Prima che internet accendesse il cartello “aperto 24/7” su ogni desiderio che tu possa esprimere, c’è stata l’età d’oro del porno. Negli anni intercorsi tra l’ascesa dei film sexploitation dei Sessanta e la distribuzione di massa degli amatoriali hardcore nei Novanta, l’industria del porno americano aveva tutto il glamour e la prosperità di Hollywood pur senza la sua legalità.
L’epoca “porno chic” dei Settanta ha gettato le basi di un appetito per l’erotismo tanto da parte del pubblico quanto della critica con film come Gola Profonda e Ultimo tango a Parigi, rendendo icone anche attrici per adulti come Annette Haven e Vanessa Del Rio. Negli anni Ottanta il settore ha messo il turbo, spingendosi al di là della copertura del “buon gusto” dei cinema indipendenti e diventando un mercato ruggente di suo.
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Produzioni ad alto budget, ricche agenzie come la World Modeling di Jim South e uno stile di vita appariscente e veloce attiravano giovani uomini e donne, e a metà anni Ottanta l’intrattenimento per adulti era già diventato tanto stravagante e spregiudicato quanto la cultura pop del tempo. Studios come Vivid Entertainment diventavano sempre più prestigiosi e nascevano cerimonie come gli AVN Awards a conferire al settore il suo red carpet, mettendo il vero sesso nel mantra “sesso, droga e rock ‘n’ roll”.
Ma nonostante la patina di champagne e cocaina, molti addetti ai lavori parlano della scena di quel periodo come di una famiglia. Prima che gli anni Novanta rendessero la pornografia disponibile gratis online, inondando il mercato e decimando i budget per la produzione, la scuderia di talenti era ridotta e ci si conosceva tutti. Anche se Vivid vantava un cartellone con le immagini delle sue ragazze su Sunset Boulevard e star come Christy Canyon e Ginger Lynn erano accettate anche dalla cultura di massa, c’era una mentalità da fuorilegge e grande cameratismo tra cast e troupe. Era un’epoca di riviste avvolte in cellophane e pacchi di tre Polaroid a 50 dollari ai meet and greet, ben diversa dalla contemporaneità fatta di gif e soldi mandati su Chaturbate—anche se certamente non priva di controversie.
Per farci comprendere meglio gli alti e bassi del settore pornografico negli anni Ottanta, la veterana attrice Ginger Lynn ci ha raccontato la sua vita e la sua carriera. Questo testo in forma “come raccontato a” è una trasposizione condensata e abbreviata dell’intervista concessa ai produttori di Sex Before the Internet, la docuserie di VICE TV USA.
Sono cresciuta a Rockford, in Illinois, dove c’era un piccolo cinema porno in periferia. A 19 anni ci andai a vedere un film con il mio ragazzo. Ricordo che quando vidi Vanessa del Rio comparire sullo schermo mi venne la pelle d’oca. Sono sempre stata una persona con una forte carica sessuale, ma vedere altre persone che scopavano sullo schermo fu stupefacente per me. Pensai: ‘È la cosa più fica che abbia mai visto.’
Non avrei mai creduto che sarei entrata nell’industria dei film per adulti, però. Da ragazzina facevo le recite in garage e ballavo e cantavo. I miei vicini di casa facevano il coro e chiedevamo cinque centesimi a chi voleva venire a vederci. Avevo sempre desiderato di stare davanti a un obiettivo. Volevo vivere in California e diventare una star, ma quando vidi Vanessa in quel film non pensai di voler diventare come lei. Mi limitai ad eccitarmi.
Entrai nel settore appena prima di compiere 20 anni. Lavoravo 70 ore a settimana per una paga da fame. Lavoravo in un’azienda aeronautica la mattina, tipo dalle sei alle dieci. Poi, dalle 11 alle 18 gestivo un negozio di dischi Musicland, mentre la sera lavoravo in un bar. Pensavo: “Sono carina, sono in California, posso fare qualcosa. Posso fare più soldi.” Aprii il quotidiano locale e ci trovai un annuncio che cercava una modella per una paga che andava dai 500 ai 5000 dollari al giorno. Telefonai e rispose un uomo chiamato Jim South, che mi chiamò “bellezza” e mi disse di presentarmi lì il giorno dopo.
Jim South era il proprietario della World Modeling. Mi faceva pensare a uno di quei tremendi imitatori di Elvis, con le basettone e il ciuffo impomatato. Entrai nel suo ufficio e lui mi chiese di mostrargli la carta d’identità. Era settembre 1983. Mi disse: “Dobbiamo scattare qualche Polaroid” e mi portò in uno stanzino con un finto pannello, i muri ricoperti di legno, la moquette e una grande sedia di vimini. Mi chiese di togliermi i vestiti. Non avevo alcun problema a farlo. Non ho mai provato vergogna o imbarazzo. Sono sempre stata a mio agio con il mio corpo.
Jim mi scattò tre o quattro Polaroid, poi tornammo nel suo ufficio e le mise in un grande raccoglitore ad anelli pieno di foto di ragazze in ordine alfabetico. C’erano foto di donne bellissime su tutti i muri: Marilyn Chambers, Hyapatia Lee… anche se ai tempi non sapevo chi fossero. Jim seguì il mio sguardo e disse: “Quelle sono le ragazze da muro.” E io risposi: “Anch’io voglio essere una ragazza da muro.” Erano quelle famose, e io volevo essere famosa più di ogni altra cosa.
