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Questo gin siciliano è fatto con pomodorini di Pachino e capperi di Salina

Gin Siciliano Grand Tour

“In sostanza se te lo bevi liscio ti sei fatto un pasto estivo, mentre se ci aggiungi della tonica per un gin tonic sei riuscito insieme a mangiare e a sgrassare quello che hai mangiato”

In questo momento in Italia ci sono così tanti gin e così diversi che abbiamo perso il conto. Fino a due anni fa erano poco più di 300 varietà, e non credo di esagerare dicendo che ne saranno nati forse un centinaio, complice la pandemia. E forse, insieme al conto, abbiamo perso anche il senno: forse vi ricorderete, per dirne una, di quella volta in cui ho bevuto un gin con dell’oro 24 carati che ci galleggiava dentro.

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È la croce e la delizia del gin, che ha dei disciplinari di produzione tali da permettere a chi ne vuole fare uno di metterci dentro in infusione, o direttamente di distillare, praticamente qualsiasi cosa che abbia un sapore, sia commestibile e legale. Basta che da qualche parte ci sia del ginepro e sostanzialmente la gradazione alcolica non sia troppo bassa.

In questo mondo in cui la gin impazza, e le grappe sono sempre più relegate negli scaffali delle credenze delle nonne, era inevitabile che molte di queste etichette fossero dei vezzi megalomani da crisi di mezza età.

Ultimamente però sono stato invitato a Taormina, in Sicilia, per provare un nuovo gin che sembrava effettivamente diverso dagli altri. Già il nome prometteva bene: Grand Tour Gin.

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Foto di Walter Maria Russo per gentile concessione di Grand Tour Gin.

Il gin Grand Tour non solo riportava alla mente gli antichi fasti di quando si girava con dieci valigie per l’Europa—qualora fossi stato incredibilmente ricco, ovviamente—ma anche il modo in cui si presentava era effettivamente diverso dagli altri geni che avessi mai visto: era giallo paglierino. Le cose erano due: o stavo per assaggiare una schifezza epica oppure qualcosa di interessante. Grazie a Dio ero davanti alla seconda. 

Diciamo che l’idea alla base di Grand Tour Gin non era esattamente nuova, anzi si può tranquillamente affermare che segua il filone del gin all’italiana in cui, in parole povere, si cerca di valorizzare il territorio. Ma mentre la stragrande maggioranza di gin in altre parti d’Italia fa affidamento a erbe, erbette locali e spezie di ogni tipo, questa volta stavo assaggiando praticamente un’insalata siciliana. Che poi era anche quello che aveva in mente il suo creatore.

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Foto di Walter Maria Russo per gentile concessione di Grand Tour Gin.

“L’idea mi è venuta otto anni fa,” mi dice Christian Scigli, che è anche uno dei soci del Morgana, cocktail bar di livello a Taormina famoso soprattutto per il fatto di cambiare arredamento a tema quasi ogni anno, con tanto di festa per le strade. “E nella mia testa c’era proprio l’idea di un’insalata ricca e gustosa alla siciliana con pomodorini, capperi, mela; quel genere di insalata che vale un pranzo.” 

Ne prendo un sorso e mi rendo subito conto di una cosa. Una cosa abbastanza rara: questo distillato, a differenza della stragrande maggioranza degli altri gin, si fa bere tranquillamente anche liscio. C’era dentro l’acidità data dal pomodoro pachino, la freschezza del limone Verdello con un piccolo rimando amarostico sostenuto anche dall’ortica, la sapidità vegetale del cappero fresco di Salina e la dolcezza della mela. In sostanza se te lo bevi liscio ti sei fatto un pasto estivo, mentre se ci aggiungi della tonica per un gin tonic sei riuscito insieme a mangiare e a sgrassare quello che hai mangiato.

“Quella di creare una nuova categoria di distillati senza etichette è una cosa che nel mondo, soprattutto in Asia o Australia, si vede sempre di più”

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Foto di Walter Maria Russo per gentile concessione di Grand Tour Gin.


