Doveva essere “una grande novità per il nostro paese,” una “risposta concreta a un’autentica emergenza sociale,” secondo le parole pronunciate il primo maggio 2014 dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti.
Garanzia Giovani, un piano europeo che prevede l’erogazione di fondi per i paesi membri con tassi di disoccupazione sopra al 25 per cento, mira ad aiutare i giovani NEET (Not in employment, education or training, cioè che non lavorano, non studiano o non si stanno formando) a tornare attivi, migliorare l’occupabilità e cercare un impiego.
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Le premesse erano buone — un piano mai visto in Italia, sostenuto da 1,5 miliardi di euro di finanziamenti, con il coinvolgimento di tutte le regioni, dell’INPS, dei centri per l’impiego e delle imprese, con un possibile bacino di utenza intorno ai due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni; e ci sono stati senza dubbio alcuni successi. Ma le critiche dei ricercatori e dei giovani che hanno partecipato al progetto sono molteplici.
Secondo i dati aggiornati al 4 agosto 2016, più di un milione e 118mila persone si sono iscritte al programma Garanzia Giovani; al netto delle cancellazioni, il numero di registrati è di 954mila.
“È un numero notevole — i giovani hanno risposto bene a questo piano,” dice a VICE News Francesco Seghezzi, ricercatore di ADAPT, associazione per lo studio e la ricerca nell’ambito delle relazioni industriali e del lavoro. “Si può dire che i giovani italiani sanno qual è la loro condizione, non sono solo e unicamente i famosi ‘bamboccioni sul divano’ che non hanno niente da fare, non si interessano. Guardando il bicchiere mezzo pieno, [gli iscritti] sono tanti.”
Ma a guardare – invece – i numeri più nel dettaglio, si iniziano a scorgere i primi problemi.
A essere presi in carico dal programma sono stati 742mila giovani — segno che quasi 200mila ragazzi non sono ancora stati contattati dai centri per l’impiego e dalle agenzie interinali per procedere con la pratica. Tra le persone contattate, solo circa 375mila hanno ricevuto una proposta, che può essere un contratto di tirocinio, apprendistato, servizio civile, bonus occupazionale o sostegno all’imprenditoria.
Si tratta di circa un terzo delle persone registrate al programma, e un numero così basso, secondo Seghezzi, può costituire un problema proprio nel raggiungimento dell’obiettivo primario del programma — dare fiducia ai giovani e farli rientrare nel mercato del lavoro.
“Questa è una delle problematiche principali. Se tu vai da un giovane scoraggiato e gli dici ‘Ti aiuto’ e quel giovane ci sta, e poi dopo diversi mesi tu non gli dai una risposta, lo scoraggiamento non fa che peggiorare.”
La qualità delle proposte
Sempre guardando i dati, si scopre che spesso il tipo di proposte che vengono fatte ai giovani non sono necessariamente indirizzate all’inserimento nel mercato del lavoro a lungo termine.
Secondo i dati pubblicati dall’Isfol il 21 giugno 2016, la maggior parte dei giovani accetta proposte per i tirocini extra-curriculari (più del 64 per cento delle azioni avviate), seguiti da accompagnamento al lavoro (11,2 per cento) e bonus occupazionale (10,5 per cento). L’11,1 per cento viene avviato su percorsi di formazione, sia per l’inserimento lavorativo, sia per il reinserimento nei percorsi di formazione professionale.
La forte preponderanza dei tirocini, che non prevedono un contratto e che hanno una durata tra i tre e i 12 mesi, è sintomo di un’offerta lavorativa ancora precaria, non contrattualizzata e quindi meno garantita, e che spesso nasconde la mancanza di volontà di assunzione.
“Non vuol dire per forza una cosa negativa, ma sappiamo che tante volte i tirocini in Italia sono utilizzati per risparmiare sul costo del lavoro: Garanzia Giovani a volte è stato un modo per fare i tirocini ancora più a basso costo, spesso a discapito dei ragazzi,” spiega Seghezzi.
Come osservato da VICE News e dallo stesso Seghezzi, infatti, sul sito di Garanzia Giovani tante offerte di tirocini non sono rivolte a ragazzi alle prime esperienze che hanno bisogno di imparare il mestiere, ma a professionisti con esperienza a cui, di norma, dovrebbe essere offerto un contratto e non un tirocinio.
Seghezzi, ad esempio, segnala un annuncio di un tirocinio per un “operaio edile con dieci anni di esperienza,” mentre VICE News ha visionato sul portale un annuncio di un tirocinio per sei “mondatori per la lavorazione di cefalopodi e pesci”: tutte mansioni per cui sarebbe più appropriato un vero contratto.
E il problema è che raramente il tirocinio si trasforma poi in un contratto: “Circa il 35 per cento i ragazzi vengono confermati dopo un tirocinio,” spiega Seghezzi. “Il che è sempre meglio di niente, però stiamo comunque parlando del 65 per cento dei tirocinanti che a un certo punto vengono lasciati a piedi.”
Anche qui, si rischia di avere un impatto negativo non solo sullo status occupazionale dei ragazzi usciti da Garanzia Giovani, ma anche sulla fiducia che questi hanno nella possibilità di trovare un impiego stabile e dell’efficacia del sistema pubblico di assistenza occupazionale.
Cosa pensano i ragazzi
Molti ragazzi iscritti a Garanzia Giovani sono i primi a criticare questi aspetti.
