Il 24 luglio Giovanni De Carolis sfida Viktor Polyakov per il titolo internazionale WBA dei pesi supermedi. Noi l’avevamo intervistato nel maggio 2016, dopo la conquista della cintura di campione mondiale. Nel frattempo, il pugile romano è riuscito a conservare il titolo fino al 5 novembre dello stesso anno, data in cui il tedesco Tyron Zeuge l’ha battuto. In vista del match contro Polyakov, che potrebbe dargli la possibilità di riprovare a vincere il titolo mondiale, riproponiamo questo articolo.
In Italia, se sei un pugile campione del mondo sfortunato partecipi all’ Isola dei famosi. Se sei fortunato ti ritrovi trafiletti tutti uguali sui quotidiani nazionali che raccontano la tua “favola”.
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Giovanni De Carolis è un pugile fortunato. “Ma io sono stanco della ‘favola’ del campione che viene dalla palestra popolare,” mi dice nel ristorante del circolo del tennis a Tormarancia, a Roma. “Io non ho scelto di fare il pugile per riscatto, facevo altre cose. Non andavo in palestra incazzato, ci andavo perché mi andava.”
L’ultimo campione del mondo italiano prima di lui è stato Giacobbe Fragomeni, nel 2008, e oggi, a Dos Playa di Aruba divide il popolo del web per le dimensioni del suo cazzo: è grosso o è piccolo? “Non è ingombrante,” ha detto Mara Venier. Così come per Giacobbe, anche per Giovanni difendere la dignità di un pugile è difficile.
Il primo incontro valido per il titolo mondiale De Carolis lo ha disputato il 17 ottobre 2015, contro Vincent Feigenbutz. Ha perso ai punti e i giornalisti italiani né lo hanno intervistato né gli hanno dedicato un pezzo superiore alle 7mila battute. “Le persone ci conoscono solo quando vinciamo,” mi dice Giovanni. Nella rivincita del 9 gennaio 2016, De Carolis ha battuto il suo avversario ed è diventato campione del mondo dei supermedi. Così, le persone lo hanno conosciuto per circa 24 ore.
La differenza tra un pugile professionista e un campione del mondo, in Italia, non va molto oltre una pagina Wikipedia. A meno che non vinci un reality, conquistare un titolo sportivo così prestigioso non ti cambia radicalmente la vita: per aprire la tua palestra devi sempre chiedere il mutuo.
Il caso di De Carolis, però, è ancora più ridicolo rispetto al cazzo di Fragomeni, visto che subito dopo essere stato incoronato campione del mondo gli sono successi così tanti casini che alla fine dell’intervista mi convinco che per un italiano conquistare un mondiale sia tutto tranne che una favola.
La prima sfortuna di De Carolis è stata quella di non essere il pugile che uno si immagina. Prima di iniziare a praticare il pugilato giocava difensore nell’Almas Roma, una squadra che nella sua rosa ha visto crescere molti giocatori che sarebbero poi arrivati in serie A, come Giannini, Pinzi e D’Amico. Si era iscritto in una palestra di boxe per mettere su massa, dopo un infortunio rimediato a pallone. Per un po’ di anni ha portato avanti entrambe le passioni, ma quando è stato costretto a decidersi ha scelto senza rimpianti: “Il calcio non mi faceva stare bene, non mi faceva venire quel sentimento come il pugilato.” Fine delle sliding doors.
Ma più in generale, De Carolis non ha nulla a che vedere con lo stereotipo del pugile maledetto, quello che appassiona più per le sue gesta fuori dal ring che per lo sport. Carcere, risse, riscatto, soldi, droga, violenza domestica… Nella sua biografia non c’è niente di tutto questo, e in Italia non è un buon modo per farsi conoscere: “Qui identifichiamo il pugilato con Rocky,” mi dice: ” Rocky I poi, manco gli altri.”
Per capire la distanza che c’è tra lui e un pugile® basta ricordare il suo primo incontro in assoluto, a 18 anni (“Non prima, perché mia madre non voleva”). Al termine di quel match aveva già pensato di smettere: “All’angolo, quando mi hanno tolto il paradenti sono venuti via due incisivi. Era giugno, mi vergognavo, ho trascorso tutta l’estate a casa, da solo.”
Prima del match mondiale Giovanni aveva un discreto score, su 28 incontri 23 vittorie (11 prima del limite) e 5 sconfitte (quattro ai punti e una per KO). La sua ascesa non è stata una serie devastante di vittorie per KO, come per Mayweather, Tyson o Ali. Negli incontri validi per le cinture, le prestazioni di De Carolis sono state altalenanti, ha perso e ha vinto lo stesso numero di volte. “La mia non è una storia di un talento o di un campione, quando si parlava di me si parlava di un pugile mediocre.”
Dopo una serie di prestazioni convincenti però è stato scelto come sfidante per la cintura di campione del mondo WBA (e quella minore GBU). Vincent Feigenbutz, di dieci anni più giovane, è uno dei protégé del potente manager tedesco Wilfried Sauerland, e il fatto di averlo alle spalle ha permesso a un pugile modesto come lui di avere una carriera sfavillante: inanellando vittorie su vittorie contro avversari mediocri. Il match con De Carolis doveva essere uno di questi.