“Volevamo valorizzare il territorio ricchissimo della Sicilia e raccontarla come se fosse un viaggio, come se fosse quel Grand Tour che andava di moda due secoli fa, e che tra l’altro finiva proprio a Taormina,” mi dice Christian Scigli. “E volevo che fosse un viaggio capace di farti esplorare tutta la regione nelle sue parti  conosciute e meno conosciute. Per cui non abbiamo voluto mettere l’arancia, ma il limone Verdello (che sono quei limoni verdi, prematuri, NdR.); il pomodoro pachino disidratato, la mela che è una varietà dell’Etna e poi i capperi e l’ortica, che vengono presi sempre meno in considerazione. Tutto preso da piccoli produttori nella stagione giusta.”

L’unica cosa sorprendentemente non siciliana qui dentro è il ginepro, che viene dal Piemonte: “Volevamo fare un gin 100% siciliano. Ma prima di tutto volevo fare un gin buono, con il meglio. E abbiamo dovuto ammettere, dopo diverse prove, che era molto meglio il ginepro piemontese.”

Il gin Grand Tour è interessante anche perché tira fuori quello che è un trend del momento, cioè l’abbattimento delle definizioni precise e noiose. Tecnicamente è un gin e le regole per essere chiamato tale le segue tutte. Eppure ad assaggiarlo non lo sembra: “lo abbiamo classificato tra i  gin perché così era più facile da riconoscere per il consumatore,” mi dice Paolo Viola, il brand manager. “Ma se ti dessi un bicchiere da assaggiare alla cieca non diresti che è un gin. Ti verrebbe in mente un distillato, senza sapere bene quale. Quella di creare una nuova categoria di distillati senza etichette è una cosa che nel mondo, soprattutto in Asia o Australia, oggi tra le realtà più interessanti in questo settore, si vede sempre di più.”

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Foto di Walter Maria Russo per gentile concessione di Grand Tour Gin

Grand Tour Gin finisce dritto nella categoria dei gin compound. In genere è quella categoria usata dai neo-produttori, o da chi vuole fare grandi numeri, ma che in questo caso era la scelta migliore per rendere al meglio tutta la gamma di sapori. Mentre un gin compound classico usa una base di alcol neutro a cui aggiungi del ginepro e altri ingredienti in infusione (si dice anche Bathtub, perché te lo potevi fare tranquillamente nella vasca da bagno di casa), in Grand Tour si uniscono sì gli ingredienti, ma vengono lavorati in maniera diversa, per fare in modo che ognuno esprima il suo meglio.

Per cui il pomodoro di Pachino viene distillato una sola volta in modo da avere il massimo del sapore, che invece si perderebbe con più di una distillazione, e per dare quel colore giallognolo. Una distillazione viene fatta anche per il cappero di Salina, per la mela dell’Etna e per l’ortica, mentre gli altri ingredienti vengono messi in infusione. Il tutto viene unito et voilà: è nato un gin niente male, tanto che le prime 2500 bottiglie in assoluto sono finite in due mesi.

E ora consigli pratici. Se vi dovesse capitare tra le mani o di vederlo nelle bottigliere dei vostri bar preferiti, e non aveste voglia di buttare giù uno shot di ginsalata, Paolo Viola, che è anche un rinnovato bartender, mi ha dato dei consigli su come berlo miscelato: “essendo a metà come gusto tra un compound gin e un London Dry, ci sta da Dio nei Martini cocktail, se non ti piacciono molto secchi. Altrimenti bevetelo con la tonica o della soda, ma non fateci un Negroni, o perderebbe ogni senso: bisogna scegliere dei drink con pochi ingredienti per fargli tirare fuori i suoi aromi inusuali.”

E se non vi fidate di lui, fidatevi di me, che in due giorni mi sono bevuto quest’insalata liquida in tutti i modi possibili senza stufarmi mai. 

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