Quando chiedi a una persona che fa musica strumentale perché le sue canzoni si chiamano come si chiamano, spesso ottieni risposte poco dettagliate. Senza un testo a cui aggrapparsi i titoli vengono raccontati come stati d’animo, fotografie di momenti, o anche solo segnaposto messi a un file. Però, se scelti bene, sanno creare nell’ascoltatore piccoli mondi testuali ed emotivi.
Uno che lo fa benissimo è Luigi Celestino D’Agostino, in arte Gigi D’Agostino, cioè uno dei musicisti più forti della storia d’Italia. Quello che voglio dire con questo breve testo è che ascoltarlo, se vai a scavare nella radice della musica che fa, è un’esperienza catartica. Balliamo e cantiamo “Bla Bla Bla” e “L’amour toujours” perché hanno la cassa dritta e una melodia splendida, certo, ma il bello che voglio raccontare è che fanno parte un sistema di significato più grande e splendido dei singoli brani che lo compongono.
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Non è uno che rilascia tante interviste, Gigi Dag, ma in questa qua dice una cosa che ci serve per cominciare: “Per me quello tra il 1993 ed il 1999 è stato un periodo bruttissimo, di sofferenza […] Ho tramutato tutta quell’energia negativa che cercava di soffocarmi in un percorso di ricerca di emozioni che fossero molto più forti di quelle brutte. Mi sono liberato con la musica. ‘Elisir‘ non è un titolo a caso, come non lo è ‘L’Amour Toujours‘ o ‘Bla Bla Bla‘.”
Quindi musica come guarigione. Cassa dritta non come ignoranza, ma come liberazione. Melodie non come passatempo, ma come espressione. Gigi si sente incerto e confuso, e cerca equilibrio nei suoi titoli. All’inizio, quando fa musica interamente strumentale, sceglie spesso singole parole inglesi con gusto semplice e, letto oggi, anche un po’ naïf: “Emotions”, “Before”, “Sweetly”, “Free”. Quel tipo di titoli che danno le persone agli inizi, che sentono un sacco di cose ma non è che sanno bene come districarcisi dentro.
“Mi sono liberato con la musica. ‘Elisir’ non è un titolo a caso, come non lo è ‘L’Amour Toujours’ o ‘Bla Bla Bla’.”
Ci sono però già dei piccoli sprazzi di oltre, nei suoi primi titoli. “Song For My Future Wife” è una semplice marcia nuziale: evidente e didascalica, ma anche un momento di speranza e possibilità: ora sono solo, ma non lo sarò. “Purezza (Purezza)” ripete la stessa parola, come ad assicurarsi che davvero tu, ascoltatore, l’abbia percepita. In alcune tracklist la parentesi non c’è ma non ci importa, perché allora ancora non lo sapevamo ma l’opera d’arte musicale non è mai davvero terminata ai tempi di internet.
Quando succede L’amour toujours è il 1999, ed è la fine del brutto periodo che Gigi raccontava qua sopra. È un album diviso in due sezioni, “Chansons For The Heart” e “Beats For The Feet”—inglese, francese e un po’ di italiano. Subito, con il plurilinguismo, si aprono le porte dell’immaginazione geografica tanto cara al maestro Battiato: un titolo come “La Marche Electronique” sarebbe potuto benissimo stare nella tracklist de La voce del padrone. Allo stesso modo, la musica di Gigi sconfina: le melodie gridano “abbracciamoci”, i ritmi sussurrano “sudiamo insieme”.
Nella prima metà dell’album le parole restano spesso ancora poche, ogni tanto con l’articolo, e arrivano i testi e il cantato in inglese—ancora, come in Battiato, spesso amatoriale ed elementare, con un dolce accento da bambino che non trova nella propria lingua le parole giuste per esprimere quello che ha dentro. “Another Way”, “Elisir”, “La Passion”, “The Way”—tutti momenti d’amore desiderato o fallito, punteggiati da musica che è energica malinconia.
Nella seconda, Gigi comincia a divertirsi. Sceglie per un brano strumentale dal passo di un pachiderma psichedelico la parola “Movimento”. E poi comincia a fare una cosa particolare: dare un nome ai mix che fa di un brano, e così nasce “Bla Bla Bla (Drammentenza Mix)”. Che cos’è la drammentenza? Bé, niente. Ma a fidarsi del suo suono, sembra una corsa a perdifiato tra i colori di un mercato affollato.
Gigi continua a inventarsi titoli e sottotitoli per crearsi un mondo in cui la danza e l’espressione sono sospese nell’incertezza, che però è anche possibilità.
