Foto intime di sex worker nelle loro case

Lindsday Irene ha 32 anni ed è una fotografa di Ottawa. Da qualche tempo, ormai, collabora stabilmente con molte sex worker e scatta loro le foto per gli annunci online e i siti personali. Dopo l’approvazione delle cosiddette leggi SESTA-FOSTA negli Stati Uniti, la vita delle sex worker è diventata ancora più difficile. Le due leggi dovrebbero arginare le attività di sfruttamento sessuale online, ma per farlo applicano una censura severa e generale ai contenuti per adulti, ostacolando anche le prestazioni consensuali.

Ma la legge FOSTA sta avendo ripercussioni anche sulle sex worker in Canada, soprattutto perché molti siti che favorivano l’offerta di prestazioni sessuali consensuali—come il noto Backpage.com—hanno le proprie sedi negli USA. Qualche mese fa, Lindsay ha iniziato un progetto fotografico in cui ritrae le sex worker nell’intimità delle loro case.

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“Quando i media parlano di sex worker, fanno vedere la classica immagine di una donna sul ciglio di una strada con delle calze a rete,” spiega Lindsay. “Se la gente potesse vedere in faccia queste donne, scoprire il loro lato umano, si renderebbe conto che sono persone come tutte le altre, e questo forse potrebbe cambiare la loro percezione sul tema.”

VICE: Prima accennavi al fatto che le sex worker nell’immaginario comune sono rappresentate come un vero e proprio cliché, il che influenza l’opinione pubblica in modo negativo.
Lindsay Irene: È assurdo. C’è ancora moltissima strada da fare per modificare la rappresentazione delle sex worker. Non è semplice, la cosa più difficile per me è trovare i soggetti, devono essere persone che si sono già esposte, che vogliono mostrarsi.

Cosa speri di trasmettere con questo progetto a tutte le persone estranee al mondo del sex work?
Quando parlo con qualcuno al di fuori dell’industria, tutti hanno una percezione estremamente negativa del sex work. Molti pensano che le ragazze siano costrette contro la propria volontà, invece le persone che conosco io, lo fanno perché vogliono farlo, e perché ci guadagnano economicamente. E soprattutto, sono persone reali, come tutti noi.

Ci sono elementi comuni che hai notato nelle case delle sex worker in questa prima parte del tuo progetto?
Direi di no, sono tutte molto diverse. Alcune hanno dei coinquilini, o vivono sole. C’è molta diversità: sono passata da un appartamento nel seminterrato, a una ragazza che vive da sola in una casa gigantesca con due camere da letto. Come per ognuno di noi, le loro case riflettono le loro personalità: una di loro, per esempio, ha la casa piena di memorabilia di Star Trek. Alcune delle ragazze lavorano a casa. Alcune hanno una stanza separata per ricevere i clienti, mentre altre lo fanno sul loro stesso letto.

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Sienna.

A Toronto è abbastanza comune che le sex worker lavorino al di fuori della propria casa. Ci vuoi spiegare perché?
È una cosa comune, sì. Uno dei problemi a Toronto è che molti palazzi hanno un servizio di portineria all’ingresso. E quindi molte lavoratrici sono state ‘scoperte’ perché ricevevano molte visite sospette. Molte lavoratrici hanno appartamenti condivisi, che usano per incontrare i clienti. A Montreal, per esempio, ho visitato un condominio dove lavoravano almeno 50 sex worker, condividendo gli spazi. È bello vedere come le persone si aiutano a vicenda e condividono quello che hanno. Poi ovviamente c’è anche chi preferisce tenere il proprio spazio privato, perché ci ha investito tanto.

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Owen e Vivienne.

In una delle foto, ci sono due persone sedute a un tavolo insieme. Puoi parlarmi di quello scatto?
Sono entrambi sex worker, lui e lei. Mi sembrava carino immortalarli insieme. Si definiscono “partner”—anche lei si è trasferita da poco perché non si sentiva più sicura in quel condominio. Si conoscono da qualche anno ormai, hanno una relazione intima, di supporto.

A volte ho l’impressione che i clienti o i fan ci restino male quando scoprono che le sex worker hanno delle relazioni private.
Sì, è assurdo, non trovi? Mi sembra così strano che i clienti si infastidiscano. Una volta una persona guardando questa foto mi ha detto, “Be’, lei non potrà mai avere un ragazzo con il lavoro che fa.” E invece, ho risposto io, “Il suo ragazzo stava tenendo le luci mentre io scattavo la foto.” Insomma, sì è frustrante. Molte delle persone che ho incontrato per questo progetto hanno dei compagni, sono in relazioni aperte o monogame.

Molte sex worker non parlano ancora apertamente del loro lavoro, e questo rappresenta una difficoltà per chi vuole rappresentare la categoria, è così?
Questo è solo l’inizio del mio progetto, quindi spero di trovare sempre più diversità. Per ora, quello che ho fatto, è stato contattare delle sex worker che mostrassero già il proprio volto in chat o online. È difficile trovare ragazze di colore che vogliano mostrare il proprio volto, per esempio. Ho parlato con alcune di loro, alle quali ho scattato delle foto, ma mi hanno detto che hanno paura di essere vittime di violenza. Per alcune, c’entrano anche la famiglia e la cultura.

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Chloe.

Tra le persone che hai incontrato e fotografato, ci sono storie particolari che vorresti raccontare?
Chloe la conoscevo già perché mi aveva contattato per delle foto. È stata una delle prime persone che ho voluto coinvolgere nel progetto, e lei ha subito mostrato grande entusiasmo. Sono stata a casa sua, ha un appartamento di proprietà. Lavora come escort, ma fa anche l’operatrice telefonica di una linea erotica e lavora in un centro massaggi. La cosa che mi ha colpito di lei è con quanta determinazione proteggesse le altre ragazze dell’industria. Una volta ha inseguito un cliente in strada dopo che si era rifiutato di pagare una ragazza appena arrivata al centro massaggi.

Poi c’è Madison, la ragazza bionda con i capelli lunghi. Sembra che sia uscita da una campagna pubblicitaria, ma è una ragazza molto autentica, e sempre positiva. Mi ha raccontato che pochi giorni prima del nostro incontro stava andando negli Stati Uniti per lavoro ed è stata fermata alla frontiera. Nonostante non avesse mai mostrato la sua faccia [online, per lavoro], erano riusciti a individuarla accostando una sua immagine su Twitter con una foto del suo canale Instagram privato. Sono stati in grado di collegarla alla professione di sex worker, e l’hanno bandita completamente dagli USA. Dopodiché, ha deciso di fregarsene e si è mostrata online. Oggi è una delle voci più autentiche e rivendica con orgoglio la sua professione.

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Madison.

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