Un omicidio può avvenire ovunque. Nelle case, nei parchi, negli uffici, fuori dai negozi di Oxford Street. Comunque, una volta che la polizia e la scientifica hanno fatto il loro lavoro e il giornale locale ha riportato i fatti, noi tutti tendiamo a dimenticare che sia successo qualcosa. Il che è piuttosto strano, perché, per una o due settimane, quel luogo prende un significato forte. Qualcuno è morto lì, e una patina di orrore potrebbe infestare la zona forse anche per anni. In realtà accade molto raramente. La vita va avanti, e quel luogo ritorna insignificante come tutti gli altri, un edificio anonimo su una strada anonima.
Il fotografo messicano Antonio Olmos, che vive a Londra, si è dedicato per due anni a documentare questi luoghi per il suo progetto The Landscape of Murder. Un suo libro con questo titolo è già uscito un paio di anni fa, ma il progetto è stato rispolverato in uno spazio espositivo del cinema Rich Mix di Londra. Ho visto le foto lo scorso weekend e ho voluto subito parlarne con Antonio.
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VICE: So che questo progetto è nato dopo l’omicidio di Jitka Nahodilova.
Antonio Olmos: Sì, io vivo in una parte di Londra chiamata Arnos Grove, vicino ad Arnos Park; un mio amico mi aveva detto che c’era stato un omicidio là vicino. Ero andato a dare un’occhiata alla casa dove si era consumato il delitto: non aveva niente di diverso dalla mia e non c’era niente che facesse pensare fosse stata la scena di un omicidio. Alcuni vicini addirittura non ne sapevano niente.
Avevo letto i giornali locali e avevo trovato solo un trafiletto—la notizia non aveva mai raggiunto le testate nazionali. L’omicidio di Jitka era stato un caso di violenza domestica, e in seguito avevo sentito di un altro caso simile a Walthamstow; avevo iniziato a fotografare le scene del delitto, ma non sapevo bene dove volevo andare a parare. Dopo qualche tempo c’era stato un fatto di sangue in cui erano coinvolti dei teenager a Walthamstow, e quello aveva fatto notizia. Intanto, avevo iniziato a notare delle differenze nel modo in cui venivano seguiti i diversi casi di omicidio.
Come hai fatto a venire a conoscenza di tutti questi omicidi se non compaiono tra le notizie?
Ho trovato un sito che si chiama Murder Map, gestito da un certo Peter Stubley, che segue tutti i casi di Londra. Ho iniziato a chiamarlo, e ho anche iniziato a tenere d’occhio il sito della polizia, in cui si può vedere a che cosa stanno lavorando. Poi, nel tempo, ho iniziato a seguire dei blog o i tweet di alcuni reporter, e ho iniziato a costruirmi una rete di contatti.
Chi sono questi contatti? Ci sono persone che seguono queste cose?
Ci sono un sacco di persone e di blogger che scrivono di tutto, ad esempio delle gang, e non per forza solo di omicidi. E alcuni di loro sono in grado di descrivere un omicidio in maniera molto più accurata della polizia. Ci sono anche organizzazioni a sostegno delle vittime di violenze domestiche che a volte twittano notizie su qualche omicidio. E poi c’è un tizio di Shepherd’s Bush; se succede qualcosa nella sua zona lui lo twitta nel giro di pochi secondi—non so come faccia. Ma le due cose che mi hanno aiutato di più sono il sito della polizia e la Murder Map.
Quali sono i posti a Londra in cui ti sei ritrovato più spesso? Sono cambiati durante il corso del progetto?
Be’, Lambeth e Tottenham sono due posti problematici, non c’è dubbio. Il posto che mi ha sorpreso di più è stato Croydon—ci sono andato svariate volte, non me lo aspettavo. Quando sono arrivato a Londra per la prima volta sono dovuto andare a Crydon per mettermi in regola con l’immigrazione, e mi era sembrato un quartiere molto bello, molto sicuro. Lo stesso discorso vale per Bexleyheath e Ealing, non mi aspettavo di andarci così spesso.
Quanto tempo facevi passare prima di recarti sulla scena del crimine?
Di solito cercavo di aspettare un paio di giorni, perché se ci vai subito trovi sempre la stessa scena: poliziotti e auto della polizia. In più gli agenti non ti fanno avvicinare, e io ho bisogno di vedere le cose da vicino. Una volta che se ne è andata la polizia rimangono le squadre forensi, e loro ti permettono di avvicinarti.