Diversi giovani hanno raccontato a VICE News come, una volta iniziato un tirocinio sotto il patrocinio di Garanzia Giovani, i datori di lavoro hanno assicurato che ci sarebbe stato un contratto alla fine del tirocinio; contratto che però dopo sei mesi non si è visto, lasciando i ragazzi a casa.
A questo, va a sommarsi il forte ritardo nei pagamenti delle indennità ai ragazzi, soprattutto in alcune regioni. Un problema che non deriva direttamente da come è stato ideato Garanzia Giovani, ma dal coordinamento disorganizzato tra regioni e INPS, ma che comunque costringe molti a lasciare il programma in quanto non possono permettersi di lavorare senza paga.
Da luglio dello scorso anno Giuliana Frisoli, laureata in lingue e traduttrice di professione, ha lavorato come segretaria e tuttofare per una grande azienda. “Tutto questo senza vedere un centesimo (né dalla Regione, né dall’azienda) fino dicembre 2015, con la scadenza del contratto a fine gennaio,” racconta a VICE News. “Inutile dire che in quei mesi ci ho rimesso in totale (tra trasporto, pranzo al sacco ogni giorno e almeno un caffè) un’intera mensilità di Garanzia Giovani.”
Serafino De Simone, 24 anni, di San Giovanni in Fiore (Cosenza), ha svolto un tirocinio presso un’attività di lavaggio veicoli. “Ad oggi, ovvero a 8 mesi dal termine e quindi a 13 mesi dall’inizio del tirocinio, ancora aspetto di essere rimborsato,” scrive a VICE News. “Ora continuo a inviare curriculum e a chiedere a conoscenti per cercare un impiego. Il lavoro ci sarebbe anche, ma purtroppo è sottopagato.”
Ritardi nei pagamenti sono stati segnalati anche da Catia D., che ha svolto un tirocinio in un’azienda della regione Lazio, dove l’indennità di 500 euro è ripartita in 200 euro pagati dalla società e 300 euro dall’INPS, che dovrebbero arrivare ogni due mesi.
“Ho iniziato il primo aprile 2016 a fare un tirocinio con Garanzia Giovani e sono quasi al termine dell’esperienza. Il 30 settembre finisco, ma finora da parte dell’INPS non ho ricevuto alcuna mensilità. Fortunatamente i soldi dati dalla mia azienda arrivano sempre puntualissimi,” scrive a VICE News.
Nonostante i ritardi nei pagamenti, l’esperienza di Catia con Garanzia Giovani è stata positiva: è riuscita a fare un tirocinio perfettamente in linea con i suoi studi circa sei mesi dopo la laurea; ha aggiunto un’esperienza importante al suo curriculum e ha in mente di iscriversi presto alla specialistica. La sua valutazione favorevole del piano, probabilmente, deriva dal fatto che un tirocinio era proprio quello che cercava, al contrario di altri che invece erano alla ricerca di un contratto a lungo termine.
Come Valerio Innocenzi, 29enne di Roma, che spiega a VICE News di aver abbandonato Garanzia Giovani prima della fine del suo tirocinio, in quanto al ritardo nei pagamenti si andavano a sommare le promesse vuote del datore di lavoro, che continuava a parlare di un futuro contratto che non si è mai concretizzato.
“A 29 anni non posso permettermi di lavorare gratis, senza poi approdare ad un contratto come si deve,” ci dice.
Garanzia Giovani, due anni dopo
Dopo due anni e mezzo di progetto, senza dubbio alcuni passi avanti sono stati fatti. Rimangono però alcune criticità, che evidenziano anche i problemi strutturali del sistema occupazionale italiano — dai centri per l’impiego lenti e disorganizzati, che ci hanno messo dei mesi per carburare e affrontare tutte le richieste dei giovani, alla difficoltà per le aziende ancora oggi, anni dopo la recessione, ad assumere e ad affrontare il costo del lavoro.
“Sicuramente rispetto alle aspettative e ai soldi investiti è difficile sostenere che sia stato la politica del secolo,” suggerisce Seghezzi. “Definirlo un flop mi sembra esagerato: laddove qualche giovane trova un lavoro, un minimo di risultato c’è. Detto questo, rispetto ai soldi investiti e ai giovani coinvolti, i problemi principali sono la qualità del lavoro offerto e la durabilità dell’impiego. Su questo fronte c’è ancora tanto da lavorare.”
Anche perché il problema dei NEET, in Italia, non accenna ad alleviarsi. Dopo la Grecia, infatti, siamo il paese europeo con il maggior numero di giovani che non lavorano, non studiano e non si formano: sono circa 2,4 milioni, il 26 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni.
“Per i NEET italiani la situazione è stazionaria/in peggioramento. Non s’è vista una grande riduzione, mentre si è visto un leggero miglioramento nella disoccupazione giovanile: parliamo comunque del 39 per cento dei giovani [a luglio], che rispetto al 41 per cento [del passato] è qualcosa in meno, ma la situazione resta pur sempre molto grave.”
E non saranno i risultati di Garanzia Giovani a risollevare la situazione in quanto, come spiega Seghezzi, “una politica speciale come questa, unica nella storia, con molti molti soldi, non può dare dei risultati nell’ordine dello ‘zero virgola;’ deve dare risultati intorno al due, tre, quattro per cento, ci vogliono numeri di questo tipo e anche di più, sennò ci mettiamo quarant’anni a recuperare i giovani.”
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Foto di Giacomo Carena via flickr rilasciata su licenza Creative Commons