“Cuoce la polenta, la miscela una quantità calibrata di gorgonzola, la trasforma in gelato e la guarnisce con fiocchi croccanti di mais”
Questo è un articolo sui gelati più strani di Torino. E sembrerebbe una cosa semplice. Ma questa è una città che ama stare tutta chiusa su se stessa, sia fisicamente – tra il Po e le Alpi, sia metaforicamente: ci si circonda di persone conosciute, si diffida degli altri, si sceglie un quartiere. Quindi, anche con il gelato non si scherza.
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Passando di cono in coppetta, ho però scoperto che la comunità di gelatai di Torino è molto unita e formata da professionisti che non vedono l’ora di condividere le loro creazioni. Intanto vi svelo quello che ho capito dopo infiniti assaggi e un po’ di fisiologica pesantezza. Il mondo del gelato a Torino si divide in una discreta quantità di gelaterie buonissime e storiche, perlopiù tradizionali, con qualche sbandata artistica. Poi ci sono quelle che hanno creato il nuovo trend dei franchising che uniscono qualità e grandi numeri, nati con Grom ed evoluti in Marchetti. Infine, c’è una nuova scuola di gelatai creativi e appassionati, che sperimenta con il gusto, ma che comunque se deve puntare tra un nome strano e “acchiappa like” o un prodotto di qualità non ha dubbi e va sul secondo. Ma andiamo con ordine.
Più di un gelato
Lo noterete per la coda che si crea in qualunque momento dell’anno a lato di una delle piazze più belle di Torino, piazza Carignano. Incastrata nella Galleria Subalpina, questa gelateria ha tutti i gusti classici, ma trovo due opzioni che stuzzicano la mia voglia di novità.
Prendo un cono mimosa e fior di menta. La mimosa è una crema al limoncello resa ruvida da pezzetti di paste di meliga (un biscotto tipico fatto di farina di mais, memorizzatelo perché è una delle “stranezze” che torna spesso) e scorza di limone. È buono perché rende più godurioso un gusto fresco come il limone che per me è sempre stato troppo sano per soddisfare la voglia di dolce.
Il fior di menta è molto semplice, eppure mi convince: il fior di latte (uno dei gusti da assaggiare sempre per capire se un gelato è buono) è cremoso ma variegato da pezzetti di menta fresca che, congelati, diventano croccanti e sprigionano quel profumo di natura che racconta benissimo i campi della provincia, dove la menta cresce selvaggia e coltivata (come a Pancalieri). No coloranti, richiamo al territorio: ottima rivisitazione.
Caffè Miretti
“Il gelatiere è un sarto che si cuce la sua ricetta”
Sempre in centro, vado in cerca di un gusto di cui ho letto su internet: la Crema di San Giovanni, creato appositamente per la festa del patrono della città e, quindi, disponibile solo a giugno. Al primo colpo d’occhio il locale storico e la scelta di gusti standard mi lascia un po’ fredda. Ma per fortuna il signor Leonardo Della Porta adora parlare di gelato e, dopo avermi stregato con un tris fior di panna, gianduia e cioccolato belga, mi dice di tornare qualche giorno dopo che mi farà assaggiare la celebre crema.
Intanto, il fior di panna è fatto solamente con panna, latte e zucchero e sa di nuvole; il gianduia—il classico dei classici—è assurdo per come ti lascia in bocca la stessa sensazione del cioccolatino (merito della parte di fondente aggiunta alla base di nocciole e cacao) e il cioccolato belga in realtà è un fior di panna scuro in cui è frantumato del cioccolato belga come a sancire il legame tra Torino e i porti del nord in cui la materia prima arrivava.
Ottimo, ma la curiosità resta, soprattutto quando Leonardo mi dice che “Il gelatiere è un sarto che si cuce la sua ricetta” e io non vedo l’ora di provare il suo abito per San Giovanni.
Quando torno, non c’è una coppetta monogusto ad aspettarmi, ma tre vassoiate di gelati appena fatti: tre ricette speciali che vengono proposte a rotazione ma che io ho l’onore di assaggiare tutte insieme. Iniziamo dal Bangkok, una creazione ispirata da un viaggio in Thailandia: l’ananas viene passata in forno per eliminare tutta l’acqua in eccesso ed esaltare il gusto, dopodiché al frutto si aggiungono paprika dolce e sale. Anche se non amo la frutta, la sapidità aggiunta è molto rinfrescante, perfetta per prepararmi a quel che sta per arrivare.
Polenta concia. Regina degli inverni e delle estati in rifugio, perché privarsene d’estate? Basta trasformarla in gelato, cosa che il signor Leonardo letteralmente fa cuocendo la polenta e poi miscelandola con una quantità calibrata di gorgonzola e guarnendola poi con fiocchi croccanti di mais. Io che amo il gorgonzola sono incuriosita e intimorita, ma tutto è stato pensato nei dettagli, così che il gusto del formaggio arriva solo dopo, quando il palato si è abituato alla polenta. Molto più delicato di quanto stiate immaginando.
