Con il senno di Giorgio Poi

giorgio poi

Giorgio Poi si è esibito dal vivo per Niente di Strano, la serie di concerti negli uffici di BuddyBank a diciannovesimo piano della torre UniCredit di Milano. Insieme a lui si sono esibiti Il Tre, cioè uno dei rapper che vanno più veloci d’Italia, e Generic Animal, che canta le belle canzoni emo. L’esibizione è su YouTube, e qua sotto.

Per l’occasione, ripubblichiamo questa intervista in cui abbiamo parlato con Giorgio del suo ultimo album Smog—e in fondo troverete foto dell’esibizione, a cura di Giuseppe Romano.

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La prima volta che ho ascoltato una canzone di Giorgio Poi è stato un anno prima dell’uscita di Fa Niente, durante una serata alcolica finita a casa mia. Tra i presenti c’era anche Calcutta che ha tirato fuori una chiavetta con un pezzo inedito. Aveva appena registrato le tracce vocali della canzone e voleva farlo ascoltare in anteprima a tutte le persone presenti per chiedere un parere. Quel pezzo era “Oroscopo“. Credo di non avergli detto qualcosa di così originale: il pezzo era più commerciale rispetto alla roba di Mainstream—che era uscito da pochi mesi—quindi, avrebbe ricevuto delle critiche, ma di sicuro sarebbe anche diventato una hit. Insomma, DOVEVA pubblicarlo.

Sempre sulla stessa chiavetta, c’era altra musica inedita, tra cui un pezzo di un nuovo progetto. Calcutta mi ha fatto notare quanto erano fichi i versi di quella canzone: “I sogni degli altri / Che noia mortale / Doverli ascoltare / I miei / Non il racconto mai.” Il pezzo si chiamava “Paracadute” è sarebbe uscito più di un anno dopo nel primo lavoro di Giorgio Poi in italiano.

In quel caso ho pensato che Bomba Dischi aveva per le mani, bè, un’altra bomba. Quel tipo sapeva come si scrive una canzone, il pezzo era intriso di quella malinconia italiana che unisce autori diversissimi come Battisti e Luca Carboni. E in più il sound giocava su un certo gusto per lo squilibrio che faceva intuire ascolti legati alla musica che unirei sotto il termine-ombrello-acchiappatutto di ”weird”. Insomma, prevedevo un grande futuro per questo Giorgio che stava a Berlino.

La conferma che “Oroscopo” fosse una hit è arrivata quando è diventata uno dei pezzi dell’estate 2016, così come la conferma che quel Giorgio Poi avesse veramente qualcosa di speciale è arrivata dopo l’uscita del suo esordio. ”Wow, allora ne capisco davvero qualcosa di musica. Posso fare il talent scout anche io!” mi ripeto, pensando a quella serata. Ma in effetti sto solo giudicando il suo percorso usando il famoso senno di poi.

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Fotografia di Ludovica De Santis

Il ”senno di poi,” ”errore del giudizio retrospettivo” o ”hindsight bias” è la tendenza a credere di aver saputo prevedere correttamente un evento, dopo che l’evento è già avvenuto. Forse quella sera non ho saputo prevedere veramente che Giorgio sarebbe diventato una delle voci più interessanti dell’itpop e sto ricostruendo tutto questa storia a posteriori con il senno di poi.

In realtà le due chiacchierate che ho fatto con Giorgio Poi per preparare questa intervista mi hanno perlomeno confermato che i traguardi importanti come il suo secondo album Smog, appena uscito, non nascono dal nulla.

Credo che non riuscirò mai a farmi raccontare cose sconvolgenti da Giorgio. Non è proprio il tipo da lasciarsi andare a spacconate. Ma un po’ come funziona con la sua musica, che ha sempre qualche piccolo dettaglio, di nuovo, weird: bisogna badare ai dettagli di quello che dice.

”So che la cosa che mi piace di più è scrivere canzoni. Ma per scrivere canzoni e suonarle in giro bisogna lavorarci. È da quando ho 20 anni che lavoro verso questo obiettivo. Non ho bruciato nessuna tappa,” mi ha spiegato. E allora passiamo al racconto di quali sono le tappe che lo hanno portato a Smog.

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Fotografia di Ludovica De Santis

Giorgio Poi è nato a Novara. Per sua fortuna, però, ci ha abitato solo fino ai due anni. Poi, la sua famiglia si è spostata tra la provincia di Pisa, Lucca, Roma e L’Aquila. Il suo primo approccio con la musica suonata è stato conflittuale: c’è di mezzo il suono sgradevole del flauto dolce. La sua prima insegnante di musica delle medie era fissata con la lettura della musica, ma Giorgio non aveva tanta voglia di leggere lo spartito: ”Ascoltavo quello che facevano gli altri e lo ripetevo. In realtà, era una cosa positiva ma lei si arrabbiava e mi impediva di suonare. Io ero contento. Odiavo il flauto.”