La potenza della Sauerland Promotion è soltanto la punta dell’iceberg di un sistema che ha trasformato negli ultimi anni la Germania in una mecca pugilistica. Già dagli anni Trenta grazie al peso massimo Max Schmeling, il pugilato è diventato uno sport di massa (Max è ancora oggi uno degli sportivi più amati del paese). Negli anni Novanta, la boxe tedesca si è confermata un colosso economico e mediatico grazie al lavoro di professionisti del settore che hanno saputo sfruttarla come fenomeno di costume, proponendo costantemente sulle maggiori testate nazionali servizi, risultati, approfondimenti e speciali. Oggi questo sport è seguito tanto quanto in America e nel Regno Unito (un po’ come da noi ad esempio succede con il calcio e il calcio).
Quello con De Carolis quindi non è stato soltanto uno scontro tra due atleti professionisti su un ring, ma anche un confronto tra due federazioni agli antipodi. Da una parte quella tedesca, potentissima, e dall’altra quella italiana, praticamente inesistente (nonostante quest’anno ne ricorra il centenario).
A Karlsruhe (la federazione tedesca ha scelto di giocare il match in casa, vista la scarsa opposizione italiana), De Carolis ha combattuto un ottimo match, nessuno se lo aspettava. Ha messo giù l’avversario alla prima ripresa, ma alla fine ha perso ai punti: “In Germania”, mi dice, “quando finisce un round è del padrone di casa, se hai fatto qualcosa in più è ancora del padrone di casa, se je meni bene può essere che te lo danno.”
“È stato un furto.” Il suo manager, Davide Buccioni, è riuscito a contrattare una rivincita, ancora contro Feigenbutz, ma si è combattuta di nuovo in Germania, a Offenburg, città natale di Vincent: sempre peggio. Per assurdo De Carolis è riuscito a metterlo KO. All’undicesima ripresa ha lasciato partire un gancio destro tremendo che ha colpito l’avversario sull’orecchio stordendolo e aprendo la strada a una serie di colpi decisivi al volto. L’arbitro è stato costretto a interrompere l’incontro e dargli la vittoria. Gli oltre 5mila spettatori della Baden-Arena l’hanno sommerso di fischi.
Questo è il momento delle favole in cui l’eroe, secondo lo schema di Propp, dopo la reazione, la lotta e la vittoria, dovrebbe ricevere l’incoronazione. E invece le rotture di coglioni non sono ancora finite. Dopo la conferenza stampa e le foto di rito De Carolis è andato per prendersi le cinture che gli spettavano (WBA e GBU) per portarle a Roma, ma gli organizzatori gli hanno detto di lasciarle lì—”quelle servivano soltanto per le foto”, le sue gliele avrebbero spedite una volta rientrato.
“Tornare in Italia con le cinture per me era importante, sentivo che era il simbolo di un’impresa. È come se vinci un campionato del mondo di calcio ma non la coppa, o un’olimpiade senza la medaglia. La gente veniva in palestra per vederle e io gli dicevo di aspettare, ‘tra una settimana’.”
Dopo mesi, delle due cinture gliene è arrivata finalmente una per posta. Nello scatolone ha trovato la GBU, a pezzi. “Ho provato a chiamare l’organizzazione e chiedere spiegazioni ma nessuno mi si è filato.”
Nel pugilato una volta conquistata una cintura (anche se a brandelli) si deve difendere contro altri avversari, non la si può tenere per sé senza rimetterla in gioco. Per il prossimo match De Carolis avrà di nuovo davanti la Sauerland Promotion, ma con un altro pugile, Tyron Zeuge.
Mi accorgo quanto la vittoria di De Carolis abbia fatto rosicare sia stata inaspettata per la federazione tedesca quando illustra alcune condizioni del contratto.
1. Oltre all’incontro con Zeuge, qualora lo battesse, dovrà disputarne un altro a breve distanza, sempre con un pugile della Sauerland.
2. In caso di sconfitta, per lui non ci sarebbe rivincita.
3. Qualora non combattesse o lasciasse vacante il titolo incorrerebbe in una multa che va dai 100 ai 750mila euro.
“Ora…”, mi dice Giovanni, “Io non vivo di pugilato, io continuo ad andare a lavorare, ma ti sembra normale?” Una multa di 700mila euro è grottesca se si pensa che De Carolis per il secondo match contro Feigenbutz ha ricevuto una borsa più di dieci volte inferiore.
Il match contro Zeuge si terrà il 16 luglio e visti questi precedenti per essere sicuro di vincere Giovanni dovrà buttare giù il suo avversario. Difenderà il titolo di più forte del mondo ancora una volta fuori casa, di nuovo in Germania, a Berlino, alla Max Schmeling Arena, davanti a 11mila tedeschi incazzati.
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