E poi arriva lei, la crema di San Giovanni. Volevo assaggiarla più che altro perché la storia è molto interessante: si tratta di una revisione del “pane della carità”, che veniva donato intorno al 1800 ai nobili e alle autorità ecclesiastiche—oggi dato a chi va a messa nel giorno del patrono—e quindi pieno di ingredienti ricchi come lo zafferano e il pepe. Appena lo assaggio mi esplode in bocca la piazza in festa: lo zafferano sta indietro avvolgendo tutto ma senza esagerare e il pepe rosa (scelto perché più agrumato di quello bianco) scoppietta come i fuochi d’artificio la notte di San Giovanni. Il tutto tenuto insieme dai bordi di un pan brioche preparato apposta per la gelateria Miretti secondo la ricetta di un pasticcere torinese che la definì 50 anni fa (potete assaggiarlo puro nei tramezzini).
Qui capisco che la bravura del gelataio sta lì, nel saper gestire i cambiamenti di stato della materia per poterci raccontare una storia con un cucchiaino.
Il gelato amico
Ora, credendo di aver capito qualcosa in più sull’essenza dei gelati, mi dirigo felice fuori dal centro, alla ricerca di altri prodotti artigianali che sappiano sorprendermi. Quando arrivo a Piazza Benefica il caldo non cede, e mi sembra una fortuna che proprio qui ci sia Il gelato amico, ovvero una gelateria tutta dedicata ai gelati senza latte.
Da amante della pannosità sono scettica e non lascio scampo: ordino gianduiotto e fior di! (riso), tanto per capire se i miei desideri di morbidezza possono essere appagati anche in versione vegan. Il gianduiotto è buonissimo, più leggero e fresco di quelli tradizionali ma pieno di gusto. Il fior di! sa effettivamente di crema di riso, con morbidezza assicurata.
La Tosca
Poco distante, c’è San Donato, un quartiere di tradizione popolare fatto di case liberty e palazzi di ringhiera. Qui gelaterie, caffetterie e pizzerie storiche non mancano e la coda di viandanti accaldati che si schiaccia lungo il marciapiede tradisce subito la presenza di un mastro gelataio. Il locale è rigorosamente granata e i gelati presentati in due frigoriferi rotondi non rendono particolarmente giustizia alla materia, ma hanno un aria retrò.
Mi è però subito chiaro che il gusto da provare sia il moscato, che abbino a biscotto di meliga e cioccolato. Anche se la meliga mi delude un po’ perché sa molto di latte ed è poco grumosa, il moscato è davvero spettacolare: è fatto senza latte, direttamente con il vino, che nel processo bilancia perfettamente l’acidità e la dolcezza.
Scopro che il moscato mi piace molto più in cono che nel bicchiere, dove la sua dolcezza solitamente mi dà fastidio.
D’Antan
“Ci sono anche i gelati gastronomici in barattolo al gorgonzola, grana, pomodori”
Anche qui basta spostarsi di poche centinaia di metri per arrivare a una nuova e incredibile gelateria. Il mood è completamente diverso: colori pastello, grandi sorrisi di benvenuto, ma quello che mi colpisce di più è un mega cesto di pesche dietro al bancone. Sentirne il profumo, vedere gli ingredienti da concretezza al gelato, ti fa capire che quello che stai per mangiare non è solo morbidezza e zucchero, ma che ha un legame diretto con la natura.
Presa dall’emozione ordino un cono con tutti i gusti meno convenzionali: ananas e mentuccia, lampone e malvasia e maracuja stracciata. Il primo è molto fresco, il secondo mi viene subito da paragonarlo al moscato ma è un’altra cosa, molto più frutto che vino. Ma la verità è che tutte le mie papille gustative sono in festa per la maracuja. Dolce, acida, interrotta dal cioccolato: buonissima.
Antonella mi suggerisce anche il pistacchio integrale mono origine e Nicolò, il gelataio, mi svela che le pesche si trasformeranno nel gusto che per i piemontesi è estate per antonomasia: il Persi Pien, ovvero pesche ripiene di cioccolato e amaretto. Come se queste scuse non bastassero per tornare, ci sono anche i gelati gastronomici in barattolo al gorgonzola, grana, pomodori. Ecco, ho fatto il passaggio dalla gelateria storica a quella della Torino contemporanea. A questo punto del giro non mi è ancora chiarissimo, ma a livello inconscio so che questi gelati e questa modalità di essere mi funziona e mi fa venir voglia di tornare a provare gusti che continueranno a cambiare.
Casa Clara
Quando il caldo è ai livelli massimi, scelgo di spingermi nell’estrema periferia nord, in cerca di un posto di cui mi hanno parlato dicendo che sembra di essere in un altro mondo. Appena entro nel giardino quasi non so chi sono e vado dritta verso i gelati dove mi circondano colori brillanti, teste di moro e numerosi rimandi alla Sicilia.
