamento nella zona di Tor Di Quinto, ed è “in perenne lotta contro l’abusivismo edilizio che ha ridotto il suo pascolo ad un piccolo quadrato verde.” Yuri è un senza fissa dimora ucraino che vive sotto il centralissimo ponte Sisto. Cesare è “l’ultimo pescatore di anguille” di Roma. Franca e la sua famiglia si battono da anni per non essere cacciati all’Idroscalo, e hanno anche organizzato un comitato anti-sfratti.

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Il pastore Gregorio.

Queste persone, spiega il fotografo, “per un motivo o per un altro non hanno trovato posto nella città—oppure non vogliono trovarlo. Ad accomunarli c’è il fatto di essere stati ‘buttati giù’ dalla città, che si è evoluta sopra il fiume.”

L’obiettivo di questo progetto, conclude, non è quello di “cercare il disagio: più che della spazzatura mi interessa vedere chi vive in quei posti” e documentare una realtà poco conosciuta—senza avere quello sguardo giudicante, e talvolta sprezzante, che contraddistingue il racconto mediatico usuale.

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Yuri.
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Cesare, l’ultimo pescatore di anguille di Roma.

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