Messo con le spalle al muro in terza media da una nuova insegnante di musica che non può lasciarlo tranquillo mentre i compagni torturano le orecchie di tutti con il flauto dolce, Giorgio la convince a lasciargli suonare la chitarra: ”Una sera mio fratello mi ha insegnato il giro di Do e sono impazzito. Per i giorni seguenti, non volevo fare altro. Non vedevo l’ora di tornare a casa per provare i miei accordini. Da lì non è più finita.”

E ancora: ”Più o meno in quello stesso periodo, ho trovato una cassetta da 90 minuti sempre di mio fratello con registrati sopra due album dei Nirvana. Nevermind sul lato A e In Utero sul lato B. Sono stati un folgorazione. Era tutto misterioso. Non capivo come fosse fatta quella musica. Ad esempio, non capivo bene come riusciva la batteria a tenere in piedi un pezzo. Ricordo il momento in cui ho capito ‘Ah, questo è il charlie…’”

Giorgio iniziare a tirare giù le canzoni a orecchio in poco tempo e progredisce tecnicamente a buon passo: “Avevo trovato una cosa che mi veniva naturale da fare e in cui riuscivo bene. Quando sono arrivato al liceo, la prima cosa che ho fatto è stato trovare qualcuno per formare una band. Avevo iniziato a suonare con un batterista.” Una cosa poco usuale erano i suoi ascolti di quel periodo: ”Mi sono avvicinato al jazz e a sassofonisti come Lester Young e John Coltrane. In quel periodo prendevo anche lezioni di sassofono.”

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Fotografia di Ludovica De Santis

Una cosa che viene spesso sottolineata di Giorgio Poi è che è l’unico musicista della scena itpop con una preparazione accademica alle spalle. Gli chiedo di raccontarmi del periodo in cui ha deciso di studiare musica a Londra. ”La musica è fatta di suoni. Quando senti dei suoni che ti piacciono, li vuoi rifare e li vuoi capire. Anche se non sto troppo a pensare agli aspetti teorici—mi piace suonare a orecchio—ho scelto di iscrivermi al Conservatorio perché volevo costringermi ad andare a fondo. È stata una forzatura utile: un mucchio di cose le mie orecchie le hanno capite per la prima volta lì dentro.”

Gli chiedo se lì ha imparato a suonare la musica modale citata all’inizio del testo di “La Musica Italiana”, il duetto con Calcutta contenuto anche nel suo ultimo album. ”Nel jazz modale, come quello di Coltrane o Miles Davis, hai l’impressione che la melodia galleggi sopra le linee di accordi. Quella musica è nata per un’esigenza di suono. Quando impari una tecnica musicale più che rifletterci su dal punto di vista teorico, assimili un suono. Ad esempio, con la sostituzione di tritono con una chitarra, metti dentro alle tue orecchie quel suono lì, perché anche le orecchie si allenano. Quando metti nelle orecchie un certa sonorità o una progressione di accordi, stai capendo a livello inconscio il funzionamento di quella cosa. Questo ti aiuta a creare un legame anche emotivo con quella sonorità.”

Ma torniamo alla nostra cronistoria. Finito il liceo, Giorgio si iscrive al Conservatorio in Italia, ma dopo un anno si sposta a Londra. “Non volevo fare il jazzista, ma mi interessava capire come funzionava la faccenda. Volevo scrivere canzoni ed ero a Londra per imparare l’inglese e scrivere in inglese.”

E qui entriamo finalmente nella parte di carriera musicale di Giorgio di cui ci sono testimonianze registrate: “La mattina studiavo e, al pomeriggio e alla sera, cercavo di applicare nella mia musica quello che imparavo. In questo modo, sono nati i Vadoinmessico. All’inizio eravamo un messicano, un inglese, un austriaco e due italiani.”

La musica dei Vadoinmessico è molto influenzata dagli Animal Collective: ”Quando ho ascoltato Sung Tongs è stata una rivelazione”. In quel periodo, però, Giorgio va in fissa con una delle band dalla fine degli anni Sessanta ha segnato uno standard delle canzoni orecchiabili ma strambe: i Tyrannosaurus Rex. I primi album della creatura di Marc Bolan, prima che si trasformasse in una superstar glam abbreviando la ragione sociale della band in T.Rex, sono caratterizzati proprio da quel tipo di produzione musicale squilibrata—in realtà squalificata dal produttore che l’ha creata Tony Visconti come una semplice questione di produzione fatta con pochi soldi—che crea un senso di mistero e che si ritrova anche nella musica di Giorgio.