Quindi preferivi che la situazione si stabilizzasse un minimo?
Sì perché se no avrei scattato sempre la stesa foto. Anche se devo dire che qualche volta ci sono andato subito. Per esempio nel caso di un omicidio a Oxford Street, fuori da un Foot Locker, durante un giorno festivo. Mi ci sono recato il giorno stesso—ho pensato che con tutta quella folla sarebbe stata un’immagine interessante.
La cosa che mi ha colpito di più delle tue foto è che la scena rappresentata è spesso una scena quotidiana—una qualsiasi strada di Londra—che fa un bel contrasto con l’intensità del crimine.
Sì, la maggior parte dei luoghi che fotografo sono in un certo senso anonimi. Sono luoghi in cui la maggior parte di noi non è mai stata, e in cui non ha mai avuto bisogno di andare. Ci sono stati anche posti un po’ più conosciuti—un omicidio a King’s Cross, uno a Farringdon, uno a Marble Arch—ma al di fuori di questi erano tutti posti in cui non ero mai stato.
Omicidio #120, Cheryl Tariah, Barkingside, 7 febbraio 2012. Cheryl Tariah, 17, anni, è stata trovata strangolata in un appartamento a Barkingside, dopo che la polizia era stata chiamata dai vicini a causa dei rumori che provenivano dall’appartamento. L’autopsia mostrò che era morta per strangolamento. Il suo ragazzo, Ako Amin, 18 anni, ha cercato di abbandonare il paese dopo l’omicidio, ma è stato trovato attaccato sotto un camion a Dover dopo una fuga di tre giorni. Amin è stato giudicato colpevole e condannato a 10 anni di prigione.
Scattare queste foto ha cambiato il modo in cui guardi Londra? Passeggiare per un parco in cui sai che è stato ucciso qualcuno può fare un certo effetto, no?
In realtà non direi che il mio modo di vedere Londra sia cambiato. La città mi piace abbastanza, penso sia un bel posto dove vivere. È abbastanza sicura. Il tasso di omicidi per una metropoli così grossa è piuttosto basso.
Quello che è cambiato è la mia conoscenza di Londra, sono rimasto colpito da quanto è grande, e di quanto alcune sue parti siano isolate. Per esempio, New Addington o Tottenham, sembra che siano lontanissime dal centro di Londra. È solo qualche chilometro, ma sembra un altro mondo.
Hai scattato molte foto nei quartieri più ricchi?
Non sono mai andato a Kensington o a Chelsea, ma sono stato a Richmond. Il primo caso era quello di un impiegato delle pulizie ucciso, e poi venne quello di una madre uccisa dal figlio schizofrenico. Ma difficilmente finivo nel West End. Più che altro mi aggiravo per il nord est e il sud est di Londra.
Secondo te qual è il motivo? Forse il numero di omicidi è da ricondurre alla violenza giovanile?
Be’, dei 210 omicidi che ho documentato, penso che soltanto 20 fossero ricollegabili a delle gang, e forse altri 10 vedevano coinvolti dei ragazzi che non appartenevano a delle bande. Il motivo più comune di omicidio è la violenza domestica, al secondo posto ci sono le persone con problemi mentali, e poi ci sono droghe e alcool. Se ascolti i media sembra che tutti gli omicidi a Londra siano colpa delle gang. I giornalisti si concentrano su quelle storie, non riesco a capire bene perché.
Per finire, il tuo progetto ti ha portato a riconsiderare l’idea di morte? Ti ha desensibilizzato o qualcosa del genere?
No, no. Non ho mai visto un cadavere, la cosa peggiore che ho visto è stata del sangue per terra. Penso però di essere passato da uno dei tanti che passa davanti a un memoriale senza farci caso, a uno che si accorge dei fiori sul marciapiede, o dell’ambulanza che corre verso qualche scena del crimine. Adesso faccio attenzione a certe cose. Ora sono consapevole di quello che succede a Londra, di dove succede e di come succede.
Spero di non diventare mai insensibile alla morte. Ho due bambini piccoli, e da quando sono nati se sento parlare di bambini morti la cosa mi tocca molto di più. Penso che, rispetto a quand’ero giovane, la morte inizi a preoccuparmi di più. Non penso che avrei potuto fare questo progetto se fossi insensibile alla morte. Volevo essere estremamente consapevole di tutto quello che ha a che fare con la morte.
Qui sotto trovate altre foto della seria The Landscape of Murder: