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L’uomo che di mestiere fa il Giardiniere Culinario in uno dei ristoranti più importanti d’Italia

Enrico Crippa ed Enrico Costanza condividono lo stesso nome di battesimo, la città dove vivono e lavorano (Alba, nelle Langhe), e almeno due ossessioni: il gusto e la perfezione.

Il primo è lo chef del ristorante Piazza Duomo di Alba, che nel 2012 ha ottenuto la terza stella Michelin; il secondo è il culinary gardener del ristorante, cioè la persona che cura le serre e l’orto dove vengono coltivate verdure, fiori e piante che finiscono nei piatti di Crippa.

Foto per gentile concessione dell’autrice

Prima di parlare con Enrico Costanza la mia idea di orto si basava sul destino comune degli orti per come li ho sempre immaginati: luoghi di fatica dove coltivare e raccogliere piante e fiori per consumarli e venderli, sperando che non ci siano intoppi di natura meteorologica. Un lavoro duro e, anche se in mezzo alla natura, alquanto grigio e ordinario.

Ora che so cosa fa l’ortolano – pardon, il culinary gardener – di un ristorante stellato, sento che la mia visione sta cambiando: un orto può essere un progetto di sperimentazione culinaria, una tecnica di cucina che viene padroneggiata a quattro mani, e soprattutto un piano di dominazione del mondo vegetale portato avanti da chi è ossessionato dal gusto. “Si parte da una verità assiomatica, lapidaria, monolitica: quello che ti fai tu, con le dovute attenzioni, ha un sapore diverso” mi spiega Enrico parlando delle differenze rispetto agli ortaggi e alle piante delle produzioni ‘industriali’ “È proprio un altro pianeta”. Il suo orto è un posto vivo, caotico, di ricerca e di errori, dove a un ritmo velocissimo si lavora per una grande cucina.

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Foto per gentile concessione dell’intervistato

Quali sono i numeri dietro un orto di un ristorante con tre stelle Michelin?

1 serra in vetro di 400 mq attiva 365 giorni all’anno
5 serre non riscaldate
3 orti en plein air
350 piante coltivate tra specie botaniche e ibridi
3 giardinieri ortolani e 2 assistenti

Tutto questo per coprire gli 80 coperti al giorno che fa Piazza Duomo: un lavoro immenso, rapido e impeccabilmente strutturato. Tutto viene organizzato come una catena di montaggio del gusto: l’obiettivo finale è avere un prodotto sempre fresco e al massimo del suo sapore.

Questo significa che alle 22.30 di ogni sera si prepara la lista delle verdure, frutta e fiori che servono per il giorno dopo, che viene inviata al culinary gardener. All’alba c’è la sveglia per raccogliere le piante in lista: si confezionano circa 50 cassettine stile ortofrutta. Ogni mattina alle 8.00 lo chef Enrico Crippa passa a ritirare le piante e alle 8.30 le verdure entrano in cucina, per essere lavate, mondate, e asciugate perché arrivino alla sera. Alle 12.00 si portano i fiori al ristorante, per preservare la loro freschezza.

“Nel nostro lavoro c’è una componente maniacale indiscussa. C’è una grandissima attenzione sui colori, sul cromatismo, sul gusto, il tutto fuso in un’alchimia che solo Crippa sa creare”. Il menu viene programmato una stagione prima. Una volta deciso, il culinary gardener procura le sementi, le mette a dimora nella terra, le accudisce, le fa crescere, le raccoglie e solo in quel momento, un anno dopo, sono pronte per essere portate in cucina.

Foto per gentile concessione dell’intervistato
Foto per gentile concessione dell’intervistato

Io sono stanca solo sentendolo parlare e chiedo a Enrico Costanza: ne vale davvero la pena? Ha senso per un ristorante prendersi carico della gestione di un orto per i suoi piatti? Mi sembra un lavoro così oneroso, che comporta enorme fatica, per cui serve personale extra (qui gli ortolani sono tre, insieme a due assistenti): quindi, appunto, ne vale così tanto la pena?

La risposta breve è: sì, perché l’orto è una tecnica dello chef – se vuoi essere uno chef che lavora ai livelli di un ristorante come Piazza Duomo. Ovvero un ristorante dove la cucina è all’80% vegetale, e dove il piatto finale deve essere perfetto, ma anche il frutto di una ricerca del gusto che è insieme personale, culturale e botanica. Sapere cosa coltivi, cosa vuoi ottenere dalla terra significa controllare il sapore, e anche un po’ la natura: è l’ossessione di cui parlavamo prima, è cucinare nella testa ancora prima di cucinare ai fornelli.

“Hai degli esseri viventi davanti, come delle persone che cambiano carattere e umore. Però no, non parlo con le piante, anche se sono individui”

“È un progetto di coltivazione alternativo: non raccogli secondo le regole del mercato, ma prepari le piante della consistenza e della taglia che vuoi. È cucinare nella testa e nella terra ancora prima di cucinare ai fornelli.” Qui nell’orto si coltivano piante che non trovano nei mercati, o dai fornitori: magari trovi la stessa pianta, ma solo se sei un ristorante che ha il proprio orto puoi decidere quando raccoglierla.

È qui che rientra in gioco la ricerca assillante del gusto: ogni verdura, ogni pianta, ogni fiore vengono continuamente assaggiati, per conoscere il loro ciclo vitale e raccoglierle quando sono al massimo del loro sapore.

Foto per gentile concessione dell’intervistato
Foto per gentile concessione dell’intervistato

L’orto è una creatura vivace che cambia ogni giorno, modificando texture, gusto, croccantezza, filamentosità, dolcezza, amarezza, fibrosità delle sue protagoniste, le piante: ogni giorno chef e culinary gardener addomesticano la natura per offrire ai clienti del ristorante un sapore che non hanno mai assaggiato. Una carotina minuscola, una foglia di taglia S invece che L, piante zuccherine usate al posto dello zucchero normale. “È una cosa ossessionante e ossessiva, ed è bellissima: tutto cambia. Hai degli esseri viventi davanti, come delle persone che cambiano carattere e umore” mi spiega Enrico e, quasi a precedere la mia domanda successiva: “Però no, non parlo con le piante, anche se sono individui”.

È una sperimentazione continua: rispetto a quello che conosci, giochi con quello che hai assaggiato in un mercato o che hai solo immaginato, magari dalle pagine di un libro. Si fanno sempre delle prove, seminando qualcosa che non hai mai provato. Se piacciono, allora possono essere messi in produzione, e passerà quindi un altro anno prima che siano pronti.

Foto per gentile concessione dell’intervistato
Foto per gentile concessione dell’intervistato

La perfezione di un piatto nasconde una terra che non sta mai ferma, una ricerca del gusto che sa andare fino alle radici. Alla fine dell’intervista i due Enrico si confondono nella mia testa. Serra e fornelli, orto e cappa si uniscono in una sola immagine dentro Piazza Duomo: quella di un piatto vivo, un laboratorio fatto di aria, acqua e fuoco.

In ultimo, un consiglio per i lettori di Munchies da Enrico Costanza: cosa coltivare nel vostro orto sul balcone? Il basilico thai, con una deliziosa nota esotica, e la Balsamita Maior, un’erba amara che sa di gomma di masticare: perfetta per le vostre paste ripiene!

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