Anni ’80. Immaginate di essere un giovane jugoslavo e di avere la passione per i computer. Come vi sia venuta non si sa, visto che il Paese non è certo una Silicon Valley dell’est Europa. Magari avete letto qualcosa sui giornali esteri, magari un vostro amico di ritorno da un viaggio vi ha raccontato cose mirabolanti sul Basic, fatto sta che vi piacciono i computer. Be’, buona fortuna!
All’epoca le importazioni che eccedevano i 1500 dinari—circa 70 euro—erano proibite in Jugoslavia quindi, a parte qualche costosissimo esemplare sul mercato nero, era praticamente impossibile per il cittadino medio procurarsi una qualunque forma di elettronica personale che fosse più evoluta di un asciugacapelli.
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E fu per questo motivo che il serbo Voja Antonic inventò il Galaksija, un computer fai-da-te con una versione modificata di BASIC che chiunque con un minimo di conoscenze informatiche poteva assemblare e programmare. L’idea gli era venuta durante una vacanza in Montenegro mentre rifletteva sulla possibilità di creare un computer per tutti che non sfruttasse costose schede grafiche, ma generasse la propria interfaccia usando la CPU.
Il cuore del computer era un microprocessore poco costoso e facilmente ottenibile, lo Zilog Z80, lo stesso che stava alla base del Sinclair ZX Spectrum, anche se la potenza era molto più simile a quella del modello precedente, lo ZX81. Era semplice, era lento, ma era sempre meglio di niente.
Il principale sistema di memoria del Galaksija erano le audiocassette, la sua memoria era quella di una email odierna—ovvero: breve—e aveva solo tre messaggi di errore: COME? COSA? SORRY. Ciò nonostante dal 1983 è stato il banco di prova per ogni hacker, designer, informatico e ingegnere jugoslavo per tantissimi anni.
Il tempismo è la chiave del successo e proprio in quel periodo una rivista scientifica jugoslava, che guardacaso si chiamava Galaksija, stava pensando di lanciare un’altra pubblicazione dedicata all’home computing. La consacrazione arrivò quando l’esperto locale di tecnologia Dejan Ristanovic pubblicò “Računari u vašoj kući,” ovvero “Computer in casa vostra” in cui gran parte delle pagine erano dedicate al PC di Antonic. Dopo numerose ristampe le copie vendute del giornale superarono quota 120.000.
Antonic e Ristanovic finirono per collaborare, dando vita a lunghissime serate di brainstorming intervallate da lunghe sessioni di test e coding del sistema operativo mentre preparavano i diagrammi di montaggio del computer da inserire nella rivista.
I due pensavano che riuscire a piazzare 1000 computer avrebbe rappresentato un successo incredibile da salutare con brindisi a profusione—le loro stime si aggiravano tra i 50 e i 500, ma alla fine i Galaksija venduti in tutta la Jugoslavia furono più di 8000.
L’aspetto singolare della cosa era che non ne esistevano in tutto il Paese due esemplari identici: la particolarità più grande del Galaksija era infatti legata al fatto che, essendo un kit sprovvisto di case, permetteva il massimo della personalizzazione, dunque ognuno poteva sbizzarrirsi con design dell’esterno che andavano dal minimalista all’improvvisato.
Era semplice, era lento, ma era sempre meglio di niente.
Il Galaksija fu anche protagonista di una versione decisamente pioneristica di file sharing. Avvalendosi di audiocassette come supporto di memorizzazione, i suoi programmi potevano essere propagati usando i suoni, come ben sa chiunque abbia mai provato a far partire un gioco su un Commodore 64. Così Radio Belgrado, durante il programma Ventilator 202, mandava in onda i “suoni” dei programmi in modo che le persone potessero registrarli sulle proprie audiocassette e creare così un archivio di software e giochi condiviso. Alcuni dei programmi erano ovviamente creati e condivisi dagli stessi ascoltatori della radio e in totale furono circa 150 i file condivisi in questo modo.
Zorna Modli, che all’epoca conduceva il programma, doveva ogni volta avvisare i tecnici che se avessero sentito degli strani rumori nei prossimi due minuti non c’era assolutamente nulla da preoccuparsi, allo stesso modo doveva avvisare il pubblico, così che gli ascoltatori fossero pronti a registrare la sequela di fischi e suoni metallici tipici di un codice trasmesso via audio.
Dopo la prima trasmissione, il pubblico intasò i centralini della radio per congratularsi dell’idea, mentre i dirigenti dell’emittente ne furono scandalizzati. Modli dovette passare parecchio del suo tempo libero a fargli capire che stavano assistendo a una rivoluzione nel mondo nella radio e che dovevano esserne fieri, non costernati.
Il Galaksija continuò per molti anni la sua cavalcata trionfale e infine ne uscì una versione commerciale: molte scuole lo utilizzarono per insegnare i rudimenti d’informatica alle elementari, finché non diventò ufficialmente troppo obsoleto e altri sistemi furono finalmente disponibili al grande pubblico.
Nel 1995 il suo creatore decise di buttare via tutti gli esemplari in suo possesso perché non era più interessato, tuttavia scovò poi in cantina un ultimo superstite che oggi fa bella mostra di sé nel Museo della scienza e della tecnologia di Belgrado.
Nonostante la sua tecnologia ormai preistorica, il Galaksija continua ad affascinare gli amanti dell’informatica che gli hanno dedicato monografie, tesi, emulatori e persino un nuovo software. D’altronde se con la Lomo abbiamo recuperato le vecchie macchine fotografiche perché non farlo anche con i computer fatti in casa?