Siamo in quello che era il dopolavoro degli operai delle concerie, un luogo storico nel quartiere, e che Silvia Wdowiak, una donna dall’energia indomabile, ha trasformato nell’oasi per eccellenza: Casa Clara. Quando la incontriamo, Silvia è di ritorno da Palermo dove ha appena vinto il terzo posto con il suo gelato “bugianen” con cioccolato e liquore ratafià.
Certo, qui si parte dai gelati, ma è davvero un altro mondo: quello della bontà possibile e condivisa in un’area difficile della città. Qui ci si trova per aperitivi, granite con e senza alcol, assaggi di prodotti di botteghe di quartiere o semplicemente per mangiare un gelato nel giardino ombreggiato dove mi siedo per recuperare le forze.
Nel frigo ci sono dodici gusti fissi e quattro a rotazione, tutti fatti con latte di cascina e quell’attenzione agli ingredienti che ho imparato a notare nelle migliori gelaterie. Prendo un tributo alla Sicilia, terra che ha fatto sciogliere il cuore polacco di Silvia: Piana Catanese è un gusto alla mandorla e croccante al sale che ti porta sull’isola senza indugio, mentre il cioccolato bianco e croccante al muscovado è proprio quel che mi serviva per tornare in me tra turbini di dolcezza e il retrogusto caramellato dello zucchero.
Come extra mi viene offerto il nuovo gusto “Bugianen” fatto con massa di cacao venezuelano 100% e liquore ratafià con mandorle amare e ciliegia. Non c’è latte ma solo la maestria di chi sa rendere cremoso il gelato utilizzando solo i grassi del cacao.
Si potrebbero passare le ore con Silvia a parlare di gelati, di viaggi per il mondo in cerca di materie prime, scucchiaiando gusti tradizionali e granite, e provando shottini di liquore, ma il nostro giro non è ancora finito.
Mara dei Boschi
Per fortuna ho le idee molto più chiare e le papille allenate quando arrivo da Mara dei Boschi nella sua bellissima sede in Piazza Carlina. Dentro legno minimal e ospitalità, fuori una piazza molto torinese e preziosa. Mara dei Boschi si definisce un “laboratorio esperienziale e di ricerca nei mondi del gelato del cioccolato e degli specialty coffee e il suo “contemporary fine gelato” potrebbe sembrare pretenzioso se non fosse tutto vero. Riccardo Ronchi e Edoardo Partone fanno parte di quella minoranza di torinesi che è in continua ricerca di qualcosa di nuovo e perfetto, che non si fa bastare quello che è stato fino ad ora.
Ecco perché sono contenta di essere accolta da Andrea Giorgis, il gelataio che mi racconta con trasparentissima passione tutto ciò che sta dietro i vari gusti: Panera è un fior di panna sporcato di caffè tostato e macinato home made con extra shot di caffè mono origine 100% Brasile, mentre il Bocuse—che è una bomba—è una rivisitazione della ricetta del grande chef che parte da una base di pistacchio di Sicilia, aggiunge limone candito e croccante salato. Mi stupisce un sacco la liquirizia con il basilico, capace di creare un mix che non è né uno né l’altro, e che mi fa apprezzare la liquirizia che solitamente detesto.
Qui il concetto di gusto “strano” non tende a stupire, ma a mettere in discussione la tradizione anche nei gusti più classici avendo sempre come obiettivo quello di esaltare i gusti e far provare emozioni. L’esempio per eccellenza è il Marotto, il signature gusto che fondamentalmente è un gianduia vegano che ruba i grassi dalla nocciola per stabilizzare il cacao senza aggiungere il latte. Mi pare sia stata questa la rivoluzione del gelato torinese: iniziare a staccarsi dalla tradizione senza combatterla, ma ponendole delle domande e cercando nuove risposte. Motivo per cui da Mara dei Boschi non sono nati soltanto nuovi gusti di gelato, una nuova attenzione ai caffè e alla cioccolata, ma nuove menti che stanno ora portando avanti questo metodo, come D’antan e Aria.
Aria
Quindi quando Davide Ferrero mi dice che Aria non vuole essere solo una gelateria, ma un luogo dove ci si regala un momento di felicità, tutto torna.
L’interno è fatto di colori accesi, neon colorati e una buona dose di spontaneità, a dispetto delle gelaterie tutte linde e un po’ asettiche. Qui la voglia di divertirsi la si incontra anche nella lavagna dei gusti, con arachidi e lime, banana caramellata in forno, ricotta poppy seeds e limone e caramello e pop-corn, preparato con sale e burro della Normandia.
Aria è l’ultimo arrivato, sospinto da questa ventata di cambiamento alla piemontese e, mentre sento il pop-corn scrocchiare sotto i denti, penso che alla fine mi piace come la diversità ci metta un po’ ad attecchire in questa terra, ma come alla fine, grazie all’ingegno di qualche cocciuto artista, le cose nuove hanno davvero carattere e, in questo caso, un gusto unico.
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