”Ci stanno queste chitarrine che restano piccole e invece dei bonghetti minuscoli sparati a cannone nel mix. Si sente tantissimo il nastro e tutti i suoni sembrano galleggiare in una specie di brodo. E poi [Marc Bolan] aveva questa voce strana che mi piaceva, forse perché anche io avevo la voce strana.” E ancora: ”Queste band facevano del pop, delle canzoni semplici, scritte bene con degli elementi di arrangiamento inusuali. Abbiamo usato questo approccio. Ad esempio, all’inizio la batteria la facevamo solo con i timpani e per arrangiare usavamo un sacco di oggetti.” Solo più tardi ha iniziato ad apprezzare la capacità di inventiva negli arrangiamenti sfruttando gli strumenti classici del pop.

L’album dei Vadoinmessico esce nel 2012. La band suona a diversi festival in tutto il continente e divide il palco con band di riferimento per la sua scena come i già citati Animal Collective e Mac DeMarco: ”Era il momento di fermarsi e registrare un altro album. All’inizio abbiamo pensato di andare a Berlino perché costava meno di Londra. E lì è nato il secondo progetto, i Cairobi.”

Chiedo a Giorgio qual era la visione musicale dei Cairobi: ”The Antique Blacks di Sun Ra era il genere di cosa che mi faceva impazzire in quel periodo. Non era chiaro cosa succedeva. Volevo creare una versione ordinata e pop di quel tipo di confusione.”

Le vite degli altri membri della band prendono altre direzioni mentre Giorgio, il più giovane del gruppo, continua a lavorare sull’album per due anni. ”I tempi per fare uscire il disco si sono dilatati così tanto che alla fine l’album dei Cairobi è uscito un mese prima di Fa Niente. Forse è ancora un po’ una ferita aperta per parlarne serenamente.” E allora andiamo avanti.

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Fotografia di Ludovica De Santis

”Avevo lavorato al disco dei Cairobi tutti i giorni per due anni e mezzo ma la situazione era immobile. Così, un po’ demoralizzato, ho iniziato a scrivere Fa Niente. Ho dovuto prendere in mano lo stomaco: sono venuto qui per finire un disco ma ho capito che non uscirà o chissà quando uscirà, oggi inizio a farne un altro. È stato abbastanza difficile. Non sapevo che cosa stessi facendo a Berlino e della mia vita”, mi racconta Giorgio del periodo in cui è cominciata la cosa che l’ha portato qua, oggi, a parlare con me.

Voleva liberarsi delle complicazioni di suonare in una band, così all’inizio si è dato all’elettronica, ma ha rapidamente capito che non faceva per lui. “Così ho pensato: ora faccio qualcosa di sostenibile, suonabile in tre. Si prende il furgone e si gira in tre. Ho scritto un paio di pezzi e ho provato a metterci dei testi in italiano. Mi divertiva sentirmi cantare in italiano. Mi sentivo a casa. Mi veniva da sorridere.”

Il processo di semplificazione degli arrangiamenti gli fa scoprire una nuova libertà compositiva. “L’idea era di buttarci dentro tutto: unire gli accordoni di chitarra stile canzone da spiaggia e i movimenti armonici più strani. Non volevo avere paura di niente: né del giro di Do né dell’accordo minore con la settima maggiore e la quinta bemolle. Negli arrangiamenti, però, dovevo tenere in conto che le canzoni dovevano essere suonabili in tre persone e che solo la voce poteva suonare la melodia.”

Per il sound di Fa Niente, in particolare quello di batteria e basso, Giorgio cita come influenza le ESG, una band no wave dei primi anni Ottanta formata da tre sorelle del Bronx che hanno registrato un album basato su basso, batteria, percussioni e voce. In seguito hanno guadagnato notorietà perché i loro pezzi sono stati campionati in molti brani hip hop e questo probabilmente le ha portate ad intitolare un loro EP Sample Credits Don’t Pay Our Bills.

Dopo aver registrato i primi tre pezzi c’è stato il contatto con Bomba Dischi. Dall’estate 2016 Giorgio ha iniziato a fare avanti e indietro da Roma per provare con Matteo Domenichelli e Francesco Aprili, “che suonano assieme come bassista e batterista da quando hanno 15-16 anni e avevano una band che si chiama Boxerin Club“. ”In tre settimane di prove, abbiamo preparato uno spettacolo da un’ora partendo dai pezzi del disco che durava solo mezz’ora. Abbiamo spremuto i pezzi aggiunto delle parti di improvvisazione. Avevamo in mente sempre le ESG e i Can come mondo di suoni. Ege Bamyasi è un altro di quegli album che mi ha cambiato la vita.”