Negli anni successivi, Gigi continua a inventarsi titoli e sottotitoli per crearsi un mondo in cui la danza e l’espressione sono sospese nell’incertezza, che però è anche possibilità. È il peso della cassa, ma è anche l’aria della melodia. Sono il dolore e l’estasi, da ficcare in una canzone. Magari quella che vorrebbe scrivere, “da cantar con una chitarra in riva al mare”, e che per puro caso è quella che ha già scritto e che tu, ascoltatore, hai nelle orecchie. Una situazione che, in mano a Borges, poteva anche diventare un bel racconto dei suoi.
C’è questa citazione che mi viene in mente sempre, quando si parla di grovigli emotivi belli, ma anche brutti: “Di fronte al mare aperto di ogni nuovo inizio, gridare così forte che tutti possano sentire”. È da secoli che guardiamo le onde e gli scogli e le spiagge mentre ci chiediamo che cos’è l’ignoto—e Gigi non fa differenza. “Vorrei fare una canzone”, appunto, ma anche “Another Way (In Spiaggia Al Tramonto)”, “Canto Do Mar (Gigi D’Agostino Pescatore Mix)”, “Summer Of Energy (Viaggio Mix)”. E la musica si riempie di bassi potenti, tocchi di pianoforte, voci in spagnolo.
L’ignoto e l’incerto sono quindi un tema concreto, nei titoli di Gigi, ma riflesso anche nelle scelte grammaticali: gli piace tanto usare il gerundio, un tempo sospeso tra participio e infinito, e metterci il suo nome per chiuderlo nel presente. Penso a titoli come “Percorrendo (Gigi’s Impression)”, “Gigi’s Way (Andando Altrove)”, “Toccando Le Nuvole (Gigi’s Impression)”. Brani dalla musica scura e incalzante, epica come negli attimi di incertezza di fronte a una perturbazione—se ne andrà per lasciare spazio al cielo azzurro, o tirerà fuori un fulmine distruttore? Chissà.
Man mano che gli anni passano, lui cresce e comincia a stare meglio, Gigi ricomincia a divertirsi con la lingua. Resta un certononsoche di certo, ma i suoi titoli diventano micro-poesie a sé stanti, tutte allitterazioni e rime baciate. È la formula dietro a “Momento contento”, ma soprattutto alla forma musicale che definisce la seconda fase della sua carriera: il Lento Violento.
“Desiderio, sesso… era impossibile descrivere tutte le sensazioni, per questo avevo racchiuso tutto in questo termine: il lento violento” – Gigi D’Agostino
“Definivo così quelle parti della serata dove trasformavo lo scenario dei suoni e dei ritmi in un posto infuocato e appassionato. Desiderio, sesso… era impossibile descrivere tutte le sensazioni, per questo avevo racchiuso tutto in questo termine”, disse Gigi a proposito. E così vengono fuori titoli che sembrano sfregature, scontri, incastri, ceffoni, morsi: “Legna degna”, “Tordo sordo”, “Bozza grezza”, “Raggi Uonz”, “Passo Folk (Marcia Tesa)”, “Pietanza”.
Se prima il reame di Gigi era quello delle emozioni e dell’ignoto, da Lento Violento in poi i suoi titoli si muovono sull’asse corpo-mente. E all’estremità più cerebrale stanno quel gioco di incastri che è “Lo sbaglio (Orgoglio Mix)” , la cover di “E di nuovo cambio casa” di Ivano Fossati, l’esercizio di taglia-incolla filosofico de “L’uomo sapiente“. L’inglese, il francese e lo spagnolo del passato sono lontani—nei titoli come nei testi, altrettanto pieni di rime e assonanze che sono come l’olio sulla focaccia, cioè gustose e untissime.
Man mano che si diverte, Gigi comincia anche a fare titoli pescati lanciando a casaccio la lenza in un dizionario-stagno: “Paciocco”, “Materasso Dag”, “Gattino Dag”, “Bollettino Dag”, “Capocantiere”, “Calabrese”, “Parlotta”, “Monoposto”, “Farfuglia”, “Cicaletta”, “Giochezza”, “Ritardo”. E insieme adotta altri nomi, alter ego per esplorare la bellezza del suono e della lingua: Egiziano, Il Folklorista, Il Grande Viaggio, Lento Violento Man, Orchestra Maldestra, Scialadance, Uomo Suono, Zarro Dag. Come a dire non importa chi fa la musica, importa la musica e come si chiama e quello che ti fa sentire.
Che poi è la cosa che impari quando vai alle serate, di Gigi, dove si trovano tutti i tipi umani possibili a celebrare un fenomeno transgenerazionale. E tutti i presenti sono lì per stare insieme, a far felice il celebratore della festa, che fa musica “per Passione… semplice o complessa o banale o che ne so… la Passione è Passione… non è un circuito elettronico complesso… un abbraccio non è così complesso come movimento… eppure è una cosa immensa.” E quasi nessuno si sarà fermato a immaginare dei puntini nei titoli dei suoi pezzi per unirli e vederne il cuore che batte, ma tutti inconsciamente se lo sentono nel petto.
Elia è su Instagram.
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