Un giorno ero nell’ufficio di Jim e c’era una donna con un lungo abito bianco svolazzante, una cosa da La casa nella prateria. Aveva una sigaretta con bocchino e un copione appoggiato in grembo, e si leccava i polpastrelli prima di girare pagina, leggendo le battute ad alta voce. Io pensai: “È la donna più bella, elegante, intelligente e colta che abbia mai visto.” Le chiesi se faceva porno, e lei rispose di sì. Mi dissi: okay, non assomiglia per niente all’idea che mi ero fatta di una pornostar.
Uscimmo insieme per pranzo e le feci ogni domanda che mi veniva in mente: cosa si prova, cosa si fa, cosa non si fa, quanto ti fai pagare. Mi disse: “Prendo 1000 dollari al giorno. Ho diritto di veto sul copione. Ho diritto di veto sul cast. Faccio soltanto sesso regolare donna/donna e uomo/donna. Per qualunque extra, vengo pagata extra. Una scena di sesso anale la faccio a 5000 dollari, e se non sono a mio agio non lo faccio.” Pensai: sai cosa? Posso farlo anch’io.
Così tornai da Jim South e chiesi tutte quelle cose… e Jim a momenti cascò per terra dal ridere. Mi disse: “No, tesoro! Non puoi iniziare così. Nessuno inizia così. Tu stavi parlando con una delle più grandi pornostar del settore.” Allora io gli feci: benissimo, se è così non lo faccio.
Due settimane dopo, una coppia—[i registi per adulti] David e Svetlana Marsh—si trovava nell’ufficio di Jim e stava discutendo di due film da realizzare sull’isola di Kauai con un budget di 250.000 $. Volevano offrirmi uno dei ruoli principali e io accettai. Loro mi accordarono tutte le richieste. Non ero esigente né snob, avevo solo una mia zona di comfort e finché ci stavo dentro sapevo che sarebbe andato tutto bene.
Uno dei miei momenti preferiti avvenne appena prima di realizzare quel primo film. Eravamo tutti sull’aereo, saremo stati in 30, cast e troupe. Era una grossa produzione e ricordo che mi guardai attorno e pensai: “Scoperò con quella persona, scoperò con questa persona, succhierò il suo cazzo, leccherò la sua fica.” Fu una tale sensazione di libertà—sapere che, sessualmente, avrei potuto fare tutto quello che mi andava e non ci sarebbe stato nulla di male.
A quei tempi, l’intero settore ti dava la sensazione di stare in famiglia. Saremo stati in 50 in totale, intendo tra attori e staff tecnico. Si sviluppava un rapporto meraviglioso tra chi faceva parte del cast, chi faceva parte della troupe, tutti. Eravamo come dei fuorilegge allora, perché era illegale girare quei film. Ricordo che una volta eravamo su un set molto spoglio e stavamo girando una scena di orgia, quando abbiamo sentito bussare alla porta. La polizia entrò ma non ci fece chiudere. Ho ancora in mente l’immagine di noi 20 attori tutti nudi che cercavamo di nasconderci dietro una piccola pianta da appartamento.
Ho lavorato nell’industria pornografica da settembre 1983 a febbraio 1986. Sono sempre stata entusiasta di quello che avrei fatto, ogni scena, ogni film, ogni partner, ogni dialogo, ogni azione. Tutto mi eccitava. Un giorno mi svegliai e avevo comprato la mia prima casa. Era a Beverly Hills: Madonna, Kelly Preston e Dolly Parton erano mie vicine di casa. Pensai: “Sono il massimo. È favoloso.” Ma un giorno mi svegliai in questa bellissima villa sulle colline di Los Angeles e invece di pensare “evvai! Oggi succhierò cazzi,” pensai: “Non mi va più di fare questa cosa. Basta.” Mi ricordai di quello che mi aveva detto la ragazza nell’ufficio di Jim South, di non fare mai niente che non mi mettesse a mio agio, e sentii che era il momento.
Ritornai sulle scene nel 1999 e l’unica insicurezza che avevo non era la concorrenza delle ragazze ben più giovani di me, ma il confronto con me stessa. Come avrei fatto a non far rimpiangere ciò che ero 13 anni prima?
Una delle mie più grandi paure quando tornai era che non fosse altrettanto chic o altrettanto accogliente, perché era passato molto tempo. Le ragazze non facevano più film, facevano scene. Io ho fatto 483 scene e ho trovato una certa differenza tra la vecchia scuola e la nuova scuola, ma almeno il glamour era rimasto. Avevo un camerino tutto mio e mi trattavano come Ginger Lynn veniva trattata ai grandi premi dei tempi, erano tutti bravissimi e gentilissimi. La passione era ancora lì, ma mancava l’elemento famiglia.
Gli anni Ottanta sono stati l’età dell’oro del porno. Tutti venivano trattati benissimo e ci volevamo tutti bene, era stupendo. Ho realizzato 76 film e oltre 40 di questi sono girati in 35mm. Erano produzioni enormi con veri budget e vere telecamere.
Internet si è portato via la gioia di guardare porno per la prima volta, di prendere in mano quella VHS o quel DVD e inserirlo nel lettore. All’improvviso chiunque poteva guardare qualunque cosa desiderasse, ovunque, in ogni momento. È diventato soltanto un giro di affari—non che non fosse un giro d’affari all’inizio della mia carriera, ma era più divertimento che lavoro, e invece [alla fine] è diventato più lavoro che divertimento.