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Fotografia di Ludovica De Santis

Tornare all’italiano, per Giorgio, è una folgorazione. “È più interessante un italiano che scrive in italiano. Ci sono cose come le sfumature, il significato culturale di una parola messa fuori posto o termini che hanno significato solo per i tuoi contemporanei. Ad esempio, oggi si dice ‘ci volo’, tra 20 anni forse sarà ridicolo. Sarà come dire oggi ‘bella secco’. Anche se mi risulta che a Roma stiano ricominciando a dirlo.”

Ho chiesto a Giorgio di tirare fuori qualche aneddoto sconvolgente sul tour con i Phoenix. ”Essere a Los Angeles in tour con i Phoenix era già qualcosa di speciale. Tra i ricordi più vividi ci sono quando siamo andati nel deserto, quando ho visto una macchina che prendeva fuoco. Ah sì, nel viaggio di ritorno in aereo, un tipo è impazzito, voleva strozzare suo padre. C’è stato un atterraggio d’emergenza e dieci camionette della polizia sulla pista per arrestare questo tizio.”

Oltre alla cover di “Lovelife” per lo split con i Phoenix, Giorgio ha anche registrato le chitarre per uno degli album più importanti dell’anno scorso: Evergreen di Calcutta. Ma non è l’unica hit a cui ha partecipato: suoi sono il ritornello di “Missili” di Frah Quintale (“Dovevamo proporla a qualcun altro, ma poi l’abbiamo fatta uscire così com’era”), e le chitarre e il basso su Stanza Singola di Franco126 (“Ieri l’altro” è il pezzo di cui va più orgoglioso).

Sempre per ricollegarci al concept alla base di “La Musica Italiana“, chiedo a Giorgio se quando era all’estero provava nostalgia per l’Italia. ”Cerco sempre di non usare la parola nostalgia. Direi di più interesse. Nel momento in cui sono andato via dall’Italia, ho iniziato ad apprezzare e interessarmi a musica italiana: Dalla, Battisti, Vasco Rossi. Ho letto la letteratura italiana autori come Calvino, Gadda, Flaiano, Carlo Levi. E ho guardato i film del vecchio cinema italiano: Monicelli, Dino Risi… ho iniziato a scoprire e capire queste cose solo quando ero lontano.”

Per il punto di vista ”esterno” di chi ha lasciato il paese come Giorgio, queste opere condividono la capacità di unire drammaticità e leggerezza. “Anche Lucio Dalla è così. Leggero, ironico, appassionato e coinvolgente a livello emotivo. Nella musica italiana nello specifico, c’è qualcosa di speciale nelle melodia. E per me la melodia è la cosa più importante. Se non c’è la melodia non c’è il testo. Battisti che ho scoperto a 22-23 anni ha questa caratteristica.”

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Fotografia di Ludovica De Santis

La prima cosa che mi ha colpito di Smog, il nuovo album di Giorgio Poi, è che il sound è molto più cristallino, non c’è più quel suono weird. Ha cercato forse di trovare una formula più accessibile, più mainstream? ”Quando scrivo non penso a niente. Cerco la soluzione al problema-canzone. Non faccio ragionamenti tecnici, pratici o di fruibilità.”

L’album è stato registrato in casa in quattro mesi, tranne la batteria, che è stata registrata in studio. Poi in Smog ci sono tanti synth. “Visto che possiamo permetterci di girare in tour anche con un tastierista (Francesco Bellani già con I Cani, Calcutta) ho aggiunto questo strumento.”

”Vedo tutto il mio percorso che mi ha portato dal disco dei Vadoinmessico a Smog e poi alle prossime cose come un’evoluzione di quello che ho fatto prima”, riflette Giorgio. “Non ci saranno mai un taglio netto o degli sconvolgimenti. Sono solo cambiate le condizioni materiali in cui vivo. Non parlo più in un’altra lingua, sono tornato in Italia, vivo in una città nuova. Tutte queste cose possono finire nel disco a livello inconscio.”

Mentre chiacchieriamo per l’ultima volta al telefono, Giorgio mi dice che è per un po’ a Bologna prima di tornare a suonare in giro. Forse sta scrivendo una nuova canzone. Allora decido che è arrivato il momento di farlo continuare con il suo lavoro. Ecco una persona dotata di senno. Anche se non è per forza il senno di Poi.

Federico scrive, suona, canta e lo puoi trovare su Instagram.

Ludovica lavora per VICE ma la sua vera passione è fotografare rockstar. Anche lei è su Instagram.

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Qua sotto le foto di Giuseppe Romano dell’esibizione di Giorgio Poi, Il Tre e Generic Animal a Niente di Strano:

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Giorgio Poi
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Il Tre
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Generic Animal
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Giorgio Poi e Carlo